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I criteri ESG hanno poco spazio nelle banche

Da un lato si favorisce la concentrazione del sistema bancario per la stabilità finanziaria, dall’altro lato si impone alle banche l’osservanza dei criteri ESG. Nella realtà questi ultimi non trovano spazio nel modello verticistico dominante in banca. Servirebbe un cambiamento di grande portata

Maurizio Baravelli e Giovanni Bianchini
Baravelli
Giovanni-Bianchini

L’attività bancaria e finanziaria specie negli ultimi anni – quale effetto anche della crisi economica e pandemica – ha subito un’accelerazione verso assetti oligopolistici e al tempo stesso si sono consolidati modelli organizzativi e manageriali verticistici1.

Una tendenza che confligge con la sostenibilità sociale, i cui capisaldi risiedono nei principi della partecipazione, dell’inclusione e del pluralismo. In un contesto di crescente concentrazione finanziaria e di accentramento decisionale sono infatti messi in discussione i principi della democrazia industriale e organizzativa.

Vi è un’evidente contraddizione tra una regolamentazione che, da un lato, continua a favorire la concentrazione del sistema bancario al fine della stabilità finanziaria, e, dall’altro lato, impone alle banche l’osservanza dei criteri ESG (Environment, Social, Governance), che fanno presa sulla corporate social responsablity

Ci troviamo, pertanto, di fronte a un problema di corporate democracy nel settore bancario e finanziario. Mentre la letteratura socio-economica lo considera rilevante per un’economia e una società pluralista, non si riscontra la dovuta attenzione del regolatore nel considerarlo un pericolo per un’economia di mercato che si vuole inclusiva e socialmente responsabile.

Con il prevalere dei grandi gruppi bancari e finanziari, il governo della finanza risulta confinata nelle mani di “pochi” in contesti aziendali, in cui la stragrande maggioranza del personale dispone di autonomie molto limitate ed è lontana dai processi decisionali che contano.

Riteniamo che questa doppia concentrazione – a livello settoriale e organizzativo – confligga con i principi della sostenibilità sociale e che il regolatore debba intervenire sulla corporate democracy promuovendo governance aperte alle rappresentanze del personale e degli altri stakeholder e adottando misure normative che difendano il principio del pluralismo istituzionale. Sul piano organizzativo occorre anche che si sviluppino modelli organizzativi e stili manageriali partecipativi, orientati al decentramento e al coinvolgimento decisionale del personale.

La socialità in ambito aziendale riguarda il grado di coinvolgimento del personale nei processi decisionali e nella condivisione delle strategie socialmente sostenibili; la partecipazione assicura un controllo attivo delle strategie ESG della banca da parte del personale che attenua il verticismo decisionale. Mentre la democrazia partecipativa (delega e decentramento decisionale) è una concessione del management e dipende dagli stili direzionali, la democrazia rappresentativa (modelli di governance allargata al personale e agli stakeholder) richiede previsioni da parte del quadro istituzionale e normativo.

Le preoccupazioni del regolatore sui rischi climatici e ambientali sembrano finora prevalere rispetto ai fattori “social e governance”,  mentre la letteratura si è soffermata su alcuni di questi profili (sistemi di remunerazione e incentivazione, diversità di genere e consiglieri indipendenti nei board), trascurando le relazioni tra governance allargata (dipendenti e altri stakeholder) ed effetti sulle performance di sostenibilità delle strategie aziendali. Ma va preso atto che sono le modalità di funzionamento istituzionale e organizzativo a mostrare se un’impresa può dirsi socialmente responsabile.

Considerato il ruolo svolto dalla stakeholder primacy in un’economia europea orientata alla sostenibilità sociale, la partecipazione dei dipendenti nei consigli di amministrazione è stata sollecitata dal Parlamento europeo a proposito del governo societario sostenibile (risoluzione del 17 dicembre 2020), una raccomandazione che gli Stati membri hanno però fino a oggi disatteso.

Quanto alla democrazia partecipativa, la normativa vigente sui criteri ESG non dà una risposta sull’adeguatezza dei modelli organizzativi e manageriali sostenibili; si limita a citare la tutela dei diritti umani, la sicurezza sul lavoro, la parità di genere, l’inclusione. Si tratta di profili rilevanti, che non tengono conto che il contesto sociale esprime oggi maggiori esigenze e valori che vanno ben al di là di quelli minimi di base.

Sono, infatti, cresciuti nel tempo i requisiti qualitativi a cui deve rispondere una gestione organizzativa e del personale che si possa definire socialmente sostenibile. Si pensi allo scarso coinvolgimento nelle decisioni, la mancata valorizzazione delle capacità, lo stress da pressioni commerciali, le disparità retributive; senza contare gli effetti di una digital transformation che, proceduralizzando il lavoro, ha indebolito la crescita delle professionalità.

La sostenibilità sociale dei modelli organizzativi e di gestione del personale ha del resto un impatto sulla motivazione individuale e di gruppo, anche al fine di mobilitare le energie emotive e collaborative a favore delle stesse aziende. Ciò che emerge in conclusione è che la sfida della responsabilità sociale dell’attività bancaria implica un cambiamento culturale, istituzionale e organizzativo di grande portata.

1 Il tema è sviluppato ampiamente in M. Baravelli G. Bianchini, Responsabilità sociale e corporate democracy nel settore bancario, Rivista Bancaria, n. 4, 2023.

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