approfondimenti/politica economica
I tassi negativi non fanno miracoli

Una larga parte del circuito finanziario internazionale è da tempo caratterizzata da tassi d’interesse negativi. Questo scenario ha assunto una dimensione veramente internazionale da quando (giugno 2014) la Bce ha posizionato in territorio negativo il tasso corrisposto sui depositi overnight. Più recentemente (febbraio 2016) anche il Giappone ha condiviso questa posizione. Tra i paesi che non hanno adottato tassi monetari negativi ci sono gli Stati Uniti. Combinandosi con le politiche di Quantitative Easing i rendimenti negativi dominano una parte significativa del mercato globale dei titoli pubblici ($11 trilioni a fine giugno, con la prospettiva di ulteriore incremento). La politica monetaria accomodante crea un temporaneo disincentivo per il risparmio e al contempo stimola fortemente gli investimenti; ma questo sforzo produce pochi risultati se non si individuano programmi di spesa produttiva.

Silvano Carletti
Carletti

Una larga parte del circuito finanziario internazionale è da tempo caratterizzata da tassi d’interesse negativi, una “innaturale condizione” analoga a quella che si proverebbe ”camminando a testa in giù sul soffitto di una stanza” [1] .

Ad aprire la strada a questo scenario è stata nel luglio 2009 la Riksbank (Banca centrale della Svezia) seguita nel luglio 2012 dalla Banca centrale della Danimarca.

Questa linea di politica monetaria ha però assunto una dimensione veramente internazionale da quando (giugno 2014 ) la Bce ha posizionato in territorio negativo il tasso corrisposto sui depositi overnight ricevuti dalle banche (dal marzo scorso a -0,40%). La modifica di questo tasso si è combinata con la revisione dei due tassi guida attivi (il tasso sulle main refinancing operationsora allo 0%, quello sui prestiti overnight allo 0,25%).

A dare ulteriore forza a questo orientamento di politica monetaria è stata successivamente la Svizzera (gennaio 2015) e poi soprattutto il Giappone che più recentemente (febbraio 2016) ha stabilito un costo dello 0,10% per accogliere i depositi delle banche. In molti paesi per mitigare l’impatto di questa decisione sui costi degli istituiti di credito sono state stabilite alcune esenzioni. La Bank of Japan ha stabilito un three-tier system: utilizzando specifici parametri, il deposito di ciascun istituto di credito viene suddiviso in tre parti cui viene attribuito un rendimento positivo, nullo, negativo.

Tra i paesi che non hanno adottato tassi monetari negativi ci sono gli Stati Uniti. La Federal Reserve, infatti, remunera positivamente (+0,50%) le riserve in eccesso di cui sono titolari gli istituti di credito.

I depositi detenuti dagli istituti di credito dell’eurozona presso la Bce dopo aver superato nella seconda metà del 2012 i €400 mld, sono poi progressivamente diminuiti fino a scendere al di sotto dei €100 mld nei mesi finali del 2014. Da allora si è registrata un’intensa ripresa culminata nel superamento di quota €500 mld alla rilevazione più recente (giugno 2016), quindi dopo l’ulteriore inasprimento del costo di questa scelta deciso dalla Bce all’inizio di marzo scorso (a -0,40%).

Per comprendere questo andamento si deve considerare che il deposito presso la Banca centrale non è l’unica modalità a disposizione di un istituto di credito per gestire l’eventuale eccesso di liquidità. Se ne possono considerare almeno altre tre: il circuito dei prestiti interbancari, la detenzione diretta di questa liquidità, l’investimento in titoli.

La prima opzione non è di fatto disponibile (l’eccesso di liquidità è caratteristica comune alla quasi totalità degli operatori bancari, sia nel circuito nazionale che internazionale); la seconda, pur rimanendo un’ipotesi remota, ha guadagnato recentemente qualche spazio.

Considerata la dimensione dei flussi finanziari coinvolti, la più importante alternativa al deposito presso la Banca Centrale resta l’investimento in titoli pubblici. L’incremento dei depositi delle banche dell’eurozona presso la Bce sembra in larga misura spiegato proprio dal parallelo andamento del mercato dei titoli pubblici. Secondo una recente rilevazione di Fitch Ratings, a livello globale i titoli di debito pubblico con rendimento negativo avrebbero raggiunto a fine giugno gli $11,7 trilioni; di essi, $7,9 trilioni sono giapponesi e $3,2 trilioni titoli europei. Rispetto a fine maggio 2016 l’aggregato registra una crescita complessiva di $1,3 trilioni, un incremento per circa metà di natura contabile (indebolimento del dollaro rispetto allo yen). La durata media di questi titoli con rendimento negativo tende a crescere: alla fine di giugno, i quelli a lunga scadenza erano pari a $8,5 trilioni ($2,6 trilioni con scadenza pari o superiore a 7 anni).

