INTERVISTA A GERMANA MARTANO
I consulenti finanziari e il PNRR

La direttrice generale dell'Anasf, che riunisce 12 mila consulenti abilitati all'offerta fuori sede per le reti di consulenza finanziaria, spiega perché innovazione e sostenibilità sono temi fondamentali per chi consiglia i risparmiatori

Paola Pilati

Una relazione che perdura nel tempo, basata su stima e valori personali. È quasi una love story la relazione tra risparmiatore e il proprio consulente finanziario, secondo una ricerca di Nicola Ronchetti, Founder & CEO di FINER Finance Explorer: batte in durata quella con il gestore bancario (nel 50 per cento dei casi va oltre i 10 anni, un record che al gestore bancario capita solo nel 24 per cento dei casi), ed è un legame in cui scelta e fiducia giocano un ruolo fondamentale.

Sarà per questo che nell’anno del Covid il numero dei clienti ha retto bene (202 in media per consulente finanziario) e il risparmio gestito nel corso del 2020 ha aumentato la raccolta quasi del 20 per cento, portando al 19,3% la quota di risorse finanziarie delle famiglie affidate ai portafogli dei consulenti finanziari.

Il presidio di una fetta così significativa della ricchezza delle famiglie e la difesa delle buone pratiche per gestirli, ha spinto i consulenti finanziari riuniti nell’associazione di categoria, l’Anasf, a farsi avanti con le loro osservazioni sui progetti del PNRR italiano. Per dire che cosa? Lo spiega, in questa intervista, la direttrice generale dell’Anasf Germana Martano.

«Perché alla categoria che rappresento interessa il PNRR?», esordisce Martano: «Intanto perché Anasf rappresenta oltre 12 mila consulenti abilitati all’offerta fuori sede per le reti di consulenza finanziaria, un fronte professionale molto vivace, delle vere e proprie sentinelle sui mercati. La categoria è in grado di intercettare gli orientamenti dei risparmiatori – con i quali parla occhi negli occhi, e ha continuato a farlo anche durante la pandemia e il lockdown – , è in grado di cogliere i loro bisogni e i tanti stimoli che vengono dall’essere a contatto con le loro esigenze esistenziali. Poi perché il PNRR affronta parecchi temi che ci premono. Innanzitutto l’innovazione e la sostenibilità».

La digitalizzazione è uno dei pilastri del Piano a livello nazionale. Come tocca in particolare i vostri interessi?

«Li tocca perché servirà a promuovere la digitalizzazione dei processi legati agli investimenti, e ci interessa che questo avvenga anche garantendo i presidi di tutela per gli investitori. Il processo della consulenza ha anche bisogno di essere automatizzato, e questo è in parte accaduto, ma c’è un limite al suo utilizzo dilagante. Un questionario Mifid, per esempio,non si può far compilare in maniera automatica dal risparmiatore, perché è stato pensato per affrontare insieme, tra consulente e cliente, il cammino degli investimenti. Non può essere affidato a una compilazione automatica».

Qual è il grado di digitalizzazione attuale dell’attività dei consulenti finanziari?

«Tutto quello che attiene alla firma delle carte. Grazie alla firma digitale, per esempio, ha consentito di portare avanti l’attività anche durante il lockdown. Ma il consulente finanziario non è il passacarte dell’ordine d’investimento: è colui che offre consulenza, che approfondisce le tue esigenze per trovare insieme la soluzione migliore. L’automazione, insomma, include tutta una serie di atti che si possono fare online, ma il consulente svolge la sua attività nel rapporto diretto, magari via Zoom se è impossibile l’incontro fisico, e l’automazione non può esaurire il servizio di consulenza. Gli strumenti digitali servono solo per facilitare la conclusione dell’operazione, tutto il resto è contatto diretto».

Quale miglioramento il vostro mondo può attendersi dagli investimenti del PNRR?

«Restando nello stesso esempio, dare a tutti gli italiani lo stesso livello di accesso a internet aiuterebbe molto, tra le altre, anche l’attività di consulenza finanziaria. Ma c’è un’altra parte del PNRR che ci coinvolge, ed è quella dell’istruzione e della ricerca: la promozione della cultura finanziaria è infatti uno degli ambiti in cui il Piano più agire».

Che cosa proponete?

«Come Anasf andiamo da oltre dieci anni nelle scuole superiori per raccontare ai ragazzi cosa vuol dire pianificare, come utilizzare il denaro con l’ampio orizzonte di tempo di cui dispongono. Ma l’asimmetria informativa è molto diffusa. Per questo da due anni a questa parte realizziamo anche incontri a target di adulti in piccole realtà cittadine. Poi c’è il tema prioritario della messa in pari delle donne, che sono spesso il soggetto che prende le decisioni nel nucleo famigliare».

Gli italiani hanno lasciato su conti correnti una cifra crescente durante il Covid, eppure i mercati sono stati prodighi di rendimenti. Come mai? Troppo prudenza dei risparmiatori, o consulenti poco dinamici?

«È vero che i depositi sono aumentati, ma in realtà le reti dei consulenti finanziari hanno raccolto e anche tanto, come dimostrano i dati in crescita del 20 per cento. Di sicuro non sono stati alla finestra e i soldi raccolti sono stati investiti».

I consulenti finanziari sono stati fondamentali nel diffondere strumenti di investimento come i Pir, e quindi nel convogliare risorse sull’economia. Per molti, specie le piccole imprese, sono interlocutori indispensabili quanto i commercialisti. Non sono troppi ruoli per una sola professione?

«Il consulente opera su tutte le fasce del mondo del risparmio, con diversi target a livello di patrimonio, quindi deve possedere tutti gli strumenti per gestire tutte le necessità della clientela. E questo è già accaduto: l’evoluzione della figura professionale del consulente fa sì che oggi disponga di un team di colleghi esperti di tutte le tematiche, è il professionista che ti assiste in tutto il ciclo di vita, dove hai necessità di pianificare i tuoi investimenti fino al passaggio successorio e agli aspetti fiscali».

Gli investimenti ESG: cosa manca per farli conoscere e veicolarli ai risparmiatori?

«Non c’è pregiudizio da parte del risparmiatore nei confronti degli investimenti ESG. Se una cosa positiva il covid l’ha creata, è che su alcuni temi come l’ambiente, o sui goal dello sviluppo sostenibile e sul riequilibrio di genere, c’è una forte sensibilizzazione».

A proposito di riequilibrio di genere: quant’è l’occupazione femminile nel vostro settore?

«Nel 2009 era il 16 per cento, nel 2019 è arrivata al 22 per cento. Negli ultimi anni il numero di donne che fa l’esame per entrare nell’albo è cresciuto. Tempo fa contro l’accesso alla professione pesava il fatto che il risparmiatore italiano non si confrontava volentieri con una donna consulente finanziaria. Ora questo tema è superato, tanto che le donne sono aumentate, anche perché spesso il centro della decisione finanziaria in famiglia è la donna. L’Anasf ha istituito una commissione pari opportunità per spingere ancora di più verso la parità di genere della professione».