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ANTITRUST
Il limitato ricorso alle virtù della concorrenza negli appalti

Le gare pubbliche sono il terreno su cui l'azione dell'Antitrust si confronta con sempre nuovi tentativi di aggirare le regole della concorrenza. I successi dipendono dall'efficacia delle stazioni appaltanti, ma anche dall'azione del legislatore, continuamente sollecitato dalle "prediche"  dell'Autorità. Ecco un bilancio

Andrea Pezzoli e Alessandra Schiavina
Andrea Pezzoli
Alessandra-Schiavina

Premessa

Il sistema degli appalti pubblici rappresenta uno snodo cruciale nell’economia italiana, non solo per il volume di risorse mobilitate, ma anche per il suo impatto sull’efficienza della spesa pubblica, sulla qualità dei servizi offerti ai cittadini e sulla competitività del sistema produttivo.

In Italia, però, il sistema degli appalti presenta criticità strutturali che ne minano l’efficacia: la forte frammentazione delle stazioni appaltanti, l’eccessiva complessità normativa, la mancanza di omogeneità nelle procedure, una scarsa professionalizzazione del personale coinvolto e, soprattutto, gli spazi limitati per la concorrenza.

Il contributo di Pezzoli e Schiavina, pubblicato sull’ultimo numero di “Economia Italiana“, sottolinea, da un lato, la diffusa propensione a colludere in occasione delle gare pubbliche (il così detto bid rigging); dall’altro, il ruolo cruciale che le amministrazioni hanno, prima, nella scelta di ricorrere a procedure competitive per l’acquisto di beni e servizi o per l’affidamento di servizi pubblici, poi, nel disegnare le gare.

I cartelli (gli abusi) e le gare pubbliche

Se la lotta ai cartelli è stata da sempre tra i principali obiettivi dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), il contrasto al bid rigging ne costituisce, senz’altro, la componente di maggior rilievo. Dalla costituzione dell’Autorità ad oggi, sono stati più di 40 i casi che hanno riguardato restrizioni della concorrenza in occasione di gare pubbliche.

Il boicottaggio della gara per costringere la stazione appaltante all’affidamento diretto, la ripartizione delle gare e/o dei lotti oppure l’utilizzo “strategico” dei Raggruppamenti Temporanei di Imprese (RTI) e dei subappalti (di per sé entrambi leciti) sono fattispecie piuttosto frequenti, soprattutto nelle gare per il trasporto pubblico, i servizi ambientali, i servizi assicurativi, la pulizia e il facility management, i dispositivi medici e i farmaci. Il valore degli appalti alterati è vario ma può arrivare anche a cifre rilevanti come nel caso di una gara per i servizi di pulizia e il facility management, pari a circa 2,7 miliardi di euro.

La “scoperta” dei cartelli volti a alterare l’esito delle gare pubbliche si avvale, in parte, della collaborazione delle stazioni appaltanti “virtuose”, alimentata anche da un Vademecum, pubblicato nel 2013 dall’AGCM, volto a segnalare le situazioni “sospette”; in parte, dell’attività investigativa degli Uffici della stessa Autorità; in parte, della collaborazione con la Guardia di Finanza, le Procure e l’Autorità Anticorruzione.

Di recente, il contrasto del bid rigging si è potuto avvalere anche dell’efficace contributo fornito dalla piattaforma di whistleblowing, che consente di interloquire con denuncianti che desiderano restare anonimi. Non altrettanto efficace, invece – almeno sin qui – il contributo dei programmi di clemenza, grazie ai quali se un membro del cartello si “pente” e agevola l’accertamento della restrizione può evitare la sanzione amministrativa (che può raggiungere il 10% del fatturato e, quindi, anche cifre importanti). Recenti modifiche normative, volte a rafforzare l’enforcement antitrust, hanno esteso i benefici della clemenza anche alle eventuali implicazioni penali connesse alle condotte che alterano le gare pubbliche (ma non invece all’eventuale risarcimento dei danni).

Va detto, per completezza, che le gare possono essere alterate – meglio ritardate e ostacolate anche a seguito di condotte abusive, come nel caso del vecchio gestore che si rifiuta di fornire alla stazione appaltante e/o ai potenziali concorrenti i dati e le informazioni per poter disegnare le gare o per parteciparvi. Nel settore del trasporto locale e della distribuzione del gas è stata questa la modalità con la quale sono stati ristretti i già limitati spazi per il confronto competitivo.

Le “prediche (inutili?)” e le gare pubbliche

Il buon esito delle gare pubbliche, lasciando in disparte possibili fenomeni corruttivi che esulano dai rapporti tra appalti e concorrenza, dipende in buona misura dalla capacità delle stazioni appaltanti di disegnarle in modo da ostacolare la possibilità di concertazione tra le imprese così da selezionare il fornitore più efficiente. Ancor prima di ciò, l’efficacia del public procurement dipende, ovviamente, dalla disponibilità dell’amministrazione a utilizzare procedure competitive e a non ricorrere, invece, a proroghe ingiustificate degli affidamenti e delle concessioni.

In questa prospettiva, l’AGCM, nel corso degli anni, ha ripetutamente esercitato i suoi poteri di segnalazione, “suggerimenti” al legislatore, centrale o locale, volti a sfruttare al meglio le potenzialità di affidamenti competitivi o a eliminare restrizioni della concorrenza non proporzionali. 

Ben 800 delle oltre 2000 segnalazioni formulate nel corso dei 34 anni di attività dell’Autorità hanno riguardato le modalità con le quali si sviluppa la domanda pubblica. Non di rado, le “prediche” dell’Autorità hanno raggiunto risultati di un qualche rilievo. Quando poi l’AGCM, a partire dal 2011, ha avuto la possibilità di chiedere direttamente al giudice l’annullamento di atti amministrativi lesivi della concorrenza, l’efficacia dell’attività di advocacy è aumentata significativamente.

Si può dire, senza timore di essere smentiti, che ormai sono stati fatti propri da larga parte delle stazioni appaltanti i suggerimenti volti a non ampliare ingiustificatamente la durata degli affidamenti; a disegnare numero e dimensione dei lotti così da massimizzare gli spazi per il confronto competitivo e ridurre il rischio di collusione; a fissare i requisiti di partecipazione in maniera proporzionata con l’oggetto della gara; a valutare con attenzione la partecipazione delle imprese in RTI da parte di soggetti che avrebbero potuto competere anche da soli, soprattutto nei contesti di mercato a maggior rischio di collusione.

Assai più complesso, invece, risulta convincere le amministrazioni locali a ricorrere alla gara, soprattutto quando la selezione di un soggetto più efficiente può implicare un significativo impatto occupazionale e, almeno nel breve termine, un rilevante costo in termini di consenso politico. L’inadeguatezza delle politiche attive del lavoro e l’assenza di misure di welfare che possano rendere politicamente sopportabile la transizione rende le resistenze delle amministrazioni assai difficili da superare.

In generale, comunque, sia l’applicazione rigorosa della disciplina antitrust, sia le “prediche” non sempre inutili al legislatore possono contribuire non poco all’efficienza della domanda pubblica. La loro efficacia, tuttavia, può crescere solo a fronte di una maggiore disponibilità del legislatore a utilizzare le virtù della concorrenza, disponibilità che non sempre appare agevole rintracciare.

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