Con il via libera della Sec agli ETF in Bitcoin, l'industria dell'investimento punta ad attirare sulle cripto-attività i risparmiatori. Qual è la situazione in Europa e che effetto avrà sul nostro mercato la novità americana?
La sfida lanciata alla Sec dalla sempre più rampante criptofinanza e la vittoria ottenuta con il via libera sulle piattaforme regolamentate a 11 ETF basati sul prezzo del Bitcoin, possono davvero cambiare i connotati del mercato del risparmio e dell’investimento a livello globale?
E, visto il ruolo di faro che la Sec ha sempre rappresentato per le autority europee che vigilano il mercato, la sua capitolazione che effetto può avere da questa parte dell’oceano?
Certamente un effetto lo avrà sui risparmiatori – e non solo quelli americani -, rimasti a stecchetto in anni di tassi bassi e che ora sono affamati di asset volatili, quelli da cui sperare un rialzo da capogiro, proprio come quello sfoderato nel 2023 dal Bitcoin (più 200%, sebbene preceduto da un crollo altrettanto vistoso).
«L’ETF è uno strumento accessibile e relativamente a basso costo che consente agli utenti meno famigliari con i cripto-asset di accedere con maggiore facilità agli investimenti in cripto, rafforzando la credibilità di questi ultimi… ciò segna una nuova entusiasmante era di adozione e legittimazione per il Bitcoin e per l’intero comparto dei cripto-asset», ha gioito Gianluigi Guida, ceo di Binance Italy, la più grande piattaforma di trading di cripto-asset, denunciata tempo fa proprio dalla Sec per aver violato le leggi Usa sugli investimenti.
Parole che avvalorano i timori che avevano frenato la Sec, sebbene le richieste per i nuovi ETF fossero firmate da protagonisti di primo piano dell’industria dell’investimento, da BlackRock a Fidelity, da Invesco a Grayscale, la società di gestione patrimoniale di valuta digitale più grande al mondo, quella che per prima ha imboccato la strada della battaglia legale.
Per forzare il suo no, l’autority guidata da Gary Gensler è stata trascinata di fronte ai tribunali che le hanno imposto alla fine di ammettere la quotazione e lo scambio dei primi 11 ETF basati sul prezzo spot del Bitcoin.
Cause e tribunali in cui Gensler e l’intera Commissione sono stati insolentiti come “capricciosi e arbitrari” per i ripetuti rifiuti opposti, con l’argomento che il via libera della Sec era già stato dato dal 2021 ad alcuni futures legati al Bitcoin (ma questo strumento è più complesso e costoso da gestire di un ETF).
Alla fine il risultato è stato che la stessa Commissione si è spaccata al suo interno, con i commissari Repubblicani a favore del settore cripto, quelli Democratici contro. E il presidente nel mirino dell’industria dell’investimento, che vuole l’allentamento dei vincoli che imbrigliano il mercato dei capitali, è insofferente al suo interventismo che ha imposto nuove regole per dare al settore più trasparenza, atteggiamento che lo ha portato di fatto ad allargare la sua influenza sui fondi privati. Quel mondo degli hedge fund, del venture capital e del private equity, un’industria del denaro del valore di 27 trilioni di dollari, che non ci ha messo molto a dichiarargli guerra.
La questione degli ETF in Bitcoin è stata una vittoria di questi ultimi. Il crisma ufficiale della Sec alla quotazione e allo scambio può suonare alle orecchie dei risparmiatori meno informati come un messaggio di rassicurazione, come una garanzia di affidabilità e trasparenza. Quando invece il garante del mercato e il suo presidente non hanno mai smesso di lanciare l’allarme sulla possibilità di manipolazione e di frode connessa al prezzo della cripto-valuta.
Basti pensare, infatti, che il 60 per cento di Bitcoin è nelle mani dello 0,01 per cento dei possessori , una concentrazione che rende il suo valore facilmente influenzabile.
Se questo non bastasse, è lo strumento ETF a rendere il rischio ancora maggiore: molti investitori individuali, magari piccoli risparmiatori, abituati a vedere gli ETF come strumenti “facili”, che replicano degli indici e sono meno costosi e complicati di altri, potrebbero abboccare ai nuovi “cripto-ETF” assimilandoli a quelli esistenti a pieno titolo sui mercati regolamentati, dove però i sottostanti sono trasparenti e vigilati, al contrario del Bitcoin.
