approfondimenti/Mercato finanziario
Il capitale arriva dalla Rete

Con il crowdfunding attraverso Internet è possibile finanziare le attività più disparate. Una vera e propria svolta che potrebbe contribuire alla diffusione dell'innovazione. Ma che deve fare i conti con la regolazione, per certi versi assente, per altri eccessiva

Alessandra Protani

Una delle principali conseguenze della crisi finanziaria iniziata nella seconda metà del 2007, e tuttora in atto, è l’assenza di liquidità. E’ noto, infatti, che i finanziamenti ed i crediti bancari sono bloccati, così soprattutto le piccole imprese, su cui si fonda principalmente il tessuto produttivo italiano, non riescono ad ottenere i soldi necessari per realizzare i loro progetti. Anche se come osservato, qualche giorno fa, dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi: “stiamo strisciando sul fondo (…)”, proprio a voler sottolineare come la situazione del nostro Paese sia drammatica sotto tutti i punti di vista, un’àncora di salvezza verso la ripresa potrebbe essere rappresentata dal crowdfunding, risultante dalla sinergia di due elementi tra loro eterogenei: la folla ed il denaro.

Si tratta, infatti, di un fenomeno volto alla raccolta di capitale tra il pubblico degli internauti (la crowd) per la realizzazione di finalità disparate, che vanno dal sostegno di iniziative altruistiche o di programmi politici (più specificatamente elettorali) sino al finanziamento di progetti imprenditoriali con intenti di liberalità o più realisticamente di investimento del risparmio.

Proprio le innumerevoli finalità perseguibili rendono il crowdfunding un fenomeno poliedrico. In particolare, come sostenuto in dottrina, possono essere individuati quattro modelli principali: “donation-model”; “reward-model”; “pre-purchase model” e l’“equity-model”che tra tutti riveste maggior interesse ai fini imprenditoriali e societari perché consente alla “folla” degli internauti, anche privi di qualsiasi qualifica, di entrare per mezzo di internet nel capitale di rischio di una società chiusa, acquisendo automaticamente lo status di socio.

In realtà, nonostante la rapida diffusione di questo “fenomeno di raccolta”, nella maggior parte dei Paesi in cui operano le piattaforme di crowdfunding, tale attività non è soggetta ad una specifica regolamentazione, ma rientra nell’ambito di applicazione di discipline già esistenti. Infatti, ad oggi, in Europa solo l’Italia si è dotata di una normativa legislativa e regolamentare anche se relativa esclusivamente all’equity crowdfunding,stabilendo, inoltre, che il modello in esame è una prerogativa riservata alle start-up innovative, le cui caratteristiche sono state “fissate” dal Decreto Legge del 18 ottobre 2012 n. 179 – meglio noto come Decreto Crescita 2.0. (convertito nella Legge del 17 dicembre 2012 n. 221 ) – e dalle sue successive modificazioni. Tali novità normative sono state recepite dal Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (nel seguito semplicemente TUF) negli articoli 50-quinquies e 100-ter, inerenti rispettivamente alla “Gestione dei portali per la raccolta di capitali per start-up innovative” ed alle “Offerte attraverso portali per la raccolta di capitali”.

Non si può di certo negare che i bassi costi di comunicazione via internet aggravano fortemente il rischio di frodi, dati gli enormi profitti che le stesse possono procurare ai sollecitanti. D’altro canto, pur cambiando la nomenclatura, la maggior parte della crowd è formata da clienti al dettaglio, che come tali, essendo privi di esperienza e competenza in materia di investimenti, necessitano di un elevato livello di protezione sia nella fase di valutazione dell’offerta che in quella di adesione. Ed è proprio a questo need of protection che ha cercato di dare risposta la Consob. Infatti, nell’esercizio delle deleghe conferite dai suddetti articoli del TUF, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, all’incirca un anno fa (precisamente nel luglio 2013), con Delibera n. 18592 ha pubblicato un Regolamento per la “Raccolta di capitali di rischio da parte di start-up innovative tramite portali online”, che si compone di 25 articoli, la maggior parte dei quali sono posti a tutela dell’incauto investimento. In verità, tale articolato complesso di norme se per un verso si spiega alla luce dell’alto rischio che caratterizza l’investimento in start- up innovative, per altro verso prevede adempimenti formali di dubbia efficacia finendo per appesantire ingiustificatamente una procedura che invece dovrebbe caratterizzarsi per snellezza esemplicità.

La Consob, infatti, al fine di mitigare i rischi operativi e di frode, sottesi all’attività di gestione dei portali online, ha istituito un Registro dei gestori, che prevede una sezione ordinaria per i soggetti-Gestori autorizzati dalla stessa Consob ed una sezione speciale riservata ai c.d. “Gestori di diritto”, le banche e le società di investimento mobiliare (nel seguito semplicemente SIM). Il compito principale dei Gestori è quello di garantire all’investitore una corretta informazione al fine di acquisire una adeguata conoscenza dei principali aspetti dell’equity crowdfunding, con particolare riguardo: alle attività svolte dal portale; ai rischi connessi all’investimento ed alle informazioni concernenti la singola offerta.

Se l’investitore, dopo aver vagliato le suddette informazioni, decide di aderire all’offerta il Gestore è tenuto a trasmettere, in modo rapido, corretto ed efficiente, l’ordine alla banca o alla SIM secondo quanto indicato nel portale stesso.

Questa “seconda” fase è disciplinata dalla normativa riguardante i servizi di investimento che pone in capo ai soggetti autorizzati una serie di obblighi informativi e regolamentari, eccezion fatta per la sola ipotesi in cui l’ammontare dell’investimento sia inferiore alle “soglie di significatività” previste all’art. 17 del Regolamento.

Alla luce del quadro normativo sin qui brevemente illustrato, è evidente, come già anticipato, che il Regolamento richiede ai Gestori uno sforzo notevole per accedere alle attività di equity crowdfunding, in termini di: struttura operativa, misure organizzative e regole di condotta. Tali requisiti rispondono sì all’esigenza di tutelare al meglio l’investitore ma al contempo si pongono in netto contrasto con la volontà del legislatore che, nella relazione illustrativa al Decreto Crescita 2.0., collocava le nuove disposizioni nella più ampia prospettiva volta alla facilitazione e riduzione degli oneri di compliance.

Come osservato da autorevole dottrina, appesantire troppo il processo con procedure onerose e dispendiose finirà inevitabilmente per allontanare dal mercato proprio gli investitori che genuinamente si erano avvicinati a questo nuovo sistema di raccolta del capitale. Sarebbe perciò necessario regolamentare tutti i modelli del crowdfunding, perché, d’altra parte, non può “funzionare” una modalità innovativa di sostegno per le diverse iniziative e realtà imprenditoriali, qual è il fenomeno di raccolta de quo, senza che ad essa corrisponda un’unica disciplina normativa e regolamentare che funga da guida per una efficiente gestione dei portali. Soltanto dopo un simile intervento normativo il crowdfunding sarà davvero motore di crescita e  di sostegno per le diverse iniziative imprenditoriali e di conseguenza potrà contribuire in modo effettivo alla ripresa economica del nostro Paese.

Si confermano così le parole del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, pronunciate durante il discorso tenuto, all’assemblea generale della Banca d’Italia, lo scorso 30 maggio, secondo cui: “la via della ripresa (…) non sarà breve né facile”.

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