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Il differente ruolo delle clausole penali negli ordinamenti di civil law e common law e la possibile applicazione al settore bancario

La clausola penale è uno strumento utilizzato anche nella contrattualistica internazionale, ma c’è una differenza sostanziale tra la disciplina degli ordinamenti di civil law rispetto a quella degli ordinamenti di common law. Se questa clausola, all’interno del nostro ordinamento, tradisce una certa finalità “punitiva” rispetto alla parte inadempiente, gli ordinamenti di common law distinguono, invece, le liquidated damages clauses dalle penalty clauses. Hanno validità solo le clausole attraverso le quali le parti determinano anticipatamente i danni che scaturiscono dall’inadempimento, a condizione che gli stessi siano stimati ragionevolmente. L’aspetto peculiare della clausola in esame riposa nel fatto che i liquidated damages sono dovuti anche qualora, in realtà, non vi siano stati danni. Tuttavia, l’organo giudicante esamina ugualmente il contenuto delle clausole in questione, attribuendo efficacia soltanto a quelle che, nella sostanza, non figurano come vere e proprie “punizioni”. È ragionevole ritenere che ove vi fossero delle clausole penali ad hoc anche nell’ambito della contrattualistica dedicata al settore finanziario, probabilmente, i risparmiatori sarebbero più incoraggiati e tutelati.

Stefano Gatto

Che la clausola penale fosse uno strumento utilizzato anche nella contrattualistica internazionale, non è certo una novità. Semmai, il dato di rilevo è la differenza sostanziale tra la disciplina che esiste in tal senso negli ordinamenti di civil law rispetto a quelli di common law.

In Italia, ad esempio, la congruità della clausola penale è rimessa all’eventuale apprezzamento del giudice, che potrà annullarla o modificarla, laddove la stessa risultasse sproporzionata o illecita.

In ogni caso, tale clausola, all’interno del nostro ordinamento, tradisce una certa finalità “punitiva” rispetto alla parte inadempiente. Questa accezione non può rinvenirsi negli ordinamenti di common law, all’interno dei quali, al riguardo, si suole operare una precisa distinzione.

Si individuano, infatti, da un lato, le liquidated damages clauses e, dall’altro, le penalty clauses; le seconde sono generalmente prive di effetto e sostanzialmente vietate.

In pratica, hanno validità solo le clausole attraverso le quali le parti determinano anticipatamente i danni che scaturiscono dall’inadempimento, a condizione che gli stessi siano stimati ragionevolmente. L’aspetto peculiare della clausola in esame riposa nel fatto che i liquidated damages sono dovuti anche qualora, in realtà, non vi siano stati danni.

Secondo la giurisprudenza anglosassone“the essence of liquidated damages is a genuine pre-estimate of damage”, ovvero, la clausola in questione non deve avere conclamate finalità punitive.

La prognosi effettuata dai giudici d’oltreoceano concerne innanzi tutto la denominazione attribuita a queste clausole, per cui non è consigliabile impiegare una terminologia come quella della “penality”, “by way of penality”, o locuzioni analoghe, bensì ricorrere a delle formulazioni ormai riconosciute e diffuse quali:“the parties agree that this clause provides a realistic pre-estimate of the loss and is not intended to be a penalty” .

Questo, però, non significa che sulla semplice base della denominazione utilizzata, l’organo giudicante arresti ogni valutazione circa il merito.

Egli, infatti, esamina ugualmente il contenuto delle clausole in questione, attribuendo efficacia soltanto a quelle che, nella sostanza, non figurano come vere e proprie “punizioni”.

Sicché, per ovviare a tali rischi, la tendenza, ormai, è quella di elaborare clausole sempre più articolate, le quali, però, spesso diventano di difficile interpretazione.

Le clausole penali, peraltro, conservano l’indubbio vantaggio di esonerare la parte che la invoca dal dimostrare i danni subiti, siccome l’ammontare degli stessi è predeterminato dalla clausola stessa.

Va sottolineato che una liquidated damages clause può rappresentare un vantaggio anche per la parte inadempiente, in quanto essa, in tal modo, potrà conoscere preventivamente l’ammontare massimo dei danni che dovrà eventualmente risarcire, evitando, così, l’alea di importi estremamente elevati. Ciò consente, altresì, una migliore programmazione delle adeguate valutazioni anche sotto il profilo assicurativo e finanziario.

