Osservatorio Banche
Il Covid spinge il credito all'economia

Mentre la congiuntura economica è negativa, i finanziamenti a imprese e famiglie nei primi mesi della pandemia sono stati in forte espansione. Merito degli interventi della Bce e del varo dei programmi di garanzia statale. Ma quanti di questi prestiti potranno essere considerati in bonis, con apprezzabili “risparmi” sotto il profilo degli accantonamenti prudenziali?

Silvano Carletti
Carletti

La pandemia spinge congiuntura economica e dinamica del credito su traiettorie  divergenti. Come scontato, gli indicatori economici relativi al secondo trimestre dell’anno accentuano in misura molto marcata il rallentamento intravisto nei primi tre mesi dell’anno: rispetto al corrispondente trimestre 2019, -15% per l’intera eurozona, con Italia, Francia e Spagna compresi tra -17% e -22%.

Un recupero è ragionevolmente atteso in quest’ultima parte dell’anno, ma pochi paesi riusciranno a chiudere l’anno con una contrazione economica al di sotto della doppia cifra. Il nostro Ministero dell’Economia pensa che l’Italia possa essere tra questi, in gran parte per il modesto risultato del 2019 (+0,3%), una frazione del risultato medio dell’area euro (+1,2%).

Viceversa, nel caso degli aggregati bancari la dinamica (luglio ultimo dato disponibile) è di segno opposto, decisamente al rialzo. Nell’ambito dell’eurozona il totale dei finanziamenti bancari a imprese e famiglie supera di poco gli 11mila miliardi di euro, dei quali circa tre quarti riferibili ai quattro paesi maggiori. Se si confronta l’andamento di questo stock nei mesi segnati dal Covid-19 (marzo-luglio 2020) con quanto rilevato nel corrispondente periodo 2019 risulta evidente quanto importante sia stato l’intervento della Banca Centrale Europea nell’alleviare gli enormi problemi di liquidità prodotti dal brusco rallentamento dell’attività, rallentamento che per numerosi settori è arrivato fino ad un arresto completo o quasi.

Il tono della politica monetaria della Bce, già fortemente espansivo, ha subìto nell’arco di poche settimane una forte accentuazione. Nel giugno scorso le diverse operazioni di cui la Bce è stata controparte hanno determinato un rifinanziamento netto delle banche dell’area (operazioni con durata pari o superiore ai tre mesi) per un totale di 564 miliardi, 53 miliardi dei quali di competenza delle banche italiane. Oltre che per la  considerevole entità, questa immissione di fondi nel circuito bancario dell’eurozona si caratterizza anche per le condizioni di particolare favore (tassi prevalentemente negativi). 

Per quanto riguarda le imprese, rispetto al corrispondente periodo del 2019 nei mesi della pandemia si registra un’accelerazione a livello di intera area euro, con un incremento del ritmo di crescita annua dei finanziamenti di quasi 3 punti percentuali. Questo dato riassume differenze decisamente importanti tra i principali paesi: per la Germania la dinamica nei mesi condizionati dalla pandemia del Covid-19 è largamente simile a quella dell’anno precedente (oltre 6% a/a, guardando ai dati corretti per cessioni di prestiti, cartolarizzazioni e cash pooling); in Francia il trend già sostenuto registra un significativo rafforzamento, con gli ultimi tre dati mensili disponibili al di sopra dell’11%. Spagna e Italia, che nel periodo marzo-luglio 2019 sperimentavano una contrazione dello stock dei prestiti alle imprese, nei 5 mesi del 2020 segnati dal Covid-19 registrano un ritorno alla crescita, con uno swing da negativo a positivo molto pronunciato. Il dato di luglio a/a della Spagna è superiore al 7%, quello dell’Italia sfiora il 5%: per ritrovare dinamiche così intense bisogna tornare indietro di quasi dieci anni nel caso dell’Italia, molto di più per la Spagna.

Per molti aspetti più sorprendente è l’esito di un simile confronto dal lato delle famiglie. Il ritmo di crescita annuo dello stock dei finanziamenti nei mesi del 2020 segnati dalla pandemia è nell’eurozona poco sopra il 3%, appena al di sotto di quanto osservato nel corrispondente periodo del 2019. Nella definizione di questo dato di sintesi determinante è l’andamento della Germania, il cui ritmo di crescita nei difficili mesi di quest’anno non registra alcun sostanziale indebolimento, stabilizzandosi intorno al 4,5% a/a.

Diverso il quadro negli altri tre principali paesi: un limitato rallentamento si evidenzia nel caso della Francia, paese comunque da tre anni e mezzo oltre la soglia del 5% a/a; più significativo l’indebolimento rilevabile per l’Italia (a +1,6-1,7% negli ultimi due mesi disponibili); in Spagna la flebile crescita del 2019 si converte nell’anno in corso in una contenuta contrazione.

