Fintech va inquadrata concettualmente e disciplinata, comporta nuovi rischi ma dà la possibilità di perseguire maggiore efficienza e soprattutto obiettivi di inclusione rispetto ai quali la finanza tradizionale è spesso risultata inadeguata
In prima approssimazione, si possono distinguere tre categorie:
Dando per scontato che i fenomeni appartenenti alla prima area consentono l’adeguamento delle medesime categorie impiegate per l’attività umana, una delle possibili chiavi di lettura per tentare di riordinare un quadro concettuale è quella – per certi versi ovvia – costituita, in prima battuta, dalla presenza e dall’intensità dell’effetto di disintermediazione (umana) prodotto dall’impiego della tecnologia e, in seconda battuta, dall’effetto della disintermediazione sui caratteri strutturali e funzionali delle operazioni tipiche degli specifici mercati di riferimento.
Una prima precisazione è necessaria in ordine a ciò che si debba intendere per disintermediazione.
Una prospettiva eminentemente fattuale si delinea qualora siano profilate operazioni la cui struttura non presuppone la funzione di disintermediazione. Una prospettiva di diritto si presenta invece qualora venga meno l’obbligo di intermediazione in operazioni di regola intermediate.
Nella prima delle prospettive indicate, ove la piattaforma sia meramente un luogo, si profilano una polverizzazione dei rapporti e una conseguente frammentazione delle dinamiche di mercato.
Disintermediazione nella prospettiva di diritto significa essenzialmente non applicabilità delle discipline regolanti l’attività di intermediazione, sotto il profilo delle condotte e dei vincoli prudenziali correlati alla patrimonializzazione.
La piattaforma consente però anche modalità operative del tutto nuove, le quali differenziano anche strutturalmente le operazioni da quelle tradizionali. Gli esempi più noti sono le c.dd. opzioni binarie e, soprattutto, i c.dd. CFD (contratti per differenza). Le prime caratterizzate dall’aggancio del rendimento al movimento di valore in un intervallo temporale molto breve. I secondi costruiti sulla previsione di aumento o diminuzione del valore di titoli assunti a riferimento esterno (non acquistati) in intervalli temporali talvolta di pochi istanti.
Su queste operazioni sono possibili considerazioni di diverso ordine.
Innanzitutto, dal punto di vista della qualificazione, non c’è dubbio che si tratti di scommesse. Pure scommesse: al contrario di ciò che avviene per i derivati OTC, la loro conformazione – a causa in particolare dell’elemento temporale – non consente il collegamento con altri contratti nelle linee di operazioni economiche più complesse; non consente cioè di profilare ipotesi di giustificazione funzionale più ampia. Ove ci si ponesse un problema di meritevolezza di questi contratti, si dovrebbe gioco forza impiegare l’unico parametro possibile, ovvero quello della razionalità della scommessa misurata sulla base della valutabilità in termini probabilistici del rischio assunto dallo scommettitore: valutabilità che in questo caso dovrebbe tuttavia essere certamente esclusa in ragione della istantaneità delle operazioni.
In secondo luogo, se centrale è l’elemento temporale, guardando a esso si colgono caratteri più ampi che distinguono le negoziazioni algoritmiche prospettando correlative profonde mutazioni dei fondamenti oggettivi e soggettivi dei rapporti finanziari. Tre in particolare:
Anche qui la disintermediazione assume un ruolo assai significativo. Essa tuttavia si presenta in maniera peculiare. Innanzitutto, a differenza di quanto visto con il trading on line non si presenta sul piano fattuale ma su quello giuridico, nel senso che non è normativamente sancita la necessarietà dell’intermediazione e che, conseguentemente, l’intermediazione non ha qui una propria regolamentazione legale.
Di fatto c’è dunque intermediazione. Nell’equity based crowdfunding le operazioni sono regolate sulla base di un rating assegnato all’impresa finanziata da un algoritmo, il quale algoritmo genera, sulla base del rating, i tassi di interesse da applicare al debito. Nel lending based crowdfunding le parti sono messe in relazione a seguito della valutazione del merito di credito, la quale è – ancora una volta – prodotta da un algoritmo.
L’algoritmo, dunque, intermedia e decide. Ma risponde? In via generale l’assenza di una disciplina pone il problema dell’applicabilità dei principi dell’attività d’intermediazione nella finanza e nel credito; applicabilità agevole da affermare in astratto, non sempre profilabile con semplicità in concreto attesa la profonda diversità delle operazioni e degli elementi di fatto di esse propri.
Certamente, la disciplina appena abbozzata dal recente intervento di Banca d’Italia non è sufficiente. È soltanto un primo passo. Un successivo notevole sforzo dovrà compierlo in primo luogo lo stesso legislatore per consentire la qualificazione dei fenomeni e l’individuazione di regole applicabili alle condotte e di regimi di responsabilità pur nel rispetto della natura (spesso) spontanea dei fenomeni e della conseguente aspirazione alla libertà da vincoli e da controlli.
Per concludere, di là dal prospettabile lungo catalogo di profili problematici e a fronte di esso, è opportuno sottolineare il valore che la disintermediazione può assumere con riguardo al perseguimento di obiettivi rispetto ai quali la finanza tradizionale è spesso risultata totalmente inadeguata. Il cosiddetto finanziamento dal basso – disintermediato – di progetti a impatto sociale si mostra in grado di schiudere territori assai ampi e, diremmo, importantissimi per la riorganizzazione del welfare nella logica della autoproduzione dei servizi sociali, consentendo di costruire reti di solidarietà “interessata” e inducendo cioè il passaggio – da alcuni, da tempo sollecitato – dalla logica del nonprofit a quella del low profit. Vale molto più di un mero incremento di efficienza della finanza tradizionale e da sé basta a giustificare una considerazione ottimistica di un fenomeno del quale oggi stiamo osservando soltanto l’inizio.