Sotto questo ultimo aspetto, non sarebbe certamente un azzardo ritenere che, ove vi fossero delle clausole penali ad hoc anche nell’ambito della contrattualistica dedicata al settore finanziario, probabilmente, i risparmiatori sarebbero più incoraggiati e tutelati.

In tal modo, si avrebbe un rinnovato impulso in un settore in cui c’è ancora molta diffidenza. E ciò soprattutto all’esito delle recenti vicende MPS e quelle che hanno interessato le banche Venete. Tra le pratiche ritenute scorrette, spicca quella della concessione del mutuo subordinata allo status di socio che la stessa banca erogatrice impone, mediante acquisto di azioni; il tutto, oltre all’apertura di un conto corrente bancario a ciò espressamente dedicato.

Pratica già sanzionata dalla AGCOM e censurata a più riprese dalla CONSOB.

Ciò nonostante, la questione resta ancora aperta per tutti coloro che hanno sottoscritto i mutui in questione e per chi si è affidato a prodotti finanziario ad alto (o medio) rischio. Infatti, allo stato attuale, non vi è ancora un intervento legislativo in tal senso che assicuri tutela paritaria a tutti gli investitori. Ci si affida all’ABF, con esiti incerti e spesso non risolutivi, cosicché, la gran parte dei consumatori, sono costretti a rivolgersi all’autorità giudiziaria, trovandosi di fronte alla oggettiva difficoltà di dover dimostrare che i termini dell’elevato rischio non erano loro accessibili.

Del resto, i modelli contrattuali già predisposti dagli istituti bancari e confezionati sulla base di quanto prevedono le normative di settore, ancorché più esplicativi rispetto al passato, restano asettici e difficilmente riproduttivi delle effettive consapevolezze dei clienti investitori.

E, comunque, non attribuiscono alcuna tutela a coloro che vengono indotti da operatori-imbonitori a scegliere determinati investimenti; ciò in quanto la firma apposta sul modulo, ritenuto esaustivo, praticamente, equivale a manlevare operatore e istituto bancario da ogni responsabilità.

Negli ordinamenti di common law, ai fini della regolare conclusione ed esecuzione del contratto, si fa molto leva sulla “buona fede”, laddove, invece, la giurisprudenza italiana la relega a criterio integrativo e/o residuale di valutazione, sebbene la Suprema Corte di Cassazione abbia a più riprese ribadito che, nell’ambito dei rapporti contrattuali, ciascun contraente deve agire avendo cura degli interessi della controparte. Non solo, ma altro elemento di discrimine consiste nel fatto che mentre negli ordinamenti di civil law la clausola penale è destinata ad essere applicata soltanto in costanza di inadempimento e spesso come strumento integrativo di tutela, viceversa, nell’esperienza anglosassone, essa rappresenta un valido strumento deflattivo, poiché applicato in via preventiva. Tuttavia, nel settore finanza e investimenti, ancora non decolla.

Eppure, lo stesso settore bancario, nel commercio internazionale, quello improntato alle normative della United Nations Convention on Contracts for the International Sale of goods“ (CISG), sposate ed applicate dalla Chambre de Commerce de Paris, risulta assoluto protagonista, soprattutto nella fase delle trattative tra imprese operanti nel settore della compravendita di merci.

Ciò, nella misura in cui, proprio attraverso gli istituti di credito degli stessi contraenti, viene prima vagliata e verificata l’identità-solidità economico finanziaria di controparte, e poi vincolata una somma a titolo di “performance bond”, che la parte adempiente potrà incassare prima ancora di addivenire alla definitiva sottoscrizione del contratto, ove la controparte non osservasse le proposte formulate e accettate (cioè, rispettivamente, letter of intent e full corporate offer). Dunque, alcuni strumenti di tutela da offrire agli investitori “non professionisti” già esistono, per cui, l’utilizzo della clausola penale, associata ad una diversa valenza da conferire alla buona fede contrattuale in questo settore, oltre ad assicurare una maggiore trasparenza, sostanzialmente tracciabile e oggettivamente discriminante rispetto a speculatori avventati ma coscienti, potrebbe rivelarsi uno strumento altamente stimolante e certamente deflattivo. Varrebbe la pena, quindi, che il legislatore, intanto, utilizzasse ad ampio raggio gli strumenti che ha già a disposizione, con una rinnovata accezione, piuttosto che attendere passivamente nuove soluzioni dalle Istituzioni europee.

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