La Legge di bilancio per il 2023 ha esteso il preesistente regime della cosiddetta ‘flat tax degli autonomi’ e ha introdotto la ‘flat tax incrementale’ (limitatamente al periodo d’imposta 2023), accendendo ulteriormente il dibattito politico e mediatico sul differente trattamento fiscale tra lavoratori dipendenti e lavoratori indipendenti. Ecco gli argomenti per valutarne l'impatto
Nel rispetto del quadro di finanza pubblica, la riforma fiscale, così come delineata dall’ultimo disegno di legge delega, dovrebbe proseguire, nel breve termine, nella direzione non solo di estendere l’attuale regime forfetario per i lavoratori autonomi ma anche di introdurre una `flat tax incrementale’ specifica per i lavoratori dipendenti, per poi continuare, nel medio termine, verso un sistema più propriamente flat tax, con buona pace dell’effetto redistributivo dell’intervento pubblico e di un disegno organico dell’imposizione, che contemperi congiuntamente le esigenze di efficienza e di equità orizzontale e verticale.
Come argomentato da diversi autori, riforme verso un sistema strutturalmente flat tax potrebbero essere poco realistiche per un paese caratterizzato da un elevato livello di spesa pubblica, non solo perché troppo costose, ma anche perché potrebbero non conseguire i risultati attesi, soprattutto se non ben strutturate. Su questo punto si sottolinea però che l’ultimo disegno di legge delega propone numerosi interventi di riforma, da attuare a parità di gettito. È più probabile quindi che nei prossimi anni si prosegua per piccoli passi senza arrivare ad attuare la riforma prospettata nella sua interezza.
Una buona riforma fiscale dovrebbe in primo luogo essere condivisa, evidenziare il modello impositivo che si intende perseguire, evitando di limitarsi a piccole modifiche dello status quo e soprattutto evitando di porre in essere segmentazioni dell’imposizione. La recente storia ci insegna che una volta introdotte modifiche che consentono benefici per alcuni gruppi di contribuenti è difficile fare marcia indietro: è il caso del Bonus Irpef, riservato ai lavoratori dipendenti, introdotto nel 2014, riformato più volte ma non ancora eliminato a distanza di molti anni.
In Italia si tende infatti a dare più rilevanza ai vincenti e ai perdenti di una specifica modifica normativa, rispetto alle distorsioni che essa provoca sia dal punto di vista dell’efficienza, sia dal punto di vista dell’equità, a causa del malsano pregiudizio che una riforma fiscale debba necessariamente avvantaggiare tutti; invece, è vero il contrario, perché una riforma organica e condivisa, che modifica contestualmente più imposte, è più probabile che ottenga un appoggio politico sufficiente per essere approvata, potendo riequilibrare i contribuenti perdenti e vincenti agendo simultaneamente su più imposte e sul livello della spesa pubblica.
Per ora si può concludere che le innovazioni introdotte negli ultimi anni per quanto riguarda l’imposizione dei lavoratori autonomi non hanno una coerenza interna all’attuale sistema tributario. Ci si deve interrogare, poi, se è ragionevole che regimi cedolari originariamente pensati per essere semplici, come quelli che prendono spunto dal nome flat tax, debbano nella realtà essere così complicati e consentire calcoli di convenienza fiscale non banali, il tutto determinando un trattamento fiscale molto differenziato tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti e pensionati. Cerchiamo di capire il perché1.
È noto che il sistema produttivo italiano è caratterizzato da un numero di lavoratori indipendenti, mediamente di piccole dimensioni, superiore a quello che si registra in altri Paesi. Per ragioni pratiche tese a favorire il rapporto tra l’Amministrazione finanziaria e questa tipologia di contribuenti, nel corso del tempo sono stati previsti regimi semplificati o sostitutivi, sia ai fini dell’imposta sul valore aggiunto (Iva) sia ai fini dell’imposizione diretta (Irpef). Per quest’ultima imposta, a partire dagli anni 2000, sono stati previsti regimi straordinari, che rappresentavano una eccezione, riservati a lavoratori indipendenti marginali.
