Osservatorio Banche
I prestiti al mattone sono un pericolo per le banche?

Che influsso ha la diffusione del Covid-19 nel rapporto tra circuito creditizio e mercato immobiliare? Ecco i dati aggiornati, nell'Eurozona e in Italia

Silvano Carletti
Carletti

Tra circuito bancario e settore immobiliare c’è da sempre un legame molto intenso. La capacità di trasformazione delle scadenze delle aziende di credito (passività a breve termine a fronte di attività a più lungo termine) trova nel mercato dei mutui una delle sue applicazioni più importanti. D’altra parte, più che per altri settori le prospettive dell’immobiliare sono condizionate dal supporto delle banche. 

L’interazione tra questi due ambiti, tuttavia, produce a volte esiti molto sfavorevoli: la crisi del 2008-09 in larga misura ha avuto come detonatore lo scoppio in molti paesi di una rilevante bolla immobiliare. È quindi comprensibile che nella fase di incertezza e turbolenza prodotta dalla diffusione del Covid-19 la condizione complessiva dei sistemi bancari e le dinamiche del mondo immobiliare vengano seguite con particolare attenzione.  

Nell’Eurozona lo stock dei finanziamenti per l’acquisto di abitazioni supera (agosto 2020) i 4.600 miliardi, oltre sei volte il credito al consumo, il 77% del credito alle famiglie e il 43% del totale dei finanziamenti al settore privato non finanziario (cioè l’insieme dei prestiti a famiglie e imprese ovvero il totale dei prestiti esclusi quelli a Pubblica Amministrazione,  società finanziarie, assicurazioni e fondi pensione). Il flusso di nuove erogazioni registrato nell’ultimo trimestre del 2019 (55mld circa) risulta (finora) decurtato in misura  relativamente contenuta dalla pandemia (secondo i calcoli della Bce, nei mesi più recenti il tasso annuo di crescita delle erogazioni si è attestato intorno al 4%). 

Più della metà dei mutui concessi nell’area euro è attribuibile a Germania e Francia; se si aggiunge la Spagna si arriva a sfiorare i due terzi. La quota del nostro Paese supera di poco l’8%, orientativamente quattro punti percentuali in meno della sua incidenza nel circuito bancario dell’area. Questo sottodimensionamento dell’Italia è frutto di due circostanze tra loro evidentemente collegate: peso più ridotto dei prestiti alle famiglie sul totale dei prestiti al settore privato non finanziario e minore incidenza dei prestiti per l’acquisto di abitazioni sul totale dei prestiti alle famiglie.

Nell’agosto scorso i prestiti alle famiglie rappresentavano nell’eurozona il 56% del totale dei prestiti al settore privato non finanziario, con la Germania al 61%, la Spagna al 58%, la Francia al 53%. L’Italia è al 48%. La distanza dagli altri paesi è ancora considerevole ma negli ultimi anni la convergenza (catching up) è stata decisamente forte. Rispetto a 10 anni fa, infatti, il dato tedesco e quello francese risultano quasi invariati (-0,8 e -0,3 punti percentuali, rispettivamente) mentre quello spagnolo e quello italiano sono cresciuti sensibilmente (+9,3 e +8,2 punti percentuali, rispettivamente). 

La divergenza appena segnalata è frutto di più fattori, tra cui la diversa incidenza dei mutui fondiari sul totale dei prestiti alle famiglie. Nell’agosto scorso i prestiti per l’acquisto di abitazioni costituivano nella media dell’Eurozona il 77% dei prestiti alle famiglie, con la Francia all’81%, Germania e Spagna prossimi al 74%. L’Italia è appena al 61%. Sotto questo profilo la dinamica degli ultimi 10 anni ha accentuato le differenze già esistenti: le quote di Francia e Germania risultano in forte progresso (+6,8 e +5,2 punti percentuali, rispettivamente), quella dell’Italia è cresciuta di poco (+1,5 pp), quella spagnola si è ridotta (-1,7 pp).

L’esposizione bancaria verso il mercato immobiliare non si limita ai prestiti per l’acquisto di abitazioni. Un contributo importante alla definizione di questo legame viene anche dai finanziamenti alle imprese di costruzione e da quelli a società impegnate nelle attività immobiliari. Si tratta complessivamente di poco più di 150mld di prestiti. Nel nostro Paese (ma non solo) le imprese appartenenti a queste due branche si caratterizzano per la loro fragilità finanziaria che emerge chiaramente nelle fasi congiunturali sfavorevoli. In effetti all’ultima rilevazione (agosto 2020) risulta loro attribuibile una quota assai elevata (oltre due quinti) delle sofferenze bancarie verso il sistema produttivo. 

A rinforzare ulteriormente il legame in esame è la constatazione che una larga parte dei prestiti viene erogata dalle banche a fronte dell’acquisizione di una garanzia immobiliare. Nell’ultimo quinquennio disponibile (2014-18) il flusso annuo di queste operazioni è stato in media pari a 81mld, dei quali un terzo circa connesso all’acquisto di un’abitazione ed il resto (53mld) legato invece a finanziamenti con altra finalità. Assumendo la dimensione del credito utilizzato come indicatore del rilievo economico della controparte, la presenza di una garanzia reale è rilevante soprattutto per le realtà economiche minori.