All’inizio di luglio 2016 i titoli del debito pubblico francese offrivano un rendimento positivo solo per scadenze superiori a 9 anni; nel caso di quelli tedeschi è negativo anche il rendimento del titolo decennale; in Giappone è negativo anche il rendimento dei titoli con scadenza a 15 anni. Nel caso dei titoli sovrani della Francia o della Germania per spuntare un rendimento migliore dell’attuale -0,40% applicato sui depositi presso la Bce ci si deve posizionare sulle scadenze medio-lunghe (almeno 6 e 8 anni, rispettivamente), Come per tutti gli investimenti in titoli a tasso fisso, se i rendimenti scendono si contabilizza una plusvalenza, se i tassi salgono si prende atto di una minusvalenza. Nell’insieme si comprende come molti istituti considerino sopportabile l’onere dello -0,40% richiesto dalla Bce per rimanere liquidi.

Remunerazione e ammontare dei deposi delle banche presso la Bce

Fonte: elaborazione Servizio Studi Bnl su da Bce

L’intensa crescita dell’ammontare dei titoli di debito pubblico con rendimento negativo è evidente conseguenza delle politiche di acquisto attuate da molte banche centrali, politiche in alcuni casi in corso da anni (Bank of Japan), in altri casi esperienza invece più recente (la Bce da marzo 2015, quasi in parallelo a Riksbank).

Oltre ai titoli del debito sovrano emessi dai paesi dell’eurozona, la Bce è autorizzata ad acquistare anche i titoli delle agenzie e delle istituzioni europee, i titoli emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione e le obbligazioni garantite (covered bond), titoli emessi dalle autorità regionali e locali (da dicembre 2015). Nel marzo 2016, oltre ad incrementare l’importo mensile degli acquisti (da €60 fino a €80 mld) ed allungare la durata dell’intero programma (anche oltre marzo 2017), la Bce ha ulteriormente ampliato la gamma dei titoli interessati includendo le obbligazioni investment gradedenominate in euro emesse da società non bancarie situate nell’area dell’euro.

Ampliando la gamma dei titoli candidabili la Bce intende da un lato rafforzare la trasmissione dell’impulso monetario al sistema economico, dall’altro lato contrastare il restringimento della platea di titoli acquistabili. Il regolamento del programma vieta infatti l’acquisto di titoli pubblici il cui rendimento sia inferiore a quello stabilito per i depositi overnight ricevuti dalle banche operanti nell’area. Questa disposizione determina l’esclusione di circa €700 mld di titoli pubblici dell’eurozona, titoli posizionati sulla prima parte della curva dei rendimenti e per poco meno della metà tedeschi.

Il prevalere di tassi marginalmente positivi o negativi ha un inevitabile impatto sulla capacità di reddito degli operatori finanziari. Per quanto riguarda le banche l’effetto finale del protrarsi di questo scenario di tassi è di complessa determinazione. L’onere richiesto per il deposito di liquidità presso la banca centrale rappresenta un costo aggiuntivo che incide direttamente sul risultato finale. Per attenuare questa negativa ricaduta, alcune banche hanno cominciato a richiedere un compenso per accogliere depositi di rilevante ammontare e/o per quelli di cui sono titolari gli investitori professionali. Questo orientamento, adottato da alcune banche statunitensi, ha trovato poca diffusione nell’eurozona. Per la compensazione del nuovo onere, molto più diffusa risulta la revisione del prezzo di numerosi servizi bancari erogati alla clientela.

I tassi d’interesse passivi hanno uno spazio di discesa minore di quanto generalmente non si registra per quelli attivi. Nell’insieme il margine d’interesse sembra destinato a risentire in maniera sfavorevole dell’attuale scenario dei rendimenti finanziari. D’altra parte, il contenuto livello dei tassi attivi può stimolare la domanda di finanziamenti, un effetto che però tende a cristallizzare su un più ampio arco di tempo lo scenario attuale. In Italia, ad esempio, i nuovi contratti di mutuo sono attualmente per il 60-70% a tasso fisso.

La discesa molto pronunciata dei rendimenti finanziari ha però determinato anche ricadute favorevoli di particolare rilievo quali, ad esempio un più intenso sviluppo dell’attività di gestione del risparmio (in Italia, nell’ultimo biennio la raccolta netta ha superato i €300 mld) e il proporsi di rilevanti plusvalenze nel portafoglio obbligazionario, conseguenza delle intense politiche di acquisto attivate dalle Banche centrali.

