La decisa crescita degli utili facilita la navigazione delle banche italiane. Nel primo semestre 2023 il margine di interesse dei primi cinque gruppi è cresciuto del 56% e l'utile netto del 64%. Un quadro positivo destinato a permanere per buona parte del 2024. Con l’indebolimento della congiuntura economica e la correzione dei tassi preoccupano le rate dei mutui? Nonostante tutto, la crescita delle inadempienze potrebbe risultare contenuta
Formulare uno scenario previsivo per il settore bancario è stato nel 2022 esercizio relativamente semplice. Sembra ancora così la situazione per questa parte del 2023 e per il 2024. Ma l’incertezza per gli anni successivi è decisamente alta.
Già nei primi mesi del 2022, infatti, s’intuiva che la decisione della Bce (attuata a partire da luglio) di chiudere la stagione del Quantitative Easing e rivedere al rialzo i tassi ufficiali avrebbe aperto per le banche una fase favorevole. Dopo quasi un decennio di condizioni monetarie penalizzanti (tassi nulli e addirittura negativi sulla liquidità in eccesso), una forte pressione inflazionistica (ora fortemente endogena ma originata da fattori prevalentemente esogeni) ha indotto una revisione verso l’alto dei tassi ufficiali di riferimento che nell’arco di poco più di un anno (luglio 2022 – settembre 2023) stati rivisti al rialzo ben dieci volte per complessivi 4,5 punti percentuali.
Ne è derivata una straordinaria crescita del margine d’interesse che si è tradotta in una vertiginosa crescita degli utili per la generalità delle banche europee. Escludendo gli interventi di natura straordinaria, nel 2022 l’utile netto aggregato delle maggiori banche italiane risulta a/a raddoppiato. Una progressione altrettanto importante la si ritrova nei consuntivi relativi al primo semestre dell’anno in corso, un andamento che è ragionevole scommettere venga confermato sia nella seconda parte del 2023, sia per una larga parte del 2024.
La lettura aggregata delle semestrali 2023 presentate dai primi 5 gruppi italiani fornisce una rapida visione dell’attuale congiuntura bancaria. Rispetto a 12 mesi prima il margine d’interesse cresce del 56% trascinando in alto i ricavi (+20%) malgrado la contrazione delle commissioni nette e degli altri ricavi (-7% complessivamente). Sull’arretramento delle commissioni nette (un terzo circa dei ricavi totali) ha pesato il ritrovato appeal dei titoli di debito (anche pubblici) il cui collocamento è sicuramente meno remunerativo. I costi sono rimasti fermi come riflesso del profondo ridisegno della struttura operativa mentre le rettifiche si sono ridotte di oltre 2/3. Il risultato di gestione dopo le rettifiche risulta così aumentato (del 74%) e l’utile netto del 64%, un incremento quest’ultimo che supera l’80% se si esclude l’intervento contabile operato da Bper riferibile all’acquisizione di Carige.
Da questi conti aggregati, tuttavia, emerge anche un’indicazione meno favorevole. Rispetto alla chiusura del 2022, il totale dei crediti in portafoglio risulta diminuito, per effetto dell’ulteriore contrazione dei prestiti alle imprese e della stagnazione di quelli alle famiglie, una tendenza che si sta accentuando. A luglio, infatti, gli impieghi alle imprese non finanziarie risultavano diminuiti a/a del 4%, quelli alle famiglie dello 0,3%. Come segnalano i dati, la forte restrizione monetaria sta determinando un rallentamento della dinamica economica destinata ad accentuarsi nei prossimi trimestri.
Nell’arco di un solo semestre l’utile netto dei 5 gruppi considerati è cresciuto di oltre 5 mld, un importo che potrebbe risultare raddoppiato su base annua. Se così fosse il progresso del 2023 supererebbe quello già lusinghiero del 2022 (+8 mld rispetto al 2021).
L’impennata degli utili ha spinto le autorità di governo italiane a ipotizzare l’introduzione di una tassa sugli extra profitti acquisiti dalle banche per effetto della congiuntura finanziaria. Si tratta di una iniziativa simile a quella adottata da alcuni altri paesi europei (oltre a Lituania e Spagna appartenenti all’eurozona, anche Svezia, Repubblica Ceca, e Ungheria). Analizzando il caso della Spagna, ove il provvedimento ha già terminato il suo percorso legislativo, la Bce ha espresso la sua contrarietà, orientamento che ha riproposto alle autorità italiane.
