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POLITICA ECONOMICA
I tre fronti della Trumponomics

Imprese, economisti, mercati: ecco cosa vogliono, cosa prevedono e cosa si attendono dalle ricette con cui Donald Trump ha disseminato la sua campagna elettorale. Dall'enfasi sulle crypto alle tariffe, dal taglio dei tassi all'inflazione

Paola Pilati

Dopo i ruggenti anni Venti che hanno visto la borsa americana sfondare tutti i precedenti record, ora assisteremo all’avvento di una nuova età dell’oro, come promette Donald Trump grazie alla sua Trumponomics? Il fronte delle imprese, negli Usa, è al massimo dell’eccitazione: la deregulation promessa dal nuovo presidente, a cominciare da quella sull’AI, li fa gongolare. Ma soprattutto sperano che Trump riprenda il filo dei tagli alle tasse fatti durante il suo primo mandato e approfitti della maggioranza repubblicana al Congresso, assicurata per i prossimi due anni, per riscrivere il sistema fiscale dalle fondamenta.

Michael Strain, direttore dell’ufficio studi di politica economica all’American Enterprise Institute, ha già chiarito quali sono i desiderata della constituency imprenditoriale: rendere permanente il sistema del “full expensing”, che permette di dedurre il costo totale di alcuni investimenti nell’anno in cui vengono fatti invece che nel tempo, e un altro bel taglio alla corporate tax, già ridotta da Trump in passato. Per compensare questi tagli, propone di introdurre una tassa sui consumi, una sul cash flow delle imprese e chiede che, nel futuro sistema di tariffe all’import, siano detassate invece le esportazioni, dato che i beni esportati non vengono consumati in casa. Quanto agli stipendi, certo che devono essere tassati, ma non i capital gains, per incoraggiare gli investimenti.

Dove trovare le risorse per realizzare questo programma, visto che i nuovi tagli delle tasse impatteranno su deficit e debito? Svuotando e facendo a brandelli l’IRA, l’Inflation reduction Act di Biden, pivot della sua politica industriale, che promuoveva tra l’altro il passaggio all’energia pulita attraverso crediti d’imposta, obiettivo che al Trump pro-petrolio non interessa.

C’è poi il fronte degli economisti, molto meno compatto e assertivo di quello delle imprese.  Di fronte alle dirompenti proposte dell’agenda economica di Trump gli economisti appaiono retrocessi a lettori di fondi di caffè: come valutare l’impatto futuro di iniziative che scompigliano così radicalmente le regole acquisite e travolgono ogni autorità diversa dal potere della casa Bianca?

Prendiamo la promessa di fare degli Usa la crypto-capitale del pianeta. Le truppe trumpiane sono già in movimento: il senatore Mike Lee ha avviato una iniziativa legislativa per impedire alla Fed di lanciare la sua moneta digitale, progetto condiviso da quasi tutte le banche centrali; la senatrice Cynthia Lummis – sono entrambi repubblicani – ha proposto di creare una riserva strategica imponendo a Tesoro e Fed di comprare un milione di Bitcoin da tenere per vent’anni. Serviranno, questo l’obiettivo, a ripagare il servizio del debito pubblico americano. Al netto delle mille perplessità che la proposta solleva, resta quella sull’indimostrabile certezza che il Bitcoin continui a salire come ha fatto in queste settimane di eccitazione.

L’obiettivo neanche tanto nascosto della nuova presidenza e del suo clan è di mettere la Fed all’angolo. Minarne l’indipendenza, accusarla di aver finanziato a piene mani il deficit del bilancio pubblico e di non sapere tagliare la testa all’inflazione.

Quella sull’inflazione è la madre di tutte le battaglie, non solo economiche ma anche politiche. L’impennata dei prezzi sui bilanci famigliari è costata cara a Biden. Ma nessuno ha mai messo in discussione quel “global standard” per cui sono le banche centrali a controllare i tassi per domare l’inflazione. Trump, invece, ha sempre dimostrato fastidio nei confronti di una Fed che non si mette al servizio della Casa Bianca nel manovrare il costo del denaro.

Che cosa accadrà, si chiedono oggi gli economisti, quando la benzina dei provvedimenti annunciati da Trump – a partire dalle tariffe all’import – farà ripartire l’inflazione?

La risposta ci porta sul terreno degli analisti della finanza, disorientati anch’essi tra un futuro di crescita e produttività grazie allo scatenamento degli animal spirits e un orizzonte condannato al vicolo cieco della stagflazione. È vero che le borse hanno festeggiato la vittoria repubblicana, perché tagli alle tasse e deregulation fanno intravedere più ricchi profitti. Ma anche se Trump viene visto come un concentrato di vitamine per il mercato, molte sue ricette possono avere effetti nefasti sulla crescita, sempre per via delle tariffe e anche per la cacciata in massa degli immigrati che lui promette iniziare dal primo giorno di insediamento. Meno immigrati vuol dire meno lavoratori per le imprese e quindi anche retribuzioni più alte.

Di certo, tutti sono pronti a scommettere che i conti pubblici non miglioreranno. Il debito ha già raggiunto il 123 per cento del Pil e nel 2024 il servizio del debito ha superato per la prima volta negli Usa la spesa per la difesa. Che cosa potrebbe succedere sul mercato dei Treasury, che vale 27 trilioni di dollari, se il cammino di rientro dei tassi intrapreso dalla Fed dovesse fermarsi o rallentare? Gli ultimi dati sull’inflazione hanno già suonato il primo campanello d’allarme e ridotto le scommesse sull’ampiezza dei tagli che la Fed farà di qui a giugno. Ne sortirebbe un mix di alti tassi – e quindi mutui sempre costosi – e dollaro forte che potrebbe far saltare i nervi a un Trump appena insediato e in cerca di gesti forti: Powell è avvisato.

Insomma, per gli analisti delle grandi banche d’affari e dei fondi d’investimento è difficile, allo stato dei fatti, dare consigli definitivi. Ma il bello è che nessuno ci fa caso: è alla borsa che tutti guardano come l’atteso miracolo della Trumponomics, un bull market senza ripensamenti, senza sguardi al passato, perché è lì che un presidente misura il suo vero successo. E così sia.