PER UNA SVOLTA NEI FINANZIAMENTI COMUNITARI
Gli eurobond facciamoli così*

Come superare il timore di una condivisione dei rischi nell'emissione di un debito comune? Forse si potrebbe tentare un nuovo approccio: prevedere l’emissione di obbligazioni europee che finanzino progetti di interesse comune, per i quali l’Unione si ponga come committente, ma rimanendo proprietaria dei beni così creati

Oliviero Pesce

L’ipotesi di emettere obbligazioni europee – malgrado accanite opposizioni a tale sviluppo – è ritornata al centro del dibattito politico nel quadro della pandemia in corso. La situazione attuale potrebbe rappresentare un’occasione per inquadrare il problema in un’ottica diversa da come lo si è fatto sinora, che ha introdotto nel sistema europeo vincoli e istituti di natura punitiva e restrittiva invece di basarsi sui Preamboli di tutti i Trattati sottoscritti dagli Stati che hanno aderito al progetto europeo, i quali ne rappresentano i presupposti fondamentali e quindi, a mio avviso, la sua costituzione materiale, assieme alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.                                                                                                                                                         

La proposta qui avanzata ha il fine – di lungo periodo, ma da attuare in tempi quanto più possibile brevi – di mobilitare permanentemente risorse oggi disoccupate o sotto-occupate – dalla forza lavoro al petrolio – avviando l’enorme quantità di progetti che le autorità europee hanno più volte indicato come prioritari. 

L’approccio prevede l’emissione di obbligazioni europee che finanzino progetti ricompresi in questo insieme, per i quali l’Unione si ponga come Committente, rimanendo proprietaria dei beni così creati. 

Lo schema supererebbe la non voluta condivisione dei rischi tra paesi diversi, che è stata una delle ragioni per rifiutarne l’adozione; mentre i rischi assunti dall’Unione europea in base allo schema proposto sarebbero bilanciati da attività capaci di generare reddito, unanimemente ritenute prioritarie. Esito della proposta sarebbe anche quello di dotare l’Unione dei «mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi e per portare a compimento le sue politiche», come i Trattati prevedono. 

Con l’ulteriore vantaggio, in un mondo sempre più tripolare, di spostare il focus dell’attività economica del continente sul continente stesso – per un mercato di cinquecento milioni di persone tra i più avanzati al mondo, nell’interesse comune e delle generazioni future – piuttosto che sulle esportazioni, secondo un mercantilismo “export led”. Verrebbe superata l’inadeguatezza di programmi basati sul debito dei singoli stati, sull’azione della Banca europea degli investimenti e sullo spostamento di limitate risorse del bilancio dell’Unione – pari in totale a un inadeguato 1% circa del Pil degli Stati membri – da un capitolo di bilancio ad un altro. 

Sono espliciti a questo proposito gli articoli dei Trattati che ci legano, e che consentirebbero l’approccio proposto. In particolare gli articoli 310 e 311del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (d’ora in avanti, TFUE) sul bilancio e sulle risorse proprie, e gli articoli 317 e 318 del medesimo trattato sul bilancio finanziario e sullo stato patrimoniale (il conto capitale) dell’Unione. Come pure lo suffragano i precedenti della CECA e dell’Euratom, che potevano finanziare con passività i propri investimenti, e i cui bilanci sono confluiti in quelli dell’Unione. E infine gli articoli 47 del Trattato sull’Unione europea (d’ora in poi, TUE), che stabilisce che l’Unione ha personalità giuridica, e 335 del TFUE, che stabilisce che: «In ciascuno degli Stati membri, l’Unione ha la più ampia capacità giuridica riconosciuta alle persone giuridiche dalle legislazioni nazionali; essa può in particolare acquistare o alienare beni immobili e mobili e stare in giudizio», rappresentata dalla Commissione. L’Unione infine ha un’ampia capacità di agire in una serie di settori chiave dell’economia e la sua azione deve essere volta ad assicurare il benessere dei suoi cittadini; vedi in particolare i preamboli e gli articoli da 2 a 9 del TFUE.