L’onda del cambio di rotta americano può arrivare anche in Europa, dove pure la situazione di partenza è completamente diversa: gli strumenti di investimento in Bitcoin ci sono già.
Sono presenti in quanto autorizzati da autorità di controllo sui mercati di alcuni paesi europei e, in base alla Mifid, se una autority (in questo caso la Svezia) approva il prospetto di un prodotto di investimento, questo può circolare anche negli altri paesi europei.
La Deutsche Börse, sulla sua piattaforma Xetra, ha ammesso e scambia ETN (Exchange Traded Notes, stessa famiglia degli ETF), già dal 2022; stessa cosa fanno Euronext Paris, Euronext Amsterdam, e SIX Swiss Exchange.
L’Europa è più avanti degli Usa? Di fatto sì, sebbene, secondo i dati dell’Esma, per quanto cresciuto nel corso del 2023, il volume scambiato dei prodotti con cripto-asset come sottostante valeva globalmente, a metà 2023, 30 miliardi di euro (con Greyscale che ne rappresenta l’80 per cento), ma l’Europa pesa meno del 15 per cento del totale. Finora, quindi, il fenomeno nel nostro continente è piuttosto contenuto.
Eppure la stessa Esma non nasconde l’allarme di fondo su una scala di rischi: il market risk (quello di un crollo delle quotazioni); il rischio di un contagio interno alle piattaforme per il fallimento di una di esse; il rischio operativo, cioè il malfunzionamento di una piattaforma, sono tutti a livello altissimo. Solo l’esistenza di regole e una stretta azione di supervisione può tenerli a bada.
Quanto infine al rischio di un contagio al sistema finanziario nel suo insieme, esso resta basso, dice l’Esma, ma solo perché il mercato dei cripto-asset è ancora piccolo. Gli operatori dei fondi sono però decisi a farlo crescere, come dimostra la concorrenza che si stanno già facendo sui tagli ai costi di sottoscrizione dei prodotti per gli investitori.
Gli investitori europei sono quindi altrettanto vulnerabili di quelli americani?
La Ue ha imboccato da subito una strada diversa rispetto a quella della Sec. Proprio perché il panorama degli strumenti d’investimento in cripto-attività si presentava variegato e rischioso, e soprattutto non armonizzato, ha deciso di fare un passo avanti: regolare con precetti comuni a tutti le cripto-attività e l’attività di negoziazione attraverso una direttiva apposita, la Micar, che entrerà in vigore a inizio 2025.
Anche se il Bitcoin resterà non regolabile in sé, perché questa è la sua natura, almeno la sua negoziazione e il meccanismo attraverso il quale vengono stabiliti i prezzi, cioè le piattaforme di trading, saranno trasparenti e quindi affidabili. E il rischio insito in questo tipo di investimenti sarà ridotto. Ma non annullato del tutto.
In attesa che la Micar operi pienamente, i prodotti sono già a disposizione degli investitori europei, come si diceva, in quanto presenti nel menu delle grandi borse continentali, dalla Germania alla Francia.
Non in Italia. È una giusta protezione o una limitazione?
Per un investitore italiano che lo desideri è comunque possibile investire nei cripto-asset negoziabili su quelle borse. Ma fa riflettere il fatto che, per ora, strumenti di questo tipo non ci siano, anche se non perché la Consob li abbia vietati. In realtà nessuno qui li ha proposti.
Forse ciò dipende dal fatto che l’Italia è un mercato molto grande per il retail, per chi fa trading da solo, ma dove il risparmio gestito è meno sviluppato, per cui i fondi hanno meno interesse a entrare?
Lo scenario, però, potrebbe presto cambiare. Intanto la Micar non è ancora operativa e poi, una volta abbattuta la barriera fino a oggi imposta dalla Sec, tutta l’industria del risparmio sarà in grado di proporre i nuovi ETF in Bitcoin come mainstream e solleticare gli appetiti anche dei tanti investitori retail. Insomma, il 2024 si presenta con un anno a forte rischio, in cui i contrappesi al selvaggio west delle cripto-attività non sono ancora del tutto operativi ma in cui l’industria finanziaria sarà libera di esercitare la sua pressione di mercato. Un bell’impegno per chi deve vigilare.