Secondo le rilevazioni della Banca d’Italia per le banche del nostro Paese la somma delle correzioni (positive e negative) indotte da questo scenario di rendimenti ha prodotto nel 2015 un risultato ancora (limitatamente) favorevole. Rispetto all’anno precedente il margine d’interesse ha registrato una flessione del 3,5% dovuta ad una diminuzione del tasso medio attivo superiore (di quattro decimi) alla diminuzione del costo medio della provvista. La riduzione degli interessi attivi è per due terzi dovuta ai contratti di prestito e per il resto al rendimento dei titoli. Alla contrazione del margine d’interesse si è contrapposto un aumento delle commissioni (in particolare, quelle riconducibili all’attività di gestione del risparmio) e un forte incremento dell’attività di negoziazione. Nell’insieme i ricavi sono aumentati dell’1,7% (+€1,5 mld).

Le diverse valutazioni di questa scelta di politica monetaria

Sulla base delle più recenti risultanze statistiche le spinte deflazionistiche non sembrano ancora essere state sconfitte. Le autorità monetarie dell’eurozona sostengono che senza le scelte effettuate nel 2015 il consuntivo dell’eurozona sarebbe stato peggiore, sia in termini di crescita sia di inflazione. Sul fronte dei prezzi, nel caso della Svezia il consuntivo sembra migliore (+1% a/a a giugno).

Lo scenario caratterizzato da rendimenti finanziari negativi è oggetto di letture assai diverse, da cui derivano valutazioni ancor più articolate sulle necessarie scelte di politica monetaria.

Un primo punto di vista è quello che ritiene che un contesto di rendimenti negativi condizioni negativamente e in misura rilevante tanto gli investimenti quanto i risparmi. Secondo questa tesi, inoltre, la condotta decisamente accomodante della Bce ha allentato fondamentali vincoli di finanza pubblica e di conseguenza offerto a molti governi la possibilità di rinviare le necessarie riforme strutturali. Chi sostiene questa posizione (tra essi, David Folkerts-Landau, capo economista della Deutsche Bank) ritiene che le scelte della Bce da un lato non hanno conseguito l’auspicato rilancio dell’attività economica, dall’altro determinano rilevanti rischi di tenuta per l’intera costruzione europea.

Anche l’Ocse criticare questa linea di politica monetaria, soprattutto per la durata e il suo protrarsi ulteriore nel futuro. Tassi d’interesse negativi determinano incentivi perversi per gli investitori e andamenti irrazionali dei mercati. Impediscono, in particolare, il dispiegarsi del “processo di distruzione creatrice”, quello cioè che porta all’eliminazione delle imprese senza prospettive e al contempo apre spazi di sviluppo alle imprese dotate di potenziale innovativo.

Sembrano un po’ attenuate le perplessità di chi teme che la rilevante liquidità monetaria resa disponibile possa tradursi in nuove bolle speculative. Se non mancano paesi in cui le quotazioni immobiliari crescono in misura intensa, nel complesso tuttavia la dinamica dei prezzidelle abitazioni non sembra fuori controllo. I mercati azionari, da parte loro, più che dall’euforia sembrano da mesi dominati dalle incertezze sull’evoluzione dello scenario globale. Viceversa, risulta sensibilmente aumentata la liquidità che grandi imprese e asset managers tengono “parcheggiata” nei loro bilanci. .

Secondo le autorità monetarie, il problema non sono i tassi bassi ma piuttosto la deflazione che se protratta rende insostenibile qualunque forma di debito, finendo per destabilizzare in misura drammatica l’intero sistema finanziario.

La discesa dei rendimenti finanziari, peraltro, non è fenomeno recente ma ha avuto inizio alcuni decenni fa con una progressiva riduzione dei tassi reali a lungo termine (si stimano 450 punti base negli ultimi trenta anni) alimentata da cause ben individuabili. Tra esse, gli squilibri ereditati dalla crisi finanziaria (debt super-cycle), una più intensa accumulazione di risparmio indotta dall’invecchiamento della popolazione e dall’accresciuto ruolo di paesi con più forte inclinazione/necessità di risparmio (secular stagnation), un forte indebolimento della domanda aggregata determinato dal processo di transizione verso una nuova era tecnologica (transition towards the second machine age).

La politica dei tassi negativi e il Quantitative Easing hanno l’obiettivo di produrre lo scossone necessario per invertire questo trend. La politica monetaria accomodante crea un temporaneo disincentivo per il risparmio e al contempo stimola fortemente gli investimenti; ma questo sforzo produce pochi risultati se non si individuano programmi di spesa produttiva. In definitiva, quindi, a dover essere messe sotto accusa non sono le scelte di politica monetaria ma il modesto contributo offerto dalle altre leve di politica economica.

 


[1] Cfr. Salvatore Rossi – Relazione sull’attività svolta dall’IVASS nell’anno 2015, Roma, 15 giugno 2016.

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