Nell’ultimo decennio l’imposizione sostitutiva dell’Irpef è stata estesa a più riprese; l’ultima modifica è avvenuta con la Legge di bilancio per il 2023, che ha ulteriormente ampliato la cosiddetta `flat tax degli autonomi’ e ha introdotto la `flat tax incrementale’. Oggi questi regimi forfetari riguardano più della metà dei lavoratori autonomi, a causa del forte risparmio d’imposta rispetto al regime ordinario.
Di fatto, l’imposizione dei lavoratori autonomi è segmentata in tre diverse strutture: l’Irpef ordinaria fintanto che la `flat tax degli autonomi’ non diventa più conveniente del regime ordinario; la `flat tax degli autonomi’ fino a 85 mila euro di ricavi; la `flat tax incrementale’ per livelli di ricavi superiori a 85 mila euro oppure per livelli di ricavi per i quali sarebbe possibile applicare la `flat tax degli autonomi’ ma il contribuente opta per la `flat tax incrementale’ perché più conveniente (ad esempio in presenza di detrazioni per oneri che modificano la convenienza dell’applicazione di un sistema impositivo oppure dell’altro).
Complessivamente, il regime forfettario degli autonomi costituisce un profilo di criticità per l’attuale struttura del nostro sistema fiscale, in particolare per i suoi effetti sull’equità orizzontale tra diverse categorie di contribuenti, in primis gli autonomi contro i dipendenti e i pensionati, mentre la `flat tax incrementale’ aumenta le distorsioni già presenti con la `flat tax degli autonomi’.
A parità di reddito imponibile, o di incremento di reddito, le differenze di imposizione tra lavoratori autonomi e dipendenti sono difficili da giustificare e di dubbia costituzionalità. Inoltre, tali modifiche non avvantaggiano i lavoratori autonomi `marginali’, con volumi di ricavi e redditi bassi, per i quali è spesso più conveniente il regime Irpef ordinario.
Infine, queste misure determinano calcoli di convenienza fiscale finalizzati alla minimizzazione del carico tributario senza avere effetti sul fenomeno evasivo e non stimolano la crescita dimensionale dei contribuenti coinvolti; al contrario, possono determinare un potenziale incentivo all’evasione fiscale per i contribuenti con ricavi intorno alla soglia fissata per fruire del regime agevolato.
I calcoli di convenienza fiscale riguardano anche due ulteriori aspetti. Il primo è relativo alla convenienza per un lavoratore a svolgere la propria attività come lavoratore autonomo anziché come lavoratore dipendente, potendo beneficiare di un reddito netto maggiore; in questa circostanza egli perderebbe però le tutele garantite da un rapporto di lavoro dipendente. Il secondo, collegato al primo, discende dal fatto che l’applicazione del regime forfetario consente la non applicabilità dell’Iva: i contribuenti interessati non applicano l’Iva a debito sulle vendite, ma contestualmente non possono detrarre l’Iva a credito sugli acquisti. La conseguenza è che un lavoratore autonomo che applica il regime forfetario può vendere i suoi prodotti o servizi ai consumatori finali ad un prezzo decisamente vantaggioso rispetto ad una impresa o un lavoratore autonomo in regime ordinario; chiaramente, questa strategia di prezzo diviene predominante al crescere del numero dei soggetti forfetari. I benefici connessi al prezzo di vendita sono però parzialmente controbilanciati dall’indetraibilità dell’Iva sugli acquisti, che ha la conseguenza di aumentare i costi effettivi per il lavoratore autonomo.
C’è poi da sottolineare che, mentre la ‘flat tax degli autonomi’ applica un meccanismo impositivo relativamente semplice, ma nel contempo determina calcoli di convenienza fiscale non banali, la ‘flat tax incrementale’ prevede al contrario una struttura molto complessa.