  • I modesti piani avanzati in passato – dal Piano Juncker ai programmi di collaborazione tra settore pubblico e privato – non hanno dato i risultati attesi, e alcuni dei presupposti e delle previsioni dei Trattati alla base dell’Unione europea continuano a restare inattuati. Una svolta è necessaria.   Ricordiamo le parole chiave costantemente invocate dagli Stati membri, per il tramite dei Capi di Stato e di governo a ciò delegati, a partire dai primi accordi istitutivi del Mercato comune, della Comunità europea e infine dell’Unione, che è stata definitivamente istituita, malgrado frequenti e dolorose doglie:    
  • la fine della divisione del continente europeo e l’edificazione dell’Europa futura;
  • il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nonché dello stato di diritto;
  • i diritti sociali fondamentali;
  • la solidarietà tra i popoli europei, nel rispetto della loro storia, cultura e tradizioni; 
  • il funzionamento democratico e efficiente delle istituzioni e l’efficace adempimento dei loro compiti; 
  • il rafforzamento e la convergenza delle economie, l’Unione economica e monetaria, una moneta unica e stabile; 
  • il progresso economico e sociale dei popoli europei, lo sviluppo sostenibile, il mercato interno;  
  • che i progressi compiuti sulla via dell’integrazione economica si accompagnino a paralleli progressi in altri settori;    
  • una cittadinanza comune; 
  • una politica estera e di sicurezza comune (da non disgiungere dal rispetto dei diritti dell’uomo);   
  • la libera circolazione delle persone, uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia;       
  • un’unione sempre più stretta fra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio di sussidiarietà.                                                                                 

All’Unione, gli Stati membri hanno attribuito «competenze per conseguire i loro obiettivi comuni»; che non si identificano necessariamente con quelle dei singoli Stati e possono con essi confliggere. Scopo dichiarato dell’Unione, in un quadro di pluralismo, non discriminazione, solidarietà, è quello di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli (artt.2 e 3 del TUE); mentre gli artt. 1 e seguenti del TFUE) delimitano i settori e le modalità di esercizio delle sue competenze; competenze esclusive, concorrenti o tali da sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri (artt. da 2 a 7 del TFUE), al fine (tra gli altri) di «rafforzare l’unità delle loro [degli Stati membri] economie e di assicurarne lo sviluppo armonioso riducendo le disparità fra le differenti regioni e il ritardo di quelle meno favorite» (TUEF, preambolo) e di perseguire un elevato livello di occupazione, un’adeguata protezione sociale, un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana e lottare contro l’esclusione sociale (art. 9).

Appare evidente che tali principi fondamentali – e fondanti rispetto all’Unione e ai suoi Trattati – devono prevalere su vincoli e approcci punitivi ogni qualvolta possano essere perseguiti; e che vadano perseguiti con tutti i mezzi disponibili, tra i quali va annoverato quello qui proposto, che attribuirebbe infine all’Unione significativi mezzi propri, ossia «i mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi e per portare a compimento le sue politiche» – sinora mai reperiti – contribuendo allo stesso tempo al «benessere dei suoi popoli». 

Contro i populismi e i gravi costi politici ed economici che ci minacciano, finalmente in un quadro di coesione e solidarietà, anche nei confronti delle giovani generazioni e di quelle future – solidarietà che rischia di essere cancellata se si demanda la politica europea – che dev’essere unitaria – agli egoismi nazionali, alla mancata coesione, alle discrasie fiscali, a una moneta non ancora unica, a un sistema bancario non ancora sistema. La proposta vuol essere un contributo equilibrato alla soluzione dell’impasse, e all’uscita dell’intera Unione dai problemi aggravati dalla pandemia.

L’approccio si fa estremamente urgente a seguito della recente sentenza della Corte costituzionale tedesca, che mette in dubbio l’autonomia della BCE e lo stesso primato della Corte di Giustizia dell’Unione europea, e di conseguenza la piena efficacia del diritto dell’Unione.

*Questo studio è stato pubblicato su Villa Vigoni, laboratorio del dialogo e della collaborazione tra Italia e Germania nel contesto europeo (https://www.villavigoni.eu/publication/n-2-2020-finanziare-lunione-una-svolta-necessaria/)