Nei diversi paesi le componenti della domanda di credito si muovono spesso in modo differenziato. Ad esempio, nel caso delle imprese la dinamica dei finanziamenti a breve (fino ad un anno) si presenta ancora tonica in Francia mentre evidenzia segni di indebolimento negli altri tre paesi; per quanto riguarda il comparto delle famiglie, la vivacità del dato tedesco e francese è interamente riconducibile ai prestiti finalizzati all’acquisto di abitazioni, una tipologia di finanziamento che invece mostra una più ridotta vitalità in Italia e Spagna. In questi due paesi (ma soprattutto in Spagna) le condizioni di credito particolarmente favorevoli prevalenti da tempo hanno scalfito in misura solo limitata la forza dei problemi strutturali che da tempo tolgono vivacità al mercato immobiliare.

A tradurre il rifinanziamento delle banche da parte della Bce in credito aggiuntivo all’economia hanno contribuito molte circostanze, a cominciare dai provvedimenti che hanno indebolito la crescita del rischio di credito determinato dagli sconvolgimenti conseguenti alla diffusione del Covid-19. Sotto questo profilo decisiva è stata la concessione della garanzia statale sui prestiti bancari. In un documento pubblicato nel luglio scorso l’EBA ha censito in Europa ben 47 schemi di garanzia pubblica, tra loro differenziati in misura limitata (solo nuovi prestiti o anche prestiti esistenti, tipologia dell’esposizione, entità della garanzia, etc). 

Nel caso dell’Italia un contributo contenuto (ma non trascurabile) al controllo del rischio di credito in una congiuntura così avversa viene da alcune procedure da tempo esistenti a protezione dei prestiti in essere.

È il caso del Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa (cosiddetto fondo Gasparrini). Istituito nel 2007 e operativo dal 2013 il fondo si accolla per un massimo di 18 mesi il pagamento della metà degli interessi dovuti sui mutui relativi all’abitazione principale di cui sono titolari persone con un modesto reddito Isee che si vengano a trovare in difficoltà.

Con alcuni dei decreti emanati durante il lockdown (“Cura Italia” e “Liquidità”) sono state modificate alcune modalità di funzionamento del fondo. Previo un suo significativo rifinanziamento (400 milioni di euro) è stata considerevolmente allargata la platea dei possibili beneficiari, arrivando ad includere seppure temporaneamente anche lavoratori autonomi e liberi professionisti (inclusi artigiani e commercianti). Secondo la più recente rilevazione, le domande pervenute al fondo hanno superato le 200mila unità, a fronte delle sole 40mila rilevate alla vigilia dello scoppio della pandemia. Considerato che il capitale residuo di questi mutui è pari in media a circa 94mila euro ne consegue che il fondo ha sottratto al rischio di deterioramento circa 20 miliardi di mutui. 

Analoga funzione di protezione del portafoglio è svolta dalle moratorie attivate da ABI (mutui per seconde case e per ottenere liquidità) e da Assofin (credito al consumo e prestiti personali), iniziative che hanno finora raccolto quasi 456mila adesioni, per circa 19 miliardi di prestiti. 

Alla luce della crisi Covid-19, nell’aprile scorso l’EBA ha diffuso una nota di Orientamento (rivista a fine giugno) sulle moratorie legislative e non legislative relative ai pagamenti dei prestiti. Se ne ricava che l’applicazione di una moratoria non dovrebbe di per sé indurre a riclassificare un’esposizione come forborne (“oggetto di concessioni”, sia essa deteriorata o non deteriorata), salvo che fosse già questa la classificazione dell’esposizione prima dell’applicazione della moratoria.

Per  tutta  la  durata  della moratoria,  gli  istituti di credito dovrebbero  comunque  continuare  a  valutare  se  ricorrano  indicazioni  di “improbabile adempimento”, tenendo ovviamente conto del piano di pagamenti aggiornato per effetto dell’adesione alla moratoria. In definitiva, al netto ovviamente di possibili altre circostanze, i contratti di prestito ammessi alle moratorie possono continuare ad essere considerati in bonis, con apprezzabili “risparmi” sotto il profilo degli accantonamenti prudenziali. 

È difficile dire quanta parte dei prestiti tornerà regolare alla fine del periodo di moratoria. I dati in proposito sono molto scarsi. Avendo come riferimento i clienti del credito al consumo, Mediobanca ha comunicato che nel suo caso la percentuale dei prestiti che tornano effettivamente performing si colloca storicamente intorno all’85%.

Essendo l’attuale negativa congiuntura economica profondamente diversa da quanto visto in passato è possibile che questa volta sia più alta la quota di prestiti che finirà entrare nella categoria dei non performing. La decisione di molte banche di irrobustire le riserve prudenziali, comprese quelle riferibili ai prestiti in bonis, è appunto un riflesso di questa incertezza.