Il primo meccanismo prevede infatti solamente l’applicazione di una aliquota proporzionale al reddito imponibile, ovvero la differenza tra ricavi effettivi, costi forfetari e contributi previdenziali. Applicando questo regime, però, non possono essere considerate le consuete detrazioni per lavoro, famiglia e per oneri che caratterizzano invece la struttura dell’Irpef. Poiché il meccanismo in esame non è un obbligo, al contribuente potrebbe essere più conveniente applicare il regime ordinario Irpef. Da questo confronto discendono numerosi calcoli di convenienza fiscale che, per sintetizzare, dipendono dalle aliquote contributive, dall’ammontare degli oneri detraibili e dalla differenza tra costi effettivi (che caratterizzano la disciplina Irpef) e costi forfetari (che sono considerati col sistema `flat tax degli autonomi’).
Il secondo meccanismo, la cosiddetta `flat tax incrementale’, prevede innanzitutto di identificare se il reddito conseguito nel 2023 è più elevato rispetto al più alto reddito dichiarato nel triennio precedente. In caso positivo, il meccanismo prevede di scomporre questo maggior reddito in due parti: su una parte si applica l’imposizione sostitutiva del 15%, mentre la parte restante continua ad essere assoggettata al regime ordinario Irpef. Le complicazioni discendono dal fatto che la modalità di individuazione di queste due parti dipende sia dall’ammontare del reddito più elevato del triennio precedente sia dall’ammontare dell’incremento di reddito, dando luogo, a seconda dei casi, ad un particolare andamento delle aliquote marginali effettive e delle aliquote medie.
Dal punto di vista dell’efficienza, con la `flat tax degli autonomi’, nell’intervallo di redditi di interesse, l’aliquota media e marginale coincidono e sono pari al 15%, mentre l’applicazione del regime Irpef ordinario a redditi inferiori (ma sopra la soglia di incapienza) comporta una aliquota marginale effettiva decisamente più alta, il 28%. Il passaggio dalla `flat tax degli autonomi’ alla `flat tax incrementale’ determina un `salto’ dell’aliquota media, che non è più una funzione continua; inoltre, quando è applicata la `flat tax incrementale’, l’aliquota media risulta maggiore dell’aliquota marginale effettiva.
Una riforma che produce questi effetti non può essere accolta con favore. Peraltro, la `flat tax incrementale’ è prevista solo per il 2023; è quindi difficile che essa possa contribuire in modo strutturale all’emersione di maggior base imponibile; anzi, è più probabile che incentivi i contribuenti a concentrare il più possibile in questo anno la maggior parte dei ricavi, fino alla soglia di incremento di 40 mila euro di reddito. Tuttavia, come spesso è avvenuto nel nostro Paese, è molto probabile che questo regime, ormai introdotto, possa essere prorogato, in attesa che il disegno di legge delega sulla riforma fiscale sia discusso in Parlamento e che da esso segua successivamente una riforma fiscale.
Per concludere, il sistema impositivo riservato ai lavoratori autonomi di più piccole dimensioni ha perso, nell’ultimo decennio, la sua peculiarità di strumento fiscale di natura straordinaria volto a semplificare gli adempimenti tributari dei contribuenti marginali e si è trasformato in un regime forfetario che ormai riguarda circa la metà dei lavoratori autonomi.
Il diverso trattamento tra lavoratori autonomi da una parte e altri contribuenti dall’altra sembra poco giustificabile, come poco giustificabile appare un sistema impositivo che prevede, complessivamente, aliquote marginali effettive non sempre crescenti e una funzione che definisce l’aliquota media non continua.
La `flat tax incrementale’, in aggiunta, determina una funzione dell’aliquota media maggiore della corrispondente aliquota marginale, aspetto che non può essere accolto con favore. Si auspica che la prossima riforma fiscale determini una scelta netta del sistema impositivo da adottarsi (onnicomprensivo oppure cedolare, dove i redditi da capitale scontano una aliquota più tenue rispetto ai redditi da lavoro) e modifichi i regimi cedolari senza creare segmentazioni nell’imposizione.
1 uno studio dello stesso autore sul tema è in corso di pubblicazione sul n. 2/2023 di Economia Italiana