Quanto influisce la qualità delle istituzioni sul destino del Paese, quanto può determinarne la crescita sociale ed economica ed evitare il suo declino? Se le imprese italiane operassero in un ambiente istituzionale più favorevole, potrebbero essere più produttive? Partendo da uno studio contenuto nell'ultimo numero di Economia Italiana, riflessioni - e numeri - sul nesso tra qualità della PA e performance dell'economia
Il numero 2023/2 di Economia Italiana è dedicato alle relazioni tra qualità delle istituzioni, pubblica amministrazione e produttività, ed è stato presentato, il 10 aprile scorso, in un’avvincente incontro presso la Sapienza Università di Roma.
Chi leggerà non vi troverà le solite suggestioni trite e ritrite sulle classifiche internazionali sulla qualità della PA, che vedono l’Italia sempre nelle ultime posizioni. Certo, vi si fa riferimento, ma si va oltre e in profondità sulla natura dei legami tra qualità delle istituzioni, efficacia ed efficienza della PA e varie misure della produttività nel settore market.
Questi legami sono complessi e non univoci. Mi sono permesso di schematizzare due approcci differenti nella figura 1. La cosa interessante è che i prestigiosi autori di questo numero della rivista non si incaponiscono nella scelta di un modello teorico o di un altro: ci offrono, invece, copiosa evidenza empirica a sostegno degli schemi prescelti.
Raccomandando ancora una volta la lettura della rivista, qui aggiungo qualche mia considerazione.
La necessità di un’attività di regolamentazione più rigorosa ed efficace è stata sottolineata anche in uno studio che l’Ufficio Studi di Confcommercio ha condotto in collaborazione con l’Istituto Bruno Leoni sulle differenze sostanziali tra semplificazione normativa, delegificazione e deregolamentazione.
In breve, la semplificazione normativa mira a sostituire le norme esistenti con nuove disposizioni volte a ridurre gli oneri burocratici, mentre la delegificazione si propone di ridurre globalmente il numero complessivo di normative. La deregolamentazione, invece, adotta un approccio più radicale, che richiede una rivisitazione profonda del ruolo dello Stato.
In questo scenario, lo Stato non dovrebbe necessariamente intervenire su ogni dettaglio della vita dei cittadini, ma piuttosto definire un quadro di garanzie, magari di natura costituzionale, all’interno del quale i cittadini possano godere di ampia libertà negoziale. La deregolamentazione avrebbe un impatto più incisivo rispetto alla semplificazione e alla delegificazione, offrendo una soluzione più efficace per alleggerire il carico burocratico sulle spalle dei cittadini e delle imprese. Attraverso un riassetto del design istituzionale basato sulla deregolamentazione si potrebbe conseguire un miglioramento della qualità delle istituzioni e, di conseguenza, una Pubblica Amministrazione più efficiente ed efficace.
Un risultato di notevole importanza per Confcommercio emerge dal paper di Quintieri et al., nel quale si offre una base empirica solida per affermare che la qualità delle istituzioni incida in misura maggiore sulla produttività totale nelle imprese di dimensioni ridotte rispetto al resto dell’economia.
Questo risultato dovrebbe essere considerato attentamente, perché implica che, se riuscissimo a migliorare il quadro istituzionale, le imprese di minore dimensione ne trarrebbero maggiori benefici e il peso della dimensione aziendale sulla loro produttività si ridurrebbe, anche se rimarrebbe un fattore importante. Inoltre, un intervento in tal senso accrescerebbe la produttività totale e del lavoro anche nel confronto internazionale, ponendo l’Italia in una posizione migliore. Un esempio può aiutare.
Il 99,4% delle imprese italiane rientra nella categoria delle micro e piccole imprese (fino a 49 addetti), con una media di soli tre addetti, rispetto alla media di cinque registrata in Germania. Utilizziamo la Germania come benchmark: vediamo come l’Italia potrebbe raggiungere il PIL per addetto degli amici tedeschi. Le strade sono due: la prima, quella mediaticamente più in voga, dice che le micro imprese italiane devono diventare piccole, le piccole medie ecc., è la strada che abbraccia l’effetto composizione. L’altra, che a me piace di più, si basa proprio sull’effetto produttività per addetto.
