L’egemone "riluttante" ha acquisito con la Merkel il suo ruolo in Europa. E sarà grazie a questa leadership che si porranno le basi dello sviluppo di quell’intergovernativismo che ha caratterizzato l’Unione europea in questi anni: un intergovernativismo a trazione tedesca, che trascina sia la Francia che tutti gli altri paesi europei
Stiamo vivendo tempi forse eccezionali, sicuramente straordinari. Ne abbiamo piena consapevolezza. Ma quali cambiamenti ci hanno portato? Di questo, al momento non abbiamo né adeguata conoscenza, né tanto meno consapevolezza. Probabilmente i cambiamenti stanno ancora avvenendo, e ci saranno soprattutto nei prossimi mesi, anni. Come al solito, ce ne accorgeremo solo quando saranno avvenuti.
Però, il mutamento più evidente lo possiamo vedere subito con chiarezza, specie se lo proiettiamo nel lungo periodo, anche forse senza ancora capirne bene tutte le conseguenze: è il nuovo ruolo europeo della Germania, l’egemone una volta ‘riluttante’, ora è diventato egemone e basta.
Se guardiamo indietro e pensiamo a tutto quello che è avvenuto in questi centocinquanta anni dall’unificazione tedesca (1871), cioè da quando una nuova forte realtà statale è stata creata al centro dell’Europa, si rimane senza parole rispetto alle tortuosità e agli incredibili costi prima di giungere a un risultato che stava già nei fatti un secolo e mezzo fa: la primazia tedesca in Europa.
La completa egemonia culturale in tutti i campi del sapere, dalle nuove scienze sociali alla fisica, la dominante presenza nell’arte, a cominciare dalla letteratura, vi era già stata tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. Poi, una lunga guerra dal 1914 al 1945. Con l’intervallo di poco più di venti anni durante i quali vi sono stati la nascita e il consolidamento di fascismo e nazismo, ovvero di regimi autoritari contrassegnati da mobilitazioni di masse non solo in Italia e Germania, e Hitler rilancia il progetto egemonico che sfocia nella ripresa della guerra, la tragedia dell’olocausto e tutte le distruzioni e i morti di quel quinquennio.
Dopo la fine della guerra, il punto di svolta, in quel momento possibile per la sconfitta e la divisione della Germania: inizia l’Unione europea che senza quella sconfitta non sarebbe potuta nascere. Dopo la fine della Guerra Fredda, la caduta del muro di Berlino e la nuova riunificazione, non solo la storia non è finita, come sosteneva Fukuyama, ma sì è rimessa rapidamente in moto. La tendenza egemonica tedesca è ripresa ‘naturalmente’ dando ragione alla famosa battuta di Andreotti dopo il 1990: “amiamo tanto la Germania che ne preferiremmo due”.
Negli ultimi anni un incrocio convergente di eventi internazionali e interni ha posto le premesse per l’attuale nuova leadership egemonica. Dal punto di vista internazionale, vi è stato il disimpegno americano già iniziato con Clinton, seguito da Obama e ora da Trump e l’uscita dall’Unione europea di un altro potenziale protagonista, il Regno Unito.
Dal punto di vista interno, vi è stata la leadership illuminata e visionaria di Kohl, quella illuminata e riformista di Shroeder e poi quella pragmatica, fattiva e stabile della Merkel. Come conseguenza di queste leadership e di altri fattori, durante la Grande Recessione (2008-14) che ha indebolito tutti gli altri paesi, la Germania si è rafforzata in modo da mostrare una capacità di resilienza nettamente maggiore quando è arrivata la pandemia, che ha avuto effetti così disastrosi nei paesi più deboli.
Finalmente, l’egemone ‘riluttante’ con la Merkel ha acquisito quella centralità che è emersa con grande evidenza nell’ultimo Consiglio europeo di questi giorni di luglio. E sarà paradossalmente grazie a questo nuovo ruolo di leadership che si porranno le basi dello sviluppo sostanziale di quell’intergovernativismo che ha caratterizzato l’Unione europea in questi anni: un intergovernativismo a trazione tedesca, che trascina sia la Francia che tutti gli altri paesi europei.
Senza nulla togliere ai cosiddetti paesi frugali ovvero al gruppo di Visegrad, ovvero alla cosiddette forze sovraniste, se si prescinde da quello che piace mettere in prima pagina nei giornali, proprio la leadership tedesca pone le basi più solide per una maggiore integrazione europea.
A nessun leader forse farà piacere riconoscerlo, ma dopo centocinquanta anni il destino tedesco si è compiuto, soprattutto se non si dimentica l’intreccio di interessi industriali che, ad esempio, legano alle imprese tedesche, quelle italiane, spagnole, austriache, polacche per fare qualche esempio. La pandemia ha dato l’ultima spinta a un processo che era in corso da molti decenni con stop and go. Ora, pure con tutte le complessità e i problemi che ci saranno, possiamo essere più ottimisti per il futuro dell’integrazione europea.