L’introduzione di una apposita disciplina normativa nel panorama legislativo comunitario volta a regolare le operazioni di fusione transfrontaliera ha rappresentato un fondamentale e necessario passo in avanti per lo sviluppo del mercato unico europeo, accrescendone la sua competitività a livello globale. Invero, una regolamentazione precisa e puntuale di siffatte complesse operazioni, effettuate, il più delle volte, al fine di realizzare al contempo sia una riorganizzazione aziendale sia il trasferimento della sede sociale in altro Paese membro, con conseguente mutamento della legge applicabile, ha consentito di trasporre legislativamente alcuni dei principi in materia già propugnati a livello giurisprudenziale. In tal senso, può dirsi che l’introduzione di una tale normativa dedicata si inserisce nel più ampio quadro della libertà di stabilimento riconosciuta alle società nell’Unione Europea e ne costituisce, quindi, una delle modalità di attuazione. La libertà di stabilimento, ad ogni modo, non deve ritenersi esaurita né nella possibilità di aprire agenzie, succursali o filiali in altro Stato Membro (c.d. libertà di stabilimento secondaria) né nel libero accesso alle attività autonome e al loro esercizio e nella costituzione e gestione di imprese in altro Stato membro (c.d. libertà di stabilimento primaria) ma, come espressamente affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (di seguito anche “CGUE”) nella sentenza SEVIC, deve estendersi, altresì, al riconoscimento di operazioni di fusione transfrontaliera.
L’entrata in vigore della direttiva 2005/56/CE (c.d. Decima Direttiva Societaria ), a seguito di una lunga gestazione dovuta alla resistenza di alcuni Paesi membri, ha formalizzato quanto già riconosciuto dalla CGUE, delineandone e precisandone le modalità operative.
Ad avviso di chi scrive, è da condividere l’opinione di chi vede nella regolamentazione della fusione transfrontaliera un elemento volto ad incentivare una sana concorrenza regolamentare tra gli Stati membri, il tutto nel contesto di una armonizzazione minimale, rappresentato dalle normative europee in materia che costituiscono una serie di linee guida per questi ultimi piuttosto che un’opera di uniformizzazione delle varie discipline esistenti.
A tal riguardo, nel dibattito dottrinale si sono alternate, nel tempo, due contrapposte visioni ovvero (i) una prima che individuava nella concorrenza fra ordinamenti un elemento capace di influenzare negativamente lo sviluppo del diritto societario nei singoli Paesi membri (occasionando una c.d. race to the bottom); in senso opposto, (ii) una seconda, invece, che riteneva che una sana e leale concorrenza fra ordinamenti avesse una funzione di promozione ed incentivo al miglioramento del diritto societario e concorresse, quindi, allo sviluppo dei vari ordinamenti giuridici così coinvolti (comportando pertanto una c.d. race to the top).
Alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza e del complementare intervento del legislatore, le società operanti nel mercato europeo ben potranno, quindi, scegliere di sfruttare un’eventuale fusione con entità di altro Stato quale occasione per mutare la normativa loro applicabile, potendo mantenere le attività esistenti nel loro Stato d’origine in virtù della protezione offerta dalla libertà di stabilimento c.d. secondaria.
Dopo aver brevemente tratteggiato le peculiarità relative alla c.d. competizione regolamentare all’interno dell’Unione Europea, pare opportuno offrire una analisi in merito ad una delle operazioni di fusione transfrontaliera più celebri degli ultimi anni, ovvero l’operazione che ha dato luogo alla società Fiat Chrysler Automobiles (breviter, FCA).
Al fine di offrire un’esposizione concisa ma al contempo speculativa dell’operazione in commento, si darà conto dapprima delle (i) società coinvolte nell’operazione, (ii) delle modalità in cui essa è stata strutturata, evidenziando poi (iii) le principali criticità rilevate nell’analisi in oggetto e concludendo, da ultimo, (iv) con alcune osservazioni circa la natura di tale operazione alla luce di quanto rilevato nelle pagine precedenti.
