Con tassi di interesse nominali quasi azzerati, le banche centrali sono costrette a ricorrere a nuovi strumenti. Così cercano di orientare le aspettative degli operatori prendendo impegni per il futuro. Ma nulla garantisce che le promesse siano rispettate.
Nell’incessante ricerca di nuovi strumenti per potenziare l’efficacia della politica monetaria, una volta raggiunto il limite fisiologico di tassi di interesse nominali nulli o quasi, le banche centrali dei maggiori paesi hanno fatto ricorso anche alla “forward guidance”. Questa altro non è che il tentativo, attraverso dichiarazioni pubbliche o comunicati stampa dei governatori delle banche centrali, di orientare le aspettative, e di conseguenza anche i comportamenti presenti, degli operatori del settore privato, che da tali aspettative appunto dipendono in larga misura. Si tratta di uno strumento di policy non convenzionale, aggiuntivo rispetto a strategie di quantitative easing, di ampliamento della definizione accettata di collateral o di allungamento delle scadenze nelle operazioni di mercato aperto pronti contro termine, dell’introduzione di programmi di acquisto di particolari tipologie di titoli (come nel Securities Market Program o nel Covered Bond Purchase Program condotti dalla Bce nel 2011 e nel 2012). Ma eventualmente anche integrativo di più ambiziose “riforme” dei regimi esistenti di politica monetaria, quali ad esempio una variazione negli obiettivi finali esplicitamente o implicitamente adottati dalla banca centrale stessa.
La forward guidance, essenzialmente, è una variante dell’ipotesi di aspettative razionali. Per alcuni, riflette semplicemente l’adozione, da parte della banca centrale, di un comportamento ispirato al buon senso, e alla ricerca di un accordo preventivo con il settore privato che conduca a un equilibrio superiore dal punto di vista del benessere rispetto all’esito di un gioco puramente non cooperativo (l’equilibrio discrezionale nel modello di Barro e Gordon del 1983). Secondo questa visione, la banca centrale, in possesso di informazioni di alta qualità, comunicherebbe al pubblico le proprie intenzioni per orientarne i comportamenti sulla base di un più raffinato set informativo. Il risultato condurrebbe a una soluzione migliore per tutti. Tuttavia, una enfasi eccessiva su questa strategia di comunicazione e sul plausibile successo della stessa potrebbe anche essere interpretato come un peccato di hubris da parte delle banche centrali stesse: siamo sicuri che esse abbiano informazioni e modelli superiori rispetto agli operatori di mercato? E se anche, sempre?
A prescindere dall’opinione individuale, che può lecitamente essere diversa, non vi è dubbio che la forward guidance, negli ultimi 3 anni sia stata molto utilizzata. Può essere definita, di volta in volta come ispirata all’oracolo di Delfi (delfica) o a Ulisse (odissea), a seconda che la gestione delle aspettative future venga perseguita dalla banca centrale per mezzo o meno di un impegno vincolante. In genere, tali impegni non sono particolarmente amati dalle banche centrali, che gradiscono mantenere elementi di flessibilità fin quando gli stessi non mettono a rischio la credibilità di annunci o azioni di politica monetaria. Ma a volte, anche le banche centrali più reticenti decidono di “legarsi le mani” per convincere mercati e operatori diffidenti.
Tra gli esempi recenti di forward guidance, è possibile menzionare (e tentare di classificare come
Delphic piuttosto che Odyssian) le seguenti decisioni:
Nei prossimi mesi, sarà interessante vedere come le banche centrali utilizzeranno lo strumento della forward guidance per tornare, se le condizioni lo consentiranno, in territori meno sconosciuti e rischiosi, riducendo gradualmente l’iniezione di liquidità e gestendo con ordine un timido rialzo dei tassi. La nuova frontiera del central banking si basa sulla capacità di definire e realizzare opportune exit strategies da una condizione anomala di eccesso di liquidità che si è protratta per un periodo eccezionalmente lungo. Questo processo è appena iniziato nei paesi emergenti, seguiranno Stati Uniti e Gran Bretagna. Nell’eurosistema, c’è ancora tempo. Speriamo che i governi di Italia e Francia usino il bonus “tassi” per fare quelle riforme che fino ad oggi non hanno saputo realizzare. Quando il debito tornerà ad essere più costoso, la festa sarà davvero finita per tutti.