SPECIALE/LA LEGISLAZIONE AMBIENTALE 3
Green finance, il framework comunitario

Dal Green Deal del 2019, la Commissione ha sviluppato un dettagliato piano d’azione volto a raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050. Ecco tutti gli strumenti messi in campo, tra atti delegati, direttive, tassonomia...

Luca Lamanna

La finanza sostenibile si estrinseca nell’applicazione del concetto di sviluppo eco-compatibile all’attività finanziaria. Si pone, dunque, l’obiettivo di creare valore nel lungo periodo, indirizzando i capitali verso attività che non solo generino un plusvalore economico, ma siano al contempo utili alla società e non a carico del sistema ambientale. Il passaggio ad un’economia a basse emissioni di carbonio comporta investimenti in attività e progetti eco-sostenibili. Convincere gli investitori pubblici e privati ad acquistare “obbligazioni verdi” è uno dei modi per raccogliere il capitale necessario a questo fine.

Il tema della finanza sostenibile acquisisce un ruolo di primaria importanza nel panorama internazionale anche per la forte capacità di attrazione dei capitali e degli investimenti. Ne sono scaturite, a livello mondiale, progetti di autoregolamentazione riguardanti le emissioni e i finanziamenti “green” e, a livello europeo, l’avvio di un ambizioso progetto volto a favorire la transizione dell’economia europea verso un modello più sostenibile, tramite l’introduzione di un framework normativo finalizzato al ri-orientamento delle scelte d’investimento degli operatori del settore finanziario, verso decisioni remunerative e al tempo stesso più etiche.

Nel più recente periodo si è, infatti, assistito ad un progressivo interesse da parte della comunità finanziaria internazionale alle tematiche della sostenibilità, che si è tradotto nella ricerca di investimenti in titoli emessi da società quotate aventi un alto rating ESG (environmental, social and governance) assegnato su base volontaria da parte di agenzie specializzate. 

Il progetto dell’UE ha preso avvio, in particolare, col “Piano d’azione per la finanza sostenibile” pubblicato dalla Commissione Europea nel marzo 2018, che dà – tra l’altro – attuazione all’Accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici e all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile. Tuttavia, al fine di accelerare la transizione dell’Unione verso un’economia sostenibile, l’11 dicembre 2019 la Commissione ha pubblicato un ulteriore e più ambizioso documento, il c.d. Green deal, recante un dettagliato piano d’azione volto a raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050.

Nel quadro del “Green deal” la Commissione l’8 aprile 2020 ha avviato una consultazione pubblica avente ad oggetto una rinnovata strategia in tema di finanza sostenibile, conclusasi il 15 luglio 2020. L’estrinsecazione di tale progetto richiede, certamente, interventi normativi su una pluralità di fonti, con risvolti nei confronti di una ampia platea di soggetti, che comprendono non solo istituti di credito e imprese d’investimento, ma tutti gli asset manager (incluse le imprese di assicurazione) e le società emittenti strumenti finanziari. 

Volendo caldeggiare la transizione ecologica servono, evidentemente, regole puntuali ed universalmente riconosciute, capaci di inclinare gli investimenti verso attività economiche tollerabili per l’ambiente, sottoponendo agli investitori definizioni pertinenti d’investimento sostenibile.

Il Regolamento UE 2020/852 del 18 giugno 2020 “Tassonomia”, entrato in vigore il 12 luglio 2020, ha il proposito di dar luogo ad un sistema di classificazione idoneo alla creazione di un “vocabolario” di investimenti c.d. sostenibili, utilizzabile da operatori economici ed investitori nella sovvenzione di progetti ed attività economiche aventi un impatto favorevole su ambiente e clima.

Nella sfera del Regolamento sulla tassonomia, la Commissione è stata investita di presentare criteri di screening tecnico attraverso “atti delegati” con lo scopo di, ulteriormente, potenziare il linguaggio della tassonomia. Nel novembre 2020 hanno visto la pubblicazione le prime fattispecie di criteri all’interno di un prospetto delegato, intorno al quale ha preso avvio una recente consultazione pubblica. Il progetto finale, che in origine doveva essere presentato entro il 1° gennaio 2021, non ha visto un’indicazione univoca sui tempi. La causa del ritardo è sostanzialmente politica, le divisioni tra paesi hanno fatto slittare la pubblicazione da parte della Commissione europea dell’atto delegato relativo a due fonti alternativamente discusse, quali l’energia nucleare ed il gas naturale.

