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OPINIONE
Guerra e pace

I diversi fronti in cui si combatte, in Ucraina, in Medioriente, non ci vedono estranei. E non solo per via dei terrorismi che lambiscono l'Occidente, ma anche per i valori che rappresentiamo e che dobbiamo difendere. Ecco che cosa non dobbiamo dimenticare, nel tempo delle scelte

Oliviero Pesce

Nel 1519, Machiavelli scrive che i principi italiani «credevano che a uno principe bastasse negli scrittoi pensare un’acuta risposta, scrivere una bella lettera, mostrare nei detti e nelle parole arguzia e prontezza, sapere tessere una fraude» […] «né si accorgevano i meschini che si preparavano ad essere preda di qualunque gli assaltava».[1]

Passati cinquecento anni, negli scenari di guerra a noi più vicini, a Est e nel Medio Oriente, la situazione è analoga, sostituendo a «principi italiani» «Stati europei». Stati che, ancora ignari di essere – singolarmente presi – dei nani, non si accorgono che, se gli Stati Uniti abbandonassero la NATO, sarebbero facile preda di chiunque li assaltasse e che, mentre tergiversano (dai tempi della CED e di De Gaulle!), su se, e come, si fa la difesa comune, e come la si finanzia, il tempo scorre inesorabile a loro sfavore (e nostro, di noi europei). Per difenderci, contiamo sulla vittoria elettorale (e la sopravvivenza), di Biden; sulla resistenza dell’Ucraina; sulle atomiche francesi; sulla sperata lungimiranza della Gran Bretagna. Guardiamoci attorno.

Intanto, dopo i massacri del 7 ottobre in Israele, vediamo quelli del 22 marzo in Russia, con centoquaranta morti. In un mondo di conflitti, guerre e prevaricazioni, i terrorismi prosperano e si diffondono, e contribuiscono a destabilizzare un mondo non più governato.

In Russia, Putin incoronato (potrebbe essere il titolo mozartiano) e oligarchi in pericolo, morti Prigozhin (traditore troppo tardi pentito) e Navalny (oppositore inflessibile), mentre si invoca una pace che Putin non vuole, è giunto «il tempo degli eroi». I veterani del conflitto dovranno occupare le posizioni guida nella pubblica istruzione, nelle compagnie statali, nell’imprenditoria e negli enti pubblici. Così si premiano i guerrieri, come già usava fare Roma. In una guerra asimmetrica, nella quale la Russia è «autorizzata» a invadere e ad attaccare dal cielo l’Ucraina, ma quest’ultima non può attaccare il suolo della Russia. Perché nessuno vuole una «escalation».

C’è chi osa dire che quella che sta combattendo l’Ucraina è una guerra «per procura», e che la NATO «ha abbaiato alla Russia». Si dimentica che la Crimea è stata conquistata nel 2014, senza che la NATO muovesse un dito. Che l’Ucraina è stata invasa nel 2022, e che sta difendendo – oltre all’Occidente – innanzi tutto se stessa. Si dimentica che, quando l’Unione Sovietica si dissolse, non solo la Russia venne aiutata, e non poco, dalle potenze occidentali, anche con la creazione di una banca di proprietà di numerosi Stati, inclusa la Russia, e che, su richiesta del membro principale della NATO, all’Ucraina (non più parte dell’URSS) venne imposto di consegnare alla Russia le 1.900 testate nucleari dislocate sul suo territorio. Cosa che avvenne, e a seguito della quale la stessa Russia, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, cui si associarono Cina e Francia, ne garantirono l’integrità territoriale, con un memorandum formalizzato a Budapest il 5 dicembre 1994 e più volte violato dalla Russia e disatteso dai «garanti».

Si dimentica che la NATO non ha né abbaiato, né ululato alla Russia, ma che gli ex satelliti dell’URSS, consapevoli del pericolo rappresentato da essa, alla NATO hanno volontariamente e liberamente aderito. Si dimentica che in un raro momento di saggezza, la Russia (anche di Putin) ha partecipato a esercitazioni della NATO, nel quadro di un Partenariato per la pace (Partnership for Peace), programma di cooperazione bilaterale che la Nato stabilisce con altri paesi, cui la Russia aderì negli anni Novanta, allo scopo di rafforzare le relazioni reciproche e di incoraggiare la collaborazione nel campo della sicurezza.

Dimenticate le garanzie, l’Ucraina è rimasta sola a difendersi, e a difendere noi, ricevendo dall’Occidente esclusivamente aiuti materiali, ora bloccati, negli USA, dal Congresso, e in discussione, per questioni finanziarie, in una Unione nella quale un qualsiasi Orban è in grado di incepparla; senza che nessuno suggerisca una cooperazione rafforzata, almeno militare, tra gli altri Stati membri. Malgrado la consapevolezza diffusa del fatto che il tempo stringe.

