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ANALISI
I nuovi USA e il disordine mondiale

Le accuse all'Europa. Il progetto su Gaza "lungomare di pregio". Il trattamento di Zelensky. I conflitti di interesse che arricchiscono il presidente. Le tante domande che le mosse di Trump cominciano a sollevare

Oliviero Pesce
Olivero-Pesce

Dal giorno del suo insediamento, il 20 gennaio scorso, Donald Trump, in meno di cinquanta giorni, ha sottoscritto un pirotecnico insieme di provvedimenti, sui quali ha spesso dovuto innestare retromarce, fondamentalmente a due scopi: all’interno, per testare di quali poteri può impadronirsi, svuotando quelli del Congresso, senza trovare una reale opposizione; all’estero per sperimentare una nuova politica imperiale (Canada, Groenlandia, Panama, Gaza) e forzare la mano, con la minaccia di dazi, ai paesi «amici», perché «comprino americano» (cosa che, se non fanno per i beni reali, fanno abbondantemente per i servizi informatici, commerciali e di Intelligenza Artificiale) e sostengano spese sinora sostenute dagli USA, nella sua funzione, dal secondo Dopoguerra, di garante dell’ordine mondiale; ordine che intende sostituire con un ordine ben diverso, multi-imperiale, non più di cooperazione, ma di rapina. Imponendo ricatti cleptocratici. Sulla base di spese sovrastimate, che non ha realmente sostenuto. E che, in Ucraina, l’Europa ha sostenuto in misura maggiore.

In questo ambito, alcune pretese trumpiane sono facilmente confutabili. Va messo in evidenza, infatti, che un saldo passivo della bilancia commerciale statunitense vuol dire che gli Stati Uniti hanno ricevuto e ricevono, da ottant’anni, beni reali (merci) in cambio di carta (i dollari). Gli Stati Uniti si sono costantemente finanziati sull’estero e negli anni le passività americane sono sempre cresciute in misura superiore ai suoi attivi sull’estero: a fine 2024 le passività americane sono di circa 60 mila miliardi di dollari (trillions), gli assets circa 35, con un saldo netto negativo di 25 mila miliardi.

I dazi, se e quando effettivamente applicati, non potranno che avere effetti inflazionistici in America, e recessivi in tutto il mondo. Se poi lo scopo dei dazi americani fosse quello di riportare in patria investimenti reali, rinunciando a questi apporti del resto del mondo (incluso il lavoro dei migranti), poiché il tasso di disoccupazione negli USA si aggira oggi tra il 3,4 e il 4% (merito dell’amministrazione Biden), – il più basso dal 1969 – l’effetto inflazionistico sarebbe ancora più estremo. E costringerebbe numerosi americani a tornare all’agricoltura, ovvero all’Ottocento e al primo Novecento.

Anche se l’Europa ha goduto per anni della copertura militare americana, essa ha comunque compensato gli USA assorbendo eurodollari e dollari per importi assai rilevanti (60 trilioni di dollari sono pari a circa venti volte il Pil dell’Italia e della Spagna sommati; a più di due volte il Pil USA, di poco superiore al citato saldo netto negativo).

Robert Triffin si rese conto già nel secondo Dopoguerra che l’accumulo sempre crescente di dollari detenuti all’estero avrebbe eroso la fiducia nella possibilità che i dollari potessero essere convertiti in oro a 35 dollari l’oncia, cosa che si verificò puntualmente nel 1971, quando Nixon fu costretto a porre fine alla convertibilità, dichiarando allo stesso tempo la fine del sistema di Bretton Woods, e, di fatto, l’inadempienza (il default) degli USA.

Sostenendo militarmente l’Europa, gli Stati Uniti hanno tenuto lontano il rischio russo, cosa per loro essenziale. Basti ricordare la crisi dei missili cubani. E non si può non ricordare che per anni alla Germania (e nel Pacifico al Giappone) il riarmo era vietato dai trattati di pace ad essi imposti dagli Stati Uniti. L’Unione europea (per anni una Comunità fondamentalmente economica) non è nata per «fottere gli Stati Uniti», come questi ultimi non sono nati per «fottere il resto del mondo», come pure si potrebbe sostenere, per gli ultimi decenni.

Né la NATO è stata un’idea puramente europea, come si vorrebbe far credere oggi, da parte di persone che la Seconda guerra mondiale neppure sanno cosa sia stata, e che non ricordano gli interventi militari sovietici nella «zona d’influenza» dell’URSS (le colonie interne e quelle in Europa; che gli ungheresi sembrano aver dimenticato, ma che i polacchi e i paesi baltici ricordano benissimo). Trump (e Musk) dimenticano che furono gli Stati Uniti ad imporre all’Ucraina di trasferire in Russia (alla dissoluzione dell’Unione sovietica) 1.900 testate nucleari, contro la garanzia che l’integrità territoriale della Ucraina sarebbe stata difesa dalla stessa Russia, dagli USA, dal Regno Unito, dalla Francia e dalla Cina. Solo il Regno Unito e la Francia sembrano ricordarsene.

