approfondimenti/Mercato finanziario
CONSOB
I crittografi al lavoro sulla "Ico"
Paola Pilati

Sarà la “Ico” la porta di ingresso dei risparmiatori italiani al mondo della blockchain? La “initial coin offering”, che impazza negli Usa, ma in Europa è accettata solo in Svizzera, è un sistema di raccolta del risparmio per una start-up a mezzo del crowdfunding, ha come corrispettivo una moneta virtuale, un coin o un token, ed è gestita con la tecnologia blockchain. In sostanza, il titolo che dà valore all’investimento è una stringa di numeri memorizzata nel mondo web. «La tecnologia è uno schermo potente per le frodi, in un mondo a tassi zero», mette le mani avanti il commissario della Consob Paolo Ciocca, «e infatti le frodi aumentano. Come difendersi se qualcuno mette sul mercato un “Cioccacoin”qualsiasi?», riflette con una battuta. Domanda che ha spinto la Consob ad aprire una consultazione sull’argomento Ico che si concluderà in Bocconi il 21 maggio in un incontro pubblico con accademici e operatori. 

Per l’autority che controlla il mercato, le Ico lasciano aperte troppe domande: che natura giuridica hanno, che tipo di informazioni devono offrire all’investitore, come si può creare un mercato secondario e come si forma su questo il prezzo, che liquidabilità ha l’investimento? E poi: come si potrà vigilare, e condurre un’ispezione, su un algoritmo il cui valore sta nell’essere crittografato e quindi segreto, affidato inoltre alla blockchain, la catena di blocchi per sua natura impenetrabile e immodificabile? Interrogativi che sono come un campo minato per chi deve assicurare trasparenza ai risparmiatori, la missione della Consob. 

Eppure, il fatto che la criptofinanza e i suoi nuovi strumenti di investimento sia ai confini di casa – appunto in Svizzera – che in Europa  Malta sia pronta a seguirla, ma soprattutto che la Francia abbia appena approvato in Parlamento la legge quadro per regolare le Ico, ha spinto la Commissione, ora guidata da Paolo Savona, a mettersi al lavoro su questo fronte. Obiettivo: offrire al nostro legislatore gli strumenti per intervenire, se e quando vorrà farlo. 

Lo studio della criptofinanza e dei suoi linguaggi, dei nuovi territori che può aprire in prospettiva, e dove il sistema regolatorio come lo conosciamo deve affinare le sue armi, apre interrogativi che sono già dell’oggi. Per esempio, quello della sicurezza dei sistemi attuali degli intermediari finanziari rispetto ai cyber-attacchi. Forse non c’è fretta se, come dice Ciocca: «Dal punto di vista commerciale il tema non è ancora maturo», ma è maturissimo se si considera che «la sicurezza delle transazioni è legata alla fiducia. E la fiducia è una percezione. Se la gente ha la percezione di non essere più protetta dai sistemi cifrati usati oggi, questo è un problema».

È per questo che il mondo fatto di competenze tutte giuridiche, economiche e finanziarie di Consob, si è accostato al mondo dei matematici e dei crittografi. «Scoprendo che abbiamo in Italia una comunità fortissima di esperti, una scuola fantastica», dice Ciocca. Questo mondo, finora rimasto nell’ombra delle accademie e dei centri ricerca, è invece molto effervescente, come ha dimostrato il convegno dove la Consob l’ha chiamato a raccolta il 9 maggio. La blockchain sta infatti portando molti cervelli dalla didattica al terreno della sfida tecnologica e del business, spingendoli a creare network e scambi, a offrire le loro competenze per trovare soluzioni pratiche, insomma a gettare le base anche da noi, in Italia, di un nuovo settore produttivo a servizio della fintech. 

Una di queste realtà si chiama “De componendis cifris”. Il nome latino si ispira al titolo del trattato di Leon Battista Alberti, l’umanista che a metà del Quattrocento spiegò come rendere segreti e sicuri  i documenti papali con la crittografia. Oggi identifica l’associazione nazionale dei crittografi, guidata da Massimiliano Sala, professore di algebra a Trento: settecento persone sparpagliate tra università e centri ricerca in attesa che il nuovo Centro nazionale di crittografia, promesso dal Piano di sicurezza informatica nel 2017, prenda finalmente vita. 

Nel frattempo, De Cifris ha prodotto una “cifris chain” cioè una sua blockchain che si può declinare in diversi prodotti: dal tracciamento di pacchi dell’e-commerce (è interessata Poste Italiane), al trusted data sharing, che permette le transazioni tra diverse pubbliche amministrazioni a livello europeo, al progetto Eustema, che mette a disposizione dei cittadini un modo per gestire i propri documenti e dati personali con sicurezza e privacy. O ancora il progetto Konfido, che serve per gestire l’assistenza medica ai cittadini europei che soggiornano all’estero. Oppure Cherry chain, sistema di pagamento basato sulle transazioni registrate sulla blockchain, che sta sperimentando i prodotti di identità digitale prodotti dal Poligrafico dello Stato.

Poiché nessun progetto, in questo campo, può essere a dimensione locale, gli scienziati del ramo si scambiano, si mischiano, sono transnazionali. Come avviene per Hyperledger Fabric, creato da un consorzio governato dalla Linux Foundation per lo sviluppo di una blockchain non pubblica ma ad accesso privato, in cui lavorano tecnici italiani come Angelo De Caro. Oppure Horizen, che ha dato vita a una criptovaluta, Zen, tra le prime cento al mondo e la più decentralizzata, guidata da Roberto Garoffolo, un italiano, proprio dall’Italia.

D’altra parte l’Italia, su questo fronte, non è affatto al giurassico, se il Direttore Generale dei sistemi informativi e dell’innovazione del Dipartimento dell’amministrazione generale del Mef, Francesco Paolo Schiavo, ha raccontato che è proprio la tecnologia blockchain che permette oggi di pagare lo stipendio a fine mese agli oltre tre milioni di dipendenti pubblici. Con una applicazione su misura per la nostra Pa, derivata dal progetto europeo Sunfish, grazie a smart contract gestiti sulla blockchain, il Mef può erogare in sicurezza 51 miliardi l’anno in buste paga di statali e forze armate. 

Il Mef è anche capofila a livello europeo di un altro progetto – che si chiama Poseidon – che utilizzando la blockchain metterà i dipendenti della Pa in grado di gestire in forma sicura i propri dati personali nei rapporti con enti terzi come sindacati, le finanziarie che erogano prestiti, o le assicurazioni. Insomma la blockchain, anche se non ce ne siamo ancora accorti, è ormai già arrivata nel nostro quotidiano. Difficile che resti ancora molto lontana dal nostro portafoglio di risparmiatori.