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Osservatorio Banche
I pagamenti digitali spingono i ricavi

Le banche italiane continuano a vivere una stagione fortunata in Borsa. Quanto ai conti, l'andamento deludente dei ricavi da commissione è ampiamente compensato dalla crescita dei servizi di pagamento: merito della diffusione degli strumenti digitali e degli investimenti in IT

Silvano Carletti
Carletti

Per le banche italiane prosegue la fase favorevole. L’azione dei fattori positivi sembra ancora largamente prevalere sugli influssi di segno opposto, primo fra tutti il rallentato passo della congiuntura economica in tutto il Vecchio continente. Della tenuta di questo saldo positivo sembra fortemente convinto il mercato borsistico, che nei primi tre mesi dell’anno ha in media rivalutato i titoli bancari italiani di quasi il 35%, con punte superiori al 40%.

Nell’anno in corso il risultato economico potrebbe registrare un nuovo rialzo, seppure di ampiezza più contenuta rispetto quanto visto nel recente passato (nel 2023 l’utile netto è cresciuto di quasi l’80% rispetto ad un già soddisfacente 2022).

Ad alimentare questa convinzione sono molti fattori, primo fra tutti la prudenza con la quale le principali banche centrali sembrano intenzionate a gestire la fase di riduzione dei tassi di riferimento (better safe than sorry). Come giustamente osservato, le banche centrali hanno sostituito la pratica di fornire agli operatori finanziari indicazioni più o meno esplicite sul possibile orientamento della politica monetaria (forward guidance) con un meno espressivo commento dei dati congiunturali (data dependent meeting by meeting).

Il vertice della Bce ha così finora evitato di prendere qualsiasi impegno sulle mosse future, mentre il presidente della Federal Reserve ha preannunciato un possibile taglio dei tassi nella seconda parte dell’anno, senza però indicare né quando né di quanto.

Nell’attuale congiuntura finanziaria le aziende di credito italiane e quelle spagnole sembrano meglio posizionate di quelle degli altri principali paesi europei. Secondo un’analisi dell’Ubs il margine d’interesse delle banche italiane e di quelle spagnole sarebbe cresciuto a/a, a gennaio 2024, del 18% e del 22%, a fronte di una media continentale dello 0% e di flessioni del 13%, del 16% e del 21%, rispettivamente, in Francia, Germania e Paesi Bassi.

Nel suo intervento al congresso annuale dell’ASSIOM Forex (febbraio 2024) il governatore della Banca d’Italia ha evidenziato che in Italia l’80% circa dell’ammontare dei prestiti alle imprese e il 35% circa di quelli alle famiglie sono a tasso variabile mentre le corrispondenti quote in Francia e Germania sono inferiori al 40% per i prestiti alle imprese e ammontano a circa il 5% e il 15%, rispettivamente, per quelli alle famiglie.

In quella stessa occasione Fabio Panetta ha segnalato che l’esperienza passata indica che un aumento dei tassi di interesse ha effetti positivi sui bilanci bancari nel breve periodo, ma su orizzonti estesi finisce spesso per ripercuotersi negativamente sulle condizioni finanziarie di famiglie e imprese, con un deterioramento della qualità del portafoglio prestiti.

Qualche segnale in questo senso si percepisce già. Secondo una recente ricerca di Nomisma tra le famiglie titolari di mutuo o prestiti (orientativamente la metà dei 26 milioni di famiglie italiane), il 4% è già insolvente mentre un ulteriore 12% manifesta irregolarità nei pagamenti con il rischio a breve di diventare inadempiente. Si tratta, in definitiva, di circa 2 milioni di famiglia/contratti di finanziamento.

Nel gennaio scorso i prestiti alle famiglie si sono ridotti dell’1,3% sui dodici mesi  mentre per quelli alle società non finanziarie la flessione è stata del 4%, comunque un miglioramento dopo il -6,7% a/a a settembre 2023. Nel caso delle famiglie, la contrazione dei prestiti ha accompagnato un calo del numero delle compravendite immobiliari.

Nel caso delle imprese a determinare questo sfavorevole andamento sembrano essere stati più fattori: il forte aumento degli interessi attivi che ha ridotto la domanda dei nuovi prestiti e reso molto più onerosi (e quindi spesso non rinnovati) anche quelli in essere (ampia diffusione dei tassi variabili); i più rigorosi criteri di selezione adottati dalle banche; le incertezze geopolitiche e la non brillante congiuntura economica che hanno frequentemente indotto a rinviare i progetti di investimento (il calo più forte riguarda i prestiti a più lunga scadenza). Possibile anche una maggiore capacità di autofinanziamento.