Nel nostro Paese la discussione in Parlamento (prevista tra settembre e ottobre) servirà a precisarne molti aspetti, a cominciare dalla sua effettiva dimensione: nell’ipotesi massima si tratterebbe del 25% circa dell’incremento degli utili registrato nel 2022 rispetto al 2021. Si tratta di una cifra importante ma largamente sopportabile dagli attuali consuntivi, valutazione tanto più valida se verranno introdotti anche solo alcuni dei possibili fattori di riduzione cui la stampa frequentemente accenna.
Da un lato la tassa ha una possibile giustificazione nella constatazione che il riorientamento della politica monetaria ha posto le banche in condizione particolarmente favorevole per il diverso impatto che questa decisione ha di fatto sui tassi attivi e passivi. Dall’altro lato è, però, altrettanto evidente che la lunga stagione dei tassi quasi nulli (quasi 10 anni) ha penalizzato fortemente i conti delle banche, situazione alleviata solo limitatamente (tassi di rifinanziamento molto favorevoli, garanzia pubblica su larga parte degli impieghi, etc).
Tutto considerato sembra ragionevole affermare che la fase favorevole in cui sono immerse le banche è destinata a permanere, un contesto che ridimensiona molte possibili fragilità. Con intensità gradualmente attenuata, il conto economico dovrebbe mandare messaggi ancora favorevoli per gran parte del 2024. Successivamente, il quadro è destinato a complicarsi.
Tra le aree di attività da tenere sotto maggiore osservazione c’è sicuramente quella dei mutui immobiliari, sia per la rilevanza del loro importo complessivo (circa 425 mld) sia per la decisiva importanza che essi hanno per il funzionamento del mercato immobiliare (circa metà degli acquisti di immobili in Italia avviene a fronte dell’ottenimento di un mutuo).
Il rialzo dei tassi fin qui attuato ha scosso profondamente questo mercato. Nel Regno Unito si parla già di crisi anche perché in questo Paese i mutui a tasso fisso sono soggetti a periodica (3-5 anni) rinegoziazione: secondo la Bank of England le rinegoziazioni del tasso attualmente in corso determinano incrementi della rata mensile prossimi al 50% e i nuclei insolventi potrebbero avvicinarsi a quota 8 milioni (poco meno di un terzo del totale).
Anche in Italia lo scenario è in evidente peggioramento ma l’atmosfera è meno drammatica. Rispetto a dodici mesi prima, nel quarto trimestre del 2022 le compravendite di immobili risultano diminuite del 3,5%. Per i mutui il saldo tra nuove erogazioni ed estinzioni è nei primi 7 mesi del 2023 negativo per quasi 1 mld.
Le famiglie con un ritardo di oltre 90 giorni nel pagamento della rata sarebbero state nel 2022 il 7,5% del totale. L’esposizione al rialzo dei tassi è nel complesso limitata anche se non trascurabile: a fine 2022 i mutui a tasso variabile erano pari al 37% delle consistenze. Inoltre le famiglie che pagano rate di importo più basso, verosimilmente titolari di un reddito più contenuto, risultano tendenzialmente meno esposte al tasso variabile. La quota dei nuclei vulnerabili è ipotizzata (Rapporto sulla Stabilità Finanziaria, aprile 2023) salire quest’anno al 2,5% (di cui circa metà indebitati con un mutuo a tasso variabile per l’acquisto dell’abitazione di residenza).
L’impatto della correzione monetaria sulle famiglie è destinata ad aumentare. A contenere un possibile aumento delle inadempienze potrebbe essere l’eccesso di risparmio (in parte forzato) realizzato nella fase della pandemia. Pur ridimensionato rispetto al picco della primavera 2022, questo eccesso di risparmio è stimato ammontare all’inizio di quest’anno a circa 130 mld. La quota maggiore (60%) sarebbe nella disponibilità dei nuclei più abbienti. Tuttavia anche le famiglie meno benestanti, che tradizionalmente hanno difficoltà a risparmiare, avrebbero a disposizione risparmi superiori al “normale”.