Nel Documento – il cui nome ufficiale è “atto delegato complementare clima” della tassonomia – approvato il 2 febbraio 2022 , si stabilisce che, a particolari condizioni chiare e rigorose, queste due fonti possano rientrare tra quelle transitorie. Per entrambe l’etichetta green si applicherebbe qualora le attività saranno effettivamente in grado di condurre verso la neutralità climatica. Nella fattispecie, per quanto attiene al nucleare, ci si riferisce ai requisiti di sicurezza sotto il profilo dell’impatto climatico-ambientale. Circa il secondo, se consono alla transizione dal carbone alle energie c.d. rinnovabili. 

La Commissione ha modificato, conseguentemente, anche “l’informativa della tassonomia”, col precipuo intento di offrire agli investitori la possibilità di vagliare le opportunità che includono gas o nucleare e compiere scelte informate. Parlamento e Consiglio europeo hanno, ora, a disposizione quattro mesi per saggiare il testo del documento e, qualora necessario, sollevare obiezioni. Il periodo di supervisione può, tuttavia, essere prolungato da entrambe le istituzioni di ulteriori sessanta giorni. Terminata la fase di “collaudo” qualora nessuno dei co-legislatori, dovesse esprimere le proprie riserve, il documento delegato esplicherà definitivamente i propri effetti dal 1° gennaio 2023.

L’occorrenza di raffinare il livello delle indicazioni sulle questioni di sostenibilità afferenti agli operatori economici e ai prodotti finanziari è perseguita complessivamente, pure dalla Non financial Reporting Directive (NFRD), dalla Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e dalla Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR).

La Direttiva 2014/95/UE NFRD, sulla rendicontazione delle informazioni di carattere non finanziario delle imprese, è stata recepita nel nostro Paese attraverso il d.lgs. 254/2016. La NFRD, che ritocca la Direttiva sui bilanci d’esercizio e consolidati, sollecita le imprese di maggiori dimensioni, comprese assicurazioni e istituti di credito, a ricomprendere nel bilancio annuale un rendiconto afferente agli aspetti non finanziari della propria attività relative alle questioni ESG. Alle società viene richiesta la disclosure in riferimento: alle policy utilizzate in materia ESG, allo schema di business adottato, agli esiti di potenziali due diligence ed agli indicatori di prestazione rilevanti per il tipo di business. L’informativa di carattere non finanziario non prevede un obbligo di conformarsi ad un reporting standard particolare; si riferisce, infatti, a quanto fondamentale “alla comprensione dell’andamento dell’impresa, dei suoi risultati, della sua situazione e dell’impatto della sua attività”.

Nei primi mesi del 2021 la Commissione UE ha pubblicato una proposta legislativa che aggiorna la NFRD, la c.d. Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD). La direttiva in questione estende la cornice applicativa della direttiva 2014/95/UE interessando tutti gli operatori economici, eccezion fatta per le microimprese, aventi sede legale in Europa con più di duecentocinquanta dipendenti (in luogo dei cinquecento dell’attuale regime). Nel concreto, l’informativa sarà fornita mediante standard uniformi posti in essere dallo European financial reporting advisory (EFRAG) e attuati dalla Commissione UE con atti delegati. Gli standard avranno luogo secondo il principio della “doppia materialità”, per cui: le aziende saranno tenute a diffondere informazioni sia sui rischi ambientali e sociali a cui sono esposte, sia sull’impatto delle attività commerciali sui fattori di sostenibilità.

Tra gli atti più recenti si annovera anche il Regolamento europeo concernente la Sustainable finance disclosure regulation (SFDR) relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari, tra le cui finalità c’è sicuramente il contrasto al c.d. greenwashing (l’ecologismo di facciata) “tramite l’introduzione di requisiti di trasparenza per tutti i partecipanti e i prodotti dei mercati finanziari”. Segnatamente, il Regolamento (UE) 2019/2088 del 27 novembre 2019 ha lo scopo di offrire un alto grado di trasparenza circa le caratteristiche ESG dei prodotti finanziari e di permettere, così, agli operatori del settore, mediante informative standardizzate, d’individuare gli investimenti che hanno, direttamente o indirettamente, propositi di sostenibilità.