Ma torniamo alle nomine recenti, che facilmente potranno ritorcersi contro chi le ha effettuate. Quando si smette di basarsi sulle istituzioni del paese di cui si è presidenti, per avvalersi di propri fedeli, di pretoriani, prescindendo da qualsiasi competenza, i rischi sono enormi. Come faranno gli Stati Uniti a fronteggiare la Cina, e il resto del mondo, eliminando i generali più competenti e affidando il Pentagono a un influencer televisivo, la Sanità a un no vax, tarpando la ricerca scientifica e gli aiuti all’estero, negando l’esistenza delle persone «non binarie», scardinando il sistema di inclusione sinora vigente ed espellendo dal paese milioni di lavoratori stranieri rappresenta una serie di incognite enormi.

Ai primi di febbraio è stata confermata a capo del Department of Justice, Pam Bondi, precedentemente Attorney General della Florida, la quale sta estromettendo dal sistema tutti i dipendenti che si sono occupati di Trump durante la Presidenza Biden. Si governa «per vendetta». Bondi ha anche richiesto la lista delle migliaia di funzionari della FBI che hanno investigato sui disordini del 6 gennaio a Capitol Hill (i quali stanno cercando di proteggere la propria identità) e sta abolendo «l’iniziativa cleptocratica» che ha portato al sequestro di beni di stranieri sino a ieri sanzionati, inclusi gli yacht di oligarchi russi, [1] più benvoluti, questi ultimi, degli ucraini. 

E una serie di provvedimenti di Musk, effettuati senza valutarne le conseguenze, lo hanno costretto a fare marcia indietro (vedi i licenziamenti che hanno messo in crisi vari rami dell’amministrazione, e in particolare il controllo del traffico aereo) e lo hanno messo in rotta di collisione con vari ministri.

Sul piano poi della economia «personale», Trump vive in un perenne conflitto d’interessi, dalla quotazione di Truth al lancio (in gennaio) dei suoi $Trump, che gli hanno fruttato 350 milioni di dollari e sono costati assai di più agli incauti che avevano abboccato (vedi l’FT dell’8/9 febbraio 2025); mentre spesso le sue altalenanti esternazioni (e provvedimenti) potrebbero ben determinare casi di aggiotaggio.

Ma questo fuoco di fila di provvedimenti, già di per sé aberrante, è stato superato da ultimo da due rivolgimenti radicali.

Per egolatri come Donald Trump e Elon Musk il me first – io innanzi tutto – è di rigore, gli interessi personali prevalgono su tutto, e perfino sulla sicurezza nazionale. Il trattamento cui i due maramaldi, Trump e Vance, hanno sottoposto Zelensky nello Studio ovale il 28 febbraio, sostenendo persino che la guerra in Ucraina sarebbe stata iniziata da lui, e che non avrebbe «le carte», secondo loro avrebbe dovuto squalificare quest’ultimo.

Ha invece confermato il sospetto che Trump, sostenuto dalla Russia nelle elezioni del 2016 e nelle successive, sia controllato da Putin e non possa che allinearsi alle sue richieste. Per cui fa il «mediatore» tra Russia e l’Ucraina, giocando nella squadra russa. Cercando, tra l’altro, di disfare l’Europa, e i suoi conati di indipendenza, aiutato da numerose quinte colonne, che Vance e Musk fomentano apertamente. Qualcuno comincia a rendersi conto di quanto sta avvenendo, e Mr Vance, invitato ad andare a sciare in Russia, è stato messo alla porta dalle sue vacanze in Vermont.

Trump, nel frattempo, sostiene che Gaza andrebbe «ripulita» spostando due milioni o più di persone in Giordania e in Egitto, per farne un resort di lusso con l’aiuto dei parenti immobiliaristi, che dichiarano la striscia «lungomare di pregio». Mentre, con le sue statue d’oro e le foto con Netanyahu sulla spiaggia, si trasforma in una sorta di videogioco. Senza tenere conto, naturalmente, dei diritti dei gazawhi, né di quelli dell’Egitto e della Giordania, né del fatto che i palestinesi della diaspora, nei paesi arabi e in Israele sono già circa sette milioni, per la maggior parte concentrati in campi profughi, e privati persino del diritto di rientrare a casa loro. Contro qualsiasi legge internazionale.

L’idea, oggi, di trasformare Gaza in una sorta di Sharm el Sheik, mentre lì muoiono decine di migliaia di persone, attualmente, durante una cosiddetta tregua, privati di acqua e luce, è letteralmente oscena, ed ha lo stesso valore morale che avrebbe l’ipotesi di trasformare Auschwitz in una discoteca, una balera, uno spazio da concerti rock.


[1] Vedi l’articolo di Edward Luce «Trump’s imperial emporium», sul FT dell’ 8/9 febbraio 2025.

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