Ricette economiche / La MMT
Il debito non è un tabù
Paola Pilati

Proseguire con una politica di bilancio di austerity, o invece abbracciarne una espansiva? Il dilemma è pane quotidiano da noi, ma anche dall’altra parte dell’Oceano. Qui è tema che piace ai sovranisti al potere che criticano le regole fiscali imposte dall’euro, e chiedono più libertà di manovra dal cappio del debito. Negli Usa sta diventando tema elettorale, e induce molti economisti a schierarsi. Su quale posizione?

In un recente convegno del Peterson Institute di Washington (https://piie.com/events/fiscal-policy-measures-next-downturn), Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo monetario, in odore di Nobel, ha lanciato il suo messaggio: certo, avere meno debito sarebbe meglio, ha detto, ma bisogna valutare qual è il conto da pagare nello sforzo di ridurlo. E spendere toppo poco in deficit può a volte essere letale. Come nel caso della Germania, che proprio per questo rischia una recessione. Visto che gli Usa oggi non si trovano in una situazione di dover ridurre il deficit, è l’opinione di Blanchard, ben venga più debito e più deficit, purché si spenda per esempio per combattere il climate change. Quindi il fine giustifica il deficit.

Che cosa sta succedendo negli Usa? Come mai un budget deficit da un trilione di dollari, un debito al 78 per cento del Pil oggi, ma proiettato a raggiungere il 105 per cento tra dieci anni non appare un problema? Indebitarsi in deficit non è più una bestia nera, e Trump, che l’ha fatto crescere in soli due anni con la robusta sforbiciata alle tasse, non è dunque da biasmare?

Al cambiamento di clima sembra aver contribuito l’avanzata del fronte della Modern monetary theory, la nuova teoria economica che sta raccogliendo seguaci nel mondo della politica dei Democratici di sinistra ma anche in quello dell’accademia. Secondo la MMT la spesa pubblica può essere finanziata dalle banche centrali senza alcun effetto negativo per l’economia, dal momento che ci si indebita nella propria valuta.

Una bestialità, l’ha definita senza mezzi termini il capo della Fed Jay Powell (https://www.bloomberg.com/news/articles/2019-03-04/powell-trashed-mmt-but-wall-street-sees-room-for-u-s-to-try-it). Eppure il dibattito ne è fortemente condizionato. Si prende come esempio positivo il Giappone, che non ha esitato a indebitarsi facendosi spalleggiare dalla sua banca centrale. E sul tema scende in campo persino Bill Gross, il re dei bond, l’ex capo di Pimco, per dire che simpatizza per la MMT (anche se in rotta di collisione con il capo di Blackrock, contrario).

Insomma, la MMT riempie la scena. E disegna un mondo in cui sia il Parlamento a contare di più della banca centrale. Il suo provvedimento bandiera è la Job guarantee: se il lavoro non c’è, deve essere lo Stato a garantirlo, con le assunzioni nel settore pubblico. Come pure è legittimo aumentare il debito per finanziare il Green New Deal, il programma manifesto che ha la voce della deputata Democratica Alexandria Ocasio-Cortez. Un mega intervento di spesa pubblica che punta ai grandi investimenti sull’ambiente per creare domanda di lavoro, vuole l’assistenza universale e le tasse per i più ricchi. Tutto questo grazie all’uso della leva monetaria, cioè al fatto che spetta alla Banca centrale di stampare moneta, e che secondo la MMT può essere usata con totale libertà, visto che con il controllo sovrano sulla moneta sarà sempre possibile stamparne dell’altra.

La MMT, che ha tra i suoi sostenitori la battagliera economista Stephanie Kelton, ex consigliera del Democratico Bernie Sanders, affonda le radici su problemi veri. Come il fatto che gran parte della crescita dell’occupazione registrata dalle statistiche è fatta di lavori precari e sottopagati, ma abbandona a se stessi molti working poors e molte minoranze. E su paure e bisogni contrastanti : un sondaggio della Gallup ha certificato che i tre quarti degli americani temono i deficit; un altro, di Civics Analytics, che la metà di loro vorrebbe però che fosse il governo a offrire lavoro.

Ma se è giusto interrogarsi su come affrontare questa lunga fase di tassi bassi, inflazione inchiodata, e di produttività che non cresce; se è giusto chiedersi se la cassetta degli attrezzi della fiscal policy usata finora non sia da rivedere, gli economisti mainstream fanno fatica ad abbracciare esplicitamente la MMT.

Lo stesso Blanchard, su Twitter, ammonisce che la creazione di denaro senza interesse – una specie di helicopter money – può portare all’iperinflazione. Il Nobel Paul Krugman la demolisce dalle colonne del “NewYork Times” (https://www.nytimes.com/2019/02/12/opinion/whats-wrong-with-functional-finance-wonkish.html) con il messaggio che le grandi riforme vanno fatte con delle risorse nuove, non nuovo debito. E Larry Summers, ex Segretario al Tesoro con Clinton, ed ex capo del National Economic Council di Obama, definisce la MMT una teoria esasperata di economisti marginali che offrono il “free lunch”. Cioè la possibilità per il governo di spendere senza imporre nuove tasse.

Summers ammette che la politica fiscale tradizionale vada rivista in epoca di tassi bassi come la nostra, e che bassi resteranno per molto altro tempo. Ma che il governo possa finanziare il deficit a costo zero e senza mai rischiare il default gli appare una insensatezza: MMT, dice in sostanza in un articolo sul “Washington Post”, immagina una economia chiusa, la quale porta dritti dritti al crollo del tasso di cambio, a un aumento dei tassi a lungo termine, alla fuga dei capitali, e via enumerando catastrofi.

Eppure lo stesso Summers, in un paper intitolato “Who is afraid of budget deficit” (http://larrysummers.com/2019/01/28/whos-afraid-of-budget-deficits/#more-36860), indica una strada di compromesso tra i fondamentalisti del deficit, che dicono che il debito non può aumentare all’infinito, e la necessità di affrontare i problemi sociali a cui il governo deve dare risposta. Il cammino della fiscal policy deve usare un semplice approccio, suggerisce: se vale davvero la pena di fare una cosa, è giusto pagare per farla.

Morale di Summers: i mercati sono sempre preoccupati del deficit, ma i politici devono sapere che non scatta nessun allarme dai mercati se investono in infrastrutture obsolete, sanità e scuola. “È il momento che Washington la faccia finita con la sua ossessione per il debito, e si concentri su problemi più importanti”, conclude l’economista.

Si può importare la stessa ricetta da noi in Europa? Qui la situazione economica è alquanto diversa da quella negli Usa. E dunque il messaggio di Blanchard è diverso, ma netto. Per come stanno andando le cose, con il rischio di recessione all’orizzonte, sarebbe meglio scordarsi delle regole di rigore che l’Europa si è data, a cominciare dalla regola del 3 per cento, ha detto l’economista durante il convegno del Peterson Institute. E quindi avviare una azione di stimolo fiscale senza risparmio. Ora. Dicendo addio all’austerità.