In ossequio al Regolamento, un investimento si dice sostenibile nell’ipotesi in cui venga orientato verso un progetto che coadiuvi un obiettivo di natura ambientale o sociale, non danneggiando, parallelamente, alcun obiettivo legato alla transizione energetica. 

Gli obblighi previsti dal Regolamento riguarderanno la pubblicazione sul sito web dell’emittente della politica sull’integrazione dei rischi legati alla sostenibilità, nonché della dichiarazione relativa agli effetti negativi delle decisioni d’investimento sui fattori di sostenibilità. Sarà, poi, necessario il coordinamento delle politiche di remunerazione con le informazioni di coerenza e l’integrazione dei rischi climatici. Andrà integrata nell’informativa precontrattuale la descrizione dei rischi di sostenibilità, come pure la spiegazione dei principali effetti negativi sui fattori della sostenibilità di un dato prodotto finanziario.

L’informativa precontrattuale e le relazioni periodiche andranno rinforzate con le caratteristiche ambientali o sociali promosse dal prodotto finanziario. È previsto, infine, tra gli obblighi di cui al Regolamento, anche l’integrazione dell’informativa precontrattuale e delle relazioni periodiche con gli obiettivi d’investimento eco-comptabile del prodotto finanziario. 

La disclosure dell’SFDR permette di catalogare gli strumenti in tre differenti classi, distinte in base all’impegno ambientale. L’articolo 6 riguarda i fondi che non integrano alcun tipo di sostenibilità nel processo di investimento. L’articolo 8 farebbe, invece, riferimento a quei prodotti finanziari, i quali sostengono attività che a loro volta possono avallare propositi ambientali o sociali in senso collaterale, non puntando, cioè, direttamente alla loro soddisfazione (c.d. light green).

L’articolo 9 coprirebbe, per altro verso,  i prodotti miranti all’appagamento di investimenti sostenibili (c.d. dark green), vale a dire investimenti “in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo ambientale, misurato, ad esempio, mediante indicatori chiave di efficienza delle risorse concernenti l’impiego di energie rinnovabili, l’utilizzo di materie prime, di risorse idriche e l’uso del suolo, la produzione di rifiuti, le emissioni di gas a effetto serra, nonché, l’impatto sulla biodiversità e l’economia circolare; oppure un investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo sociale, in particolare con attenzione al contrasto delle disuguaglianze, promuovendone coesione ed integrazione sociale. In alternativa, un investimento in capitale umano o in comunità economicamente e socialmente svantaggiate, a condizione che le imprese beneficiarie degli investimenti rispettino prassi di buona governance, principalmente, in relazione a strutture di gestione solide, relazioni con il personale, remunerazione dello stesso e rispetto degli obblighi di natura fiscale”, ai sensi dell’art. 2 della normativa. 

Col precipuo intento, poi, di rendere effettivamente applicabili gli obiettivi enucleati nella SFDR, le European Supervisory Authorities (ESAS), hanno predisposto i c.d. Regulatory Technical Standards (RTS). All’interno degli RTS verrebbero esposte delle linee guida sui tempi e modalità di effettuazione della disclosure, relativa agli effetti negativi sulla sostenibilità nel rispetto dei Principal Adverse Impact Indicators (PAIIS); alle peculiarità degli strumenti interessati dagli artt. 8 e 9 del Regolamento ed infine, all’adeguamento al Regolamento Tassonomia di quei prodotti che hanno come fine investimenti sostenibili sotto il profilo climatico.

Per meglio intendersi, la versione finale degli RTS dell’ottobre scorso, riguardante i prodotti di cui all’art. 8 SFDR, indica una serie di requisiti minimi volti al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità. Il riferimento è al riconoscimento di una percentuale notevole del portafogli da rivolgere ad investimenti interessati dal Regolamento Tassonomia o, comunque, concretamente sostenibili. Importante è, pure, l’individuazione delle ragioni per cui si statuisca che il prodotto favorisca connotati ambientali, sociali o di governance e la realizzazione di un indice, cioè, un benchmark ESG teso alla valutazione della performance globale del prodotto.                                                                                               

Sebbene gli RTS avrebbero già dovuto essere ufficialmente adottati dalla Commissione europea nello scorso anno in un documento unitario, ciò non si è verificato, preferendo il differimento al 2023.