I dati di base sono presentati nella tabella 1 (che non necessita di commento) e i risultati dei due esercizi sono presentati in tabella 2. Trascuro, per ragioni di spazio, di riportare anche i numeri relativi all’industria e alle costruzioni e mi concentro su cosa potrebbe accadere modificando i dati di composizione e produttività del solo settore dei servizi in termini di impatto sul prodotto per occupato aggregato.
Tab. 1 – Statistiche descrittive per dimensione d’impresa: Italia e Germania (2023)
valore aggiunto per addetto (migliaia) | numero di addetti (%) | numero di imprese (%) | addetti per impresa (valori assoluti) | |||||
dimensione d’impresa | Italia | Germania | Italia | Germania | Italia | Germania | Italia | Germania |
totale economia* | ||||||||
micro (1-9) | 31,7 | 53,1 | 42,8 | 19,2 | 94,8 | 84,5 | 1,8 | 2,7 |
piccole (10-49) | 50,6 | 57,4 | 19,8 | 21,4 | 4,5 | 13,1 | 17,8 | 19,2 |
medie e grandi (>50) | 78,8 | 86,3 | 37,4 | 59,4 | 0,6 | 2,4 | 235,2 | 286,5 |
totale | 53,1 | 73,8 | 100 | 100 | 100 | 100 | 4,1 | 11,7 |
servizi | ||||||||
micro (1-9) | 30,0 | 53,9 | 49,1 | 21,8 | 96,3 | 86,0 | 1,8 | 2,6 |
piccole (10-49) | 46,2 | 54,9 | 16,4 | 22,6 | 3,3 | 12,0 | 17,3 | 19,1 |
medie e grandi (>50) | 62,1 | 72,3 | 34,4 | 55,6 | 0,4 | 2,0 | 280,5 | 274,4 |
totale | 43,7 | 64,3 | 100 | 100 | 100 | 100 | 3,4 | 10,1 |
Il primo esercizio (A) consiste nel sostituire la composizione delle imprese per classi di addetti della Germania a quella dell’Italia. Ne deriva (tab. 2) che, a parità di produttività del lavoro, se l’Italia adottasse la stessa struttura dimensionale della Germania nel settore dei servizi (appunto, l’effetto composizione), il nostro sistema produttivo riuscirebbe a generare una produttività superiore a 51mila euro nel settore dei servizi e pari a quasi 64mila euro nell’intera economia: oltre la metà del gap aggregato risulterebbe colmato: era 20mila 700 euro (73.800 meno 53.100; tab. 1) e si ridurrebbe a 10.100 euro (cioè 73.800 meno 63.700).
Tuttavia, questo esercizio presenta un limite intrinseco: vorrebbe cambiare un aspetto strutturale dell’economia italiana, che è il risultato di innumerevoli scelte quotidiane liberamente effettuate da milioni di imprese e lavoratori.
Tab. 2 – Produttività del lavoro: due esercizi per l’Italia nel settore dei servizi (2023)
esercizio A: effetto composizione | ||
dimensione d’impresa | valore aggiunto per addetto (migliaia) | numero di addetti (%) |
micro (1-9) | 30,0 | 21,8 |
piccole (10-49) | 46,2 | 22,6 |
medio-grandi(>50) | 62,1 | 55,6 |
il valore aggiunto per addetto aumenta da 43.700 a 51.500 euro nel settore dei servizi e da 53.100 a 63.700 euro nel totale economia | ||
esercizio B: effetto produttività | ||
dimensione d’impresa | valore aggiunto per addetto (migliaia) | numero di addetti (%) |
micro (1-9) | 53,9 | 49,1 |
piccole (10-49) | 46,2 | 16,4 |
medio-grandi(>50) | 62,1 | 34,4 |
il valore aggiunto per addetto aumenta da 43.700 a 55.500 euro nel settore dei servizi e da 53.100 a 62.200 euro nel totale economia |
Il secondo esercizio (B), mostra invece quanto il nostro sistema economico sarebbe più produttivo se le micro imprese italiane (anche soltanto esse!) nel settore dei servizi generassero gli stessi livelli di produttività delle omologhe tedesche (effetto produttività). In questo caso, l’Italia potrebbe generare una produttività di circa 55.000 euro nel settore dei servizi e oltre 62mila euro nell’intera economia. Anche questo esercizio contribuisce notevolmente a ridurre il gap di prodotto per addetto.