E nella stessa Unione, anche un nostro governante (Vice presidente del consiglio, Ministro delle infrastrutture e segretario della Lega «per Salvini premier», ambizioso programma), sostiene che in Russia «Hanno votato e ne prendiamo atto. Quando un popolo vota ha sempre ragione, ovunque voti».  Ricordiamo, all’onorevole Salvini, che in Russia il voto – assai poco libero, lo dice perfino la Le Pen – ha visto la presenza di militari nei seggi elettorali, e l’esclusione di tutti gli oppositori di Putin dalla possibilità di essere votati, anche grazie ad alcuni omicidi.

Ricordiamo altresì che alle elezioni politiche dell’aprile 1924 il PNF si presentò con la Lista nazionale, alla quale aderirono, oltre a fascisti e nazionalisti, diversi esponenti della destra liberale, e che il c.d. Listone ottenne il 65,2% dei voti e 376 deputati, di cui 275 fascisti. Mentre in Germania, dopo che Hitler divenne Capo del governo con la connivenza di altre forze politiche, nel 1934 i Nazisti ottennero il 43,9% dei voti, e, con la successiva «legge dei pieni poteri», Hitler non ebbe più bisogno di nessuno per controfirmare i suoi decreti e poté fare a meno anche del parlamento, riuscendo a sfruttare i meccanismi costituzionali per distruggere la costituzione e la democrazia in Germania. E istituì subito la Gestapo, della quale ancora allignano in Russia istituzioni analoghe. Pochi giorni dopo venne istituito il primo campo di concentramento a Dachau, e qui forse furono la Siberia e i sovietici gli ispiratori.  Che il popolo abbia «sempre ragione», non pare assioma indiscutibile.

Il Papa Leone I, pontefice dal 29 settembre 440 al 10 novembre 461, fu il primo pontefice al quale la posterità ha riconosciuto il titolo di Magno, il grande. La storia del suo pontificato giustifica tale riconoscimento. Dotato di una fede primigenia e soprattutto di una enorme fede nella forza della Chiesa e del papato, armato, dice la leggenda, solo di un crocifisso, affrontò Attila e lo convinse a ritirarsi e a non entrare in Roma. Il Papa attuale, che forse avrebbe potuto fermare l’invasione dell’Ucraina scomunicando l’invasore e il suo vassallo Kirill, ipnotizzato dalla «Grande Russia» e dai «fratelli» ortodossi, invece di chiedere a Putin di cessare la sua «operazione speciale», vulgo invasione, chiede ai violentati di alzare «bandiera bianca».

E veniamo al secondo fronte.

Il leader dei democratici al Senato, Chuck Schumer, ferreo sostenitore dello Stato ebraico, ha detto che gli israeliani sanno «meglio di chiunque altro che Israele non ha speranza di avere successo se diventa un paria contrastato dal resto del mondo». E la Casa Bianca ha cambiato la linea sostenuta sinora, presentando una bozza di risoluzione per un cessate il fuoco alle Nazioni Unite – peraltro immediatamente bloccata da Russia e Cina – e infine consentendo ad una risoluzione analoga, e ha annunciato sanzioni contro due insediamenti illegali in Cisgiordania, per le violenze contro i palestinesi. 

«Credo che indire una nuova elezione una volta che il conflitto comincia a ridursi darebbe agli israeliani l’opportunità di esprimere la loro visione sul futuro dopo la guerra», ha aggiunto il senatore, dicendosi convinto dell’«immenso obbligo» di parlare in quanto ebreo americano. «Moltissimi israeliani — ha continuato — hanno perso fiducia nella direzione del loro governo» e «riconoscono il bisogno di cambiare». Il discorso al Senato, durissimo nei confronti del premier Netanyahu, ovviamente ha suscitato violente reazioni del governo israeliano di estrema destra.

The Economist, pubblicazione che di Israele è amica, ha scritto che il paese è bloccato nella traiettoria più cupa dei suoi 75 anni di esistenza, caratterizzata da occupazioni senza fine di territori, da una politica di destra dura, e dall’isolamento. Oggi molti israeliani lo negano, ma prima o poi la resa dei conti politica, scrive, arriverà. E determinerà non solo il destino dei palestinesi, ma anche la sopravvivenza di Israele nei prossimi anni.

Se poi l’Occidente e l’Italia, difendono la rotta del Mar Rosso dagli attacchi alla libertà dei mari da parte di terroristi Houthi privi di qualsiasi legittimità, veri e propri pirati, pavidi italiani dichiarano che «siamo in guerra» e invocano prudenza, temono «escalation». Lasciamo pure che qualsiasi terrorista possa brutalizzare il mondo, e, alla lunga, governarci.

Consapevoli dell’orrore dei massacri di Hamas del 7 ottobre, resta essenziale che un processo di pace venga avviato, in base a impegni reciproci e ad un reciproco riconoscimento, cessando al più presto l’attuale carneficina, per due terzi di donne e bambini, che viola qualsiasi criterio di proporzionalità.


[1] Niccolò Machiavelli,  L’arte della guerra, Libro settimo, [236], pag. 232, Foschi editore, Santarcangelo, 2017