Ne risulta una netta differenza rispetto al resto d’Europa, dove la contrazione dei prestiti alle imprese si ferma allo 0,5%, con la Germania (in stagnazione/recessione economica) a -0,7% e la Francia a -0,9%; più grave la contrazione in Spagna (-1,6%) e Portogallo (-3,1%), comunque meglio dell’Italia.

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L’ampia mole di dati contenuta nei bilanci annuali conferma la difficoltà delle banche italiane ad accrescere in modo stabile i ricavi da commissione. Malgrado i frequenti annunci di accresciuto impegno, anche nel 2023 il consuntivo è stato insoddisfacente: in media –2,4% per i 5 gruppi maggiori.

Tra le molte componenti di questo aggregato, almeno una è però da tempo su un apprezzabile trend di crescita: quella riferibile ai servizi di pagamento. Se per i tre gruppi maggiori si confronta il dato relativo al biennio pre-pandemia (2018-19) con il dato registrato nel biennio più recente (2022-23), si rileva una crescita del 137%, a fronte di una crescita del totale delle commissioni attive di appena il 9%. In termini di ammontare annuo si è passati da 2,2 a 5,3 mld.

Si tratta di una constatazione contabile che come tale risente dei percorsi aziendali (ad esempio, nel 2020 Intesa ha completato l’acquisizione di Ubi). La condivisione del fenomeno si coglie rilevando la simile dimensione dell’incremento del peso delle commissioni attive da servizi di pagamento sul totale delle commissioni attive: per l’insieme dei tre gruppi si è passati dal 12% al 25%, con Intesa al 29% e Bpm al 30%. UniCredit è al 20%, ma soprattutto registra, per i ricavi da servizi di pagamento, una crescita particolarmente modesta (appena 17% rispetto ad oltre il 300% degli altri due gruppi), una situazione che l’accordo pluriennale in fase di definizione con Nexi potrebbe correggere.

Negli ultimi anni il mercato degli strumenti e dei servizi di pagamento, specie al dettaglio, ha registrato importanti cambiamenti, per effetto degli sviluppi tecnologici, degli interventi normativi volti a sostenere l’efficienza e la sicurezza del comparto, nonché a seguito della pandemia che ha accelerato la transizione verso l’uso di strumenti digitali.

Nel nostro Paese i margini di crescita nei pagamenti digitali sono ancora elevati considerando che il contante, pur avendo ridotto la sua incidenza nel tempo, è ancora lo strumento predominante. Il numero pro-capite di pagamenti alternativi al contante in Italia è aumentato significativamente nel tempo (195 nel 2022 contro 64 nel 2008), ma è ancora poco più della metà rispetto al dato medio per l’area dell’euro (circa 370 nel 2022). Nel primo semestre del 2023, il numero di transazioni con strumenti alternativi al contante è stato pari a 6,2 mld, in aumento di circa il 15% a/a, un ritmo superiore a quello europeo (+10%). Le direttrici dell’innovazione nei pagamenti retail sono indotti anche dallo sviluppo del fintech, che ha consentito spesso la combinazione di più servizi a valore aggiunto.

Si può anche aggiungere che lo sviluppo digitale ha accompagnato il processo di rimodulazione e ridimensionamento della rete distributiva, la principale determinante della struttura dei costi per le banche retail. A livello sistema, nell’ultimo decennio il numero degli sportelli è diminuito del 36%, quello dei dipendenti del 14%. Nel 2022 (ultimo anno documentabile), la gestione del settore IT motore di questa trasformazione (ma cui sono delegate anche altre funzioni aziendali) ha originato spese correnti per circa 4,2 mld, investimenti per 2,1 mld e assorbito il 4,3% del personale.

È innegabile che i prestatori di servizi di pagamento abbiano dovuto sostenere importanti oneri economici, tecnici e di compliance per adeguarsi ai nuovi standard di sicurezza ed efficienza, ma i dati prima richiamati evidenziano come la diffusione della leva digitale abbia rappresentato un investimento vincente, accrescendo i ricavi (a cominciare da quelli dei ricavi da servizi di pagamento) e contenendo sensibilmente la dinamica dei costi totali.