Il ciclone entra in finanza
P.P.

Mark Carney, governatore della Banca d’Inghilterra, si è preso l’incarico di riflettere sul tema di quanto i cambiamenti climatici siano legati e influiscano sulla stabilità finanziaria. Il 9 di aprile si è infatti tenuta ad Amsterdam la prima International Climate Risk Conference for Supervisorsorganizzata da Londra insieme alla Banca di Francia e a quella Olandese, di fronte a un consesso di 200 banchieri centrali di tutto il mondo e ai vertici delle grandi istituzioni finanziarie.

La questione del riscaldamento globale, ha detto Carney, si basa su due paradossi. Il primo è che i cabiamenti climatici scaricheranno sulle future generazioni un costo che l’attuale classe dirigente non vuole pagare. Il secondo è che anche un passaggio troppo veloce ad un’economia con basse emissioni di Co2 puo danneggiare la stabilità finanziaria.

A dimostrazione di quanto la comunità finanziaria abbia preso sul serio il tema, dopo l’impegno preso dai governi alla Conferenza di Parigi per limitare il riscaldamento globale, i più grandi gestori di fondi d’investimento, Blackrock e Vanguard, si sono mossi per chiedere alle aziende quotatequali erano i loro progetti in merito alla Co2, e altrettanto hanno fatto organizzazioni di investitori e di consulenti finanziari. Così la Task Force for Climate-related Disclosures voluta dal Financial stability board ha incominciato a tenere un registro delle pratiche con cui le società gestiscono il rischio legato ai cambiamenti del clima.

Le prime a sentirne l’impatto sui propri bilanci sono state le società di assicurazione. Dal 1980 il numero degli eventi che hanno causato perdite è triplicato: da una media di 10 miliardi di dollari l’anno si è passati a 55 miliardi di dollari l’anno di perdite nell’ultimo decennio, con il 2017 che è stato l’anno peggiore in assoluto, con perdite del settore assicurativo causate da eventi meteorologici per 130 miliardi di dollari. Anche le banche cominciano a tenere conto dei rischi legati al clima come normali rischi finanziari. E la Banca d’Inghilterra ha già da tempo iniziato a considerare i cambiamenti climatici tra i suoi obblighi di vigilanza microprudenziale, inserendo cicloni tropicali e altri disastri legati al tempo negli stress test del settore finanziario.

In un quadro quanto mai in fieri, la buona notizia è che il settore privato ha già cominciato ad allocare il capitale tenendo conto del fattore clima. Fattore che non soltanto comporta una rivoluzione tecnologica, ma anche il bisogno di investire nel lungo termine in infrastrutture a un tasso quattro volte superiore all’attuale.