Il paese dei senza speranza
Leonardo Morlino
MORLINO

A campagna elettorale finita, sono emerse ancora più nettamente le peculiarità di questo periodo storico. La radicalizzazione, latente nell’elettorato da anni, è stata strumentalizzata dai gruppi più estremisti. Tuttavia, malgrado questi ritorni di partecipazione di piazza con le attese conseguenze in termini di tafferugli e feriti, l’astensione rimarrà molto alta, sulla base di tutte le previsioni della vigilia. È emersa anche e con maggiore nettezza un’altra, probabilmente la più importante, particolarità di questa fase politica italiana. Quale?

Oggi è diffuso uno scontento, che è composto sia da una tradizionale insoddisfazione molto italiana sia da tutto il disagio sociale ed economico, specie giovanile, prodotto della Grande Recessione di questi anni. Un tale scontento sarebbe superabile, anche se solo in parte, se vi fossero speranze nel futuro ovvero se un leader, un gruppo riuscisse a creare le speranze, che ad esempio Berlusconi nel 1994 e Renzi nel 2014 erano riusciti a suscitare. Siamo invece in una fase storica in cui le alternative politiche, coltivate magari per anni, si sono chiuse. Hanno dimostrato di non esistere più o di non essere credibili, chiudendo anche le residue speranze.

La prima alternativa era emersa con chiarezza nei primi anni 1990, ma era già presente nel progetto craxiano, ed era l’idea che grazie alle riforme costituzionali e alla legge elettorale si potesse costruire una democrazia governante, se non chiaramente maggioritaria. La storia italiana dell’ultimo quarto di secolo e più è stata caratterizzata dai dibattiti, dalle iniziative e dai diversi tentativi legislativi per realizzare questa alternativa. Ma alla fine incapacità di leadership ed efficaci poteri di veto sono riusciti a bloccare tutto. Dunque, quell’alternativa si è chiusa, non solo simbolicamente, il 4 dicembre 2016 quando è stato bocciato sonoramente dall’elettorato l’ultima proposta su cui Renzi aveva giocato l’autorevolezza della sua leadership. Tra gli argomenti usati da alcuni contrari al progetto Renzi era che subito dopo la bocciatura di quella proposta si dovesse aprire una nuova discussione sulle riforme, come ora si parla di dovere fare una nuova legge elettorale. Una bella canzone di anni fa era intitolata: “parole, parole”.

Quasi contemporaneamente, ma con maggiore evidenza dal 2012-13, per l’effetto combinato della crisi economica e dell’evoluzione tecnologica si è presentata una seconda alternativa più radicale, che pure ha destato molte aspettative, quella della democrazia digitale. Un tale nuovo assetto in cui la rete gioca un ruolo centrale sarebbe stata in grado di realizzare l’utopia della democrazia diretta. Finalmente ci saremmo potuti liberare dei tradimenti e della corruzione della democrazia rappresentativa e partitica, dando vita a una realtà in cui le opportunità date dalla rete si sarebbero tradotte in una nuova centralità dei cittadini. Il Movimento 5 Stelle ha interpretato con successo questa alternativa. Ma poi questi anni e soprattutto questa campagna elettorale hanno mostrato con tutta evidenza tutte le illusioni e i fallimenti della cosiddetta democrazia digitale, in cui le opportunità di partecipazione più ampia si sono soprattutto tradotte in una leadership molto forte, se non proprio con connotati autoritari e scarsa trasparenza dei processi decisionali principali. Chi ricorda la storia del suffragio universale, non solo in Italia, alla fine del XIX secolo può anche ricordare come spesso fu utilizzato per rafforzare il ruolo delle élite invece che in chiave democratica e partecipativa. In ogni caso solo la persistenza di uno scontento attivo e impegnato consentiranno a quel partito di protesta di raggiungere la probabile maggioranza relativa. Ormai, però, in questa campagna elettorale i 5 Stelle si sono trasformati in un potenziale partito di governo, che si è pienamente omologato assorbendo necessariamente i comportamenti e i limiti degli altri partiti, in parte dovuti semplicemente ai meccanismi propri della vigente, consolidata democrazia rappresentativa in cui viviamo.

In breve, scontento profondo e assenza di grandi speranze e prospettive non possono che fare prevedere un’alta astensione. Ma sarà così, o qualcosa ci sorprenderà?