Quanto al primo punto, le società direttamente coinvolte nell’operazione sono state l’italiana Fiat S.p.A. (FIAT) e la Fiat Investments N.V. (FIAT INVESTMENTS), una società di diritto olandese controllata al 100% dalla prima, avente la sede fiscale nel Regno Unito. In quanto controllate dalla stessa FIAT, rientrano indirettamente nel perimetro dell’operazione anche le società Fiat Group Automobiles S.P.A. (FGA), Fiat North America Llc (FNA) e la sua controllata Chrysler Group Llc.
Quanto alle modalità attuative dell’operazione in commento, le società coinvolte hanno deciso di dar luogo ad una fusione transfrontaliera inversa per incorporazione, comportante l’incorporazione di FIAT nella controllata di diritto olandese FIAT INVESTMENTS, la quale, assunta la denominazione di Fiat Chrysler Automobiles N.V., FCA, è divenuta la capogruppo delle summenzionate società.
In merito alle finalità di una siffatta operazione, dalla consultazione del Documento Informativo redatto dalla capogruppo ai sensi dell’articolo 70, comma 6, del regolamento concernente la disciplina degli emittenti adottato da Consob con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999 (“Regolamento Emittenti”), si evidenziavano quali motivazioni (i) la necessità di adottare una forma societaria in grado di attirare investitori internazionali e di rappresentare la dimensione globale nella quale il gruppo Fiat opera, anche mediante (ii) la possibilità di accedere più facilmente ad una doppia quotazione, quella su NYSE e MTA, al fine di reperire più agilmente capitali e di garantire una maggiore liquidità dei titoli di FCA ed infine (iii), elemento più significativo ai fini della nostra analisi, al fine di conseguire “un accrescimento della flessibilità strategica del Gruppo nel perseguire opportunità di acquisizioni attrattive e di investimenti strategici e per premiare gli azionisti di lungo periodo”.
Il trasferimento della sede legale e il conseguente cambiamento di legge applicabile si inserivano, infatti, nell’ampio panorama della concorrenza fra ordinamenti e nella possibilità offerta alle società di sfruttare i vantaggi concessi dalla normativa dell’uno o dell’altro Stato membro in relazione a specifici aspetti.
Nel caso in esame, in particolare, preme sottolineare la previsione relativa alla possibilità per la società risultante di emettere categorie speciali di azioni ossia azioni a voto plurimo e azioni a voto speciale.
Le prime hanno l’obiettivo di garantire una forte rappresentanza all’interno di FCA del gruppo Exor, la holding finanziaria che detiene il controllo della società.
Le seconde, invece, assegnabili a ciascun titolare legittimato di azioni ordinarie, mirano a premiare coloro i quali detengano nel lungo periodo azioni ordinarie di FCA, promuovendo “la stabilità della base azionaria di FCA assegnando agli azionisti di lunga durata Azioni a Voto Speciale alle quali è attribuito un diritto di voto ulteriore a quello attribuito a ciascuna Azione Ordinaria FCA detenuta”.
Pertanto, mediante un meccanismo di voto multiplo, è stato possibile riconoscere, da un lato, l’importanza di quegli azionisti “fidelizzati” alla società, incoraggiandone al contempo di nuovi a investire in un’ottica di lungo periodo, promuovendosi così una stabilità duratura del business e, dall’altro, il rafforzamento del rapporto tra management e azionisti, rendendo un investimento speculativo di breve periodo meno conveniente rispetto alla detenzione duratura dei titoli della società alla luce di obiettivi di lungo periodo.
In conclusione, può dirsi che l’operazione FCA abbia rappresentato una transazione volta sia (i) a riorganizzare l’assetto societario di una multinazionale quale Fiat, comportando numerosi benefici di natura economico-giuridica, sia (ii) a costituire un’applicazione concreta della libertà di stabilimento e dell’esercizio del diritto di scelta del diritto applicabile mediante un’operazione di fusione transfrontaliera.
Tale operazione rappresenta la celebrazione di quanto maturato nel panorama giuridico europeo, prima in giurisprudenza, con la sentenza SEVIC, e poi per via legislativa, con l’emanazione della Decima Direttiva Societaria, rimarcando dunque la dinamicità e la competitività del sistema societario europeo e la sua idoneità a costituire un terreno fertile per operazioni di natura straordinaria.