Tale obiettivo, almeno in parte, si potrebbe realizzare se le imprese italiane operassero in un ambiente istituzionale più favorevole, simile a quello del paese con cui è stato effettuato il confronto. E le micro imprese, o, in generale le piccole, sarebbero le principali portatrici di questo miglioramento proprio in virtù della circostanza che risentono relativamente di più della qualità istituzionale del contesto in cui operano.
Quindi, è perfettamente legittimo, sulla base delle nuove importanti evidenze empiriche riportate da Economia Italiana, inserire prioritariamente nell’ambito delle riforme quella della qualità istituzionale. Non solo bisogna incentivare la crescita dimensionale delle imprese, ma è altrettanto opportuno migliorare la burocrazia con la quale esse si confrontano quotidianamente.
A proposito di oneri burocratici, nel 2021, la rivista Argomenti dell’Università di Urbino ha pubblicato uno studio condotto da Casoni et al., finanziato da Confcommercio, nel quale si stimava il costo della burocrazia per le imprese dei servizi di minori dimensioni. Il risultato è che gli oneri burocratici ammonterebbero, per questa tipologia di imprese, a una frazione del fatturato compresa tra il 3% e il 9% (tab. 3). È importante sottolineare che si parla di oneri burocratici e non del costo dell’eccesso di burocrazia, due concetti ben distinti, ma spesso confusi nel dibattito pubblico.
Tab. 3 – Peso della burocrazia sugli utili prima delle imposte
caso 1 | caso 2 | |
fatturato | 100 | 100 |
costi vari | 70 | 70 |
burocrazia | 3 | 9 |
utile prima delle imposte | 27 | 21 |
% oneri burocratici su utile prime delle imposte | 11 | 43 |
Considerando un’ipotetica redditività del 30% prima delle imposte e degli oneri burocratici, il peso della burocrazia sull’utile prima delle imposte sarebbe compreso tra l’11% e il 43%. Sebbene non sia possibile stabilire con precisione quanto di questa cifra costituisca effettivamente un eccesso, il risultato evidenzia un peso particolarmente elevato della burocrazia sull’attività delle imprese più piccole.
I punti sollevati finora evidenziano l’importanza fondamentale della qualità delle istituzioni come fattore determinante per il destino del Paese, che si divide tra una prospettiva di crescita sociale ed economica e un declino graduale ma inevitabile. In questo contesto, il miglioramento della qualità delle istituzioni diventa, quindi, una tappa obbligata nel percorso verso il rilancio economico e sociale.
Il cambiamento dovrebbe derivare non solo da un incremento dell’efficienza dell’azione pubblica, ma anche da una ridefinizione radicale di come l’apparato statale agisce, ripensando obiettivi e strumenti, sia in sé sia nell’opinione pubblica.
A tale scopo ritengo che l’impulso a risolvere ogni problematica mediante la semplice promulgazione di nuove “regole” non debba essere incoraggiato. Questo approccio, ampiamente diffuso nella società contemporanea, sostiene erroneamente che le norme da sole possano risolvere ogni presunta disfunzione sociale. Tale atteggiamento non solo tende de-responsabilizzare i cittadini, ma promuove anche una crescente dipendenza dall’intervento statale su ogni questione.
D’altro canto, le istituzioni si affannano a offrire assistenza e soluzioni: ma è importante sottolineare che i diritti concessi rimarranno inesigibili se non accompagnati da doveri e responsabilità individuali. Per migliorare la qualità delle istituzioni, è quindi fondamentale sfidare queste convinzioni radicate, anche se ciò può risultare estremamente impegnativo, e scarsamente conveniente, in termini di consenso politico, nel breve periodo.