L’escussione di una garanzia è processo faticoso, costoso, con tempi diversi nei singoli paesi e spesso all’interno dello stesso Paese (caso Italia). D’altra parte, la presenza di una garanzia non solo riduce la perdita in caso di inadempienza (LGD, Loss Given Default) ma diluisce sensibilmente nel tempo il suo trattamento contabile (secondo le regole del calendar provisioning la svalutazione totale di un prestito deve avvenire entro 7 anni se la garanzia è non immobiliare, entro 9 anni se la garanzia è immobiliare). 

Tutte le argomentazioni cui si è (sinteticamente) accennato evidenziano l’importanza delle vicende del settore immobiliare per la stabilità del sistema creditizio. Una conferma di ciò si trova negli stress test periodicamente organizzati dalle autorità di vigilanza. Nella definizione dello scenario avverso, infatti, uno dei fattori centrali è proprio il crollo delle quotazioni nel mercato immobiliare.

Cogliere i trend che caratterizzano il mercato immobiliare è difficile, soprattutto nell’attuale contesto. Secondo un recente report del gruppo bancario svizzero Ubs in molte delle 25 principali città del mondo sta proponendosi un serio rischio di bolla immobiliare. Concentrando lo sguardo sull’Europa in questa fattispecie rientrerebbero Monaco di Baviera, Francoforte, Parigi, Amsterdam e Zurigo; su valori non equilibrati ma neppure particolarmente pericolosi sono Londra e Ginevra; viceversa, con quotazioni complessivamente realistiche sarebbero Milano, Madrid e Varsavia. Difficile stabilire l’affidabilità di analisi di questo tipo.

Nel caso dell’Italia informazioni utili per definire con qualche chiarezza lo scenario immobiliare possono essere tratte dai documenti prodotti dall’Agenzia delle Entrate e dall’Istat. 

Nel primo caso si tratta dell’OMI (Osservatorio del Mercato Immobiliare), pubblicato con cadenza trimestrale e capace di documentare autorevolmente l’andamento delle transazioni tanto del mercato residenziale quanto di quello non residenziale.

Per quanto riguarda il comparto residenziale, alla flessione del primo trimestre (-15,5%) è seguita (non inaspettata) una contrazione ancor più forte nel trimestre successivo (-27,2%); rispetto al primo semestre 2019 risultano completate quasi 65mila transazioni in meno, uno shock che ha investito in modo poco differrenziato capoluoghi e non capoluoghi, grandi città e tutte le aree del Paese. Cospicua anche la flessione registrata nel segmento non residenziale con oltre 12mila transazioni in meno. La scansione a livello mensile lascia intravedere un evidente recupero con la fine del lockdown (a giugno per entrambi i comparti la flessione a/a si riduce al 6%). 

In un contesto quindi di forte contrazione dei volumi di compravendita i prezzi registrano una netta tendenza al rialzo. Secondo l’Istat, infatti, nel secondo trimestre 2020 l’indice dei prezzi delle abitazioni acquistate dalle famiglie sarebbe aumentato del 3,1% rispetto al trimestre precedente e del 3,4% nei confronti dello stesso periodo del 2019 (+1,7% a/a e +0,9% t/t nei primi tre mesi del 2020). La crescita dei prezzi risulta più marcata nelle due ripartizioni settentrionali (+5,5% e +4,1% a/a nel secondo trimestre), con Milano quasi al 16% (a fronte del +1,3% di Roma e del +1,8% di Torino). 

Un qualche risveglio dei prezzi si era già registrato nella seconda metà del 2019, ma quanto registrato in questa prima parte del 2020 (il maggiore incremento da inizio 2010) ha sorpreso anche gli esperti del settore. Il primo punto da evidenziare è che la tendenza è condivisa dal resto del mondo. In secondo luogo è chiaro che le transazioni formalizzate nella prima parte del 2020 sono state in gran parte definite nel ben diverso contesto pre-pandemia. Inoltre è noto che in campo immobiliare la relazione tra volumi e prezzi si dispiega su tempi medio-lunghi. 

Detto questo, si è consapevoli che i fattori da considerare sono molti, possono alterare le quotazioni immobiliari in un senso o nell’altro, sono in alcuni casi difficili da quantificare. Ad esempio, l’incertezza economica e il crollo degli affitti stanno tagliando gli acquisti immobiliari per investimento, componente non trascurabile nello scenario pre-pandemia;  nell’ambito non residenziale, invece, significativo sarà l’impatto della diffusione dello smart working; d’altra parte, il mercato dei mutui beneficierà ancora a lungo dei modestissimi tassi d’interesse. Tutto considerato, a fronte di uno sconvolgimento così ampio e profondo due trimestri sono decisamente pochi per formulare una previsione ragionevolmente fondata.