approfondimenti/politica economica
BANCA D'ITALIA/CONSIDERAZIONI FINALI
Europa e debito, i due messaggi di Visco
Paola Pilati

Un governatore che cita due geni mittleuropei – il filosofo Wittgenstein e il Nobel Elias Canetti – per lanciare un monito alle esternazioni di Salvini e del governo giallo-verde: “le parole sono azioni”, avverte alla fine delle sue lunghe Considerazioni finali Ignazio Visco, e “nell’oscurità le parole pesano il doppio”. Un governatore che vuole anche affidare un memento ai freschi eletti del parlamento europeo, e cioè che con il sovranismo non si va lontano: “Saremmo stati più poveri senza l’Europa, lo diventeremmo se dovessimo farne un avversario”. Un governatore che non cade però nell’errore di dipingere l’Europa come un paradiso perduto, ma come un sentiero per lo sviluppo. Sentiero da cui sarebbe sbagliato allontanarsi, ma che il nostro paese deve collaborare a completare, visto che “l’Unione economica e monetaria rimane una costruzione incompiuta”.

Un governatore, infine, che avverte: all’orizzonte della congiuntura c’è un rischio di indebolimento della capacità produttiva e una forte pressione sulle finanze pubbliche. Quindi, nessuno spazio all’ottimismo, e richiamo al rigore e allo “sforzo corale”.

La visione dell’Italia nella dimensione europea è il cuore del messaggio che la Banca d’Italia lancia nell’appuntamento più importante dell’anno. In cui vengono ripresi e riallacciati i fili di precedenti interventi, ribadite posizioni già espresse, illuminati meglio giudizi già noti. Eppure è come se tutto fosse orchestrato su un altro spartito, con il risultato finale di una nuova musica.

La musica di quest’anno ha due ritronelli, due elementi ricorrenti. Uno sta nella frase: “la debolezza della crescita dell’Italia negli ultimi vent’anni non è dipesa né dall’Unione europea né dall’euro”, “quelli che sono percepiti come costi dell’appartenenza all’area euro sono, in realtà, il frutto del ritardo con cui il paese ha reagito al cambiamento tecnologico e all’apertura dei mercati a livello globale”.

Inadeguatezza nel capire i problemi e nell’affrontarli, dunque. Su più fronti. Intanto, il Sud. Nonostante le risorse abbondanti trasferite dall’Europa per le aree svantaggiate, il Mezzogiorno si è impoverito, aggiungendo alle sue carenze storiche (il record delle opere incompiute, il gap di legalità, l’arretratezza tecnologica) anche quella della perdita dei giovani più preparati. In questo contesto “non ci si può affidare solo ai tentativi di compensarlo con trasferimenti monetari”, come fa il reddito di cittadinanza.

Poi c’è un fattore demografico quanto mai preoccupante. In un’Italia che invecchia più del resto dell’Unione (nel prossimo quarto di secolo la popolazione over 65 salirà al 28 per cento nel complesso dell’Unione, da noi al 33 per cento) la capacità produttiva del paese rischia grosso. Porsi il problema di come contrastarla non può che portare a riflettere sul tema immigrazione, ma in chiave opposta a quella di Salvini che la demonizza, e chiedendosi come mai attiriamo con difficoltà lavoratori qualificati, e perché i nostri giovani migliori se ne vanno (la quota dei laureati italiani emigrati è raddoppiata in dieci anni).

Più che sussidi e trasferimenti, batte il ferro Visco, servono programmi in grado di stimolare l’attività economica, servono investimenti pubblici mirati, per esempio nelle tecnologie avanzate, dove la frammentazione del nostro sistema produttivo fa fatica ad avanzare, e in conoscenza e compentenze di giovani e lavoratori.

Farlo con l’aumento di disavanzo pubblico, come si propone di fare il governo? Può rivelarsi “poco efficace”, è la sentenza del governatore, anzi “addirittura controproducente”, perché si potrebbe tradurre in un costo maggiore del finanziamento per lo Stato e per l’economia. Cioè con un nuovo aumento dello spread.

Ed ecco il secondo ritornello: disciplinare la crescita del debito è vitale. Visco insiste innazitutto sulla necessità di mantenere un buon livello di avanzo primario anche solo per “stabilizzare” il debito. Attenzione quindi all’idea di disattivare le clausole di salvaguardia dell’Iva senza misure compensative. Questo porterebbe nel 2020 l’avanzo primario sotto il mezzo punto percentuale: “incompatible con la riduzione dell’incidenza del debito sul prodotto”. La politica economica del governo non passa l’esame di via Nazionale.

Quanto al fisco, Visco si è già più volte espresso per la necessità di una riforma. La riduzione della pressione fiscale è dunque benvenuta, per Bankitalia, ma non “rivedendo solo alcune agevolazioni o modificando la struttura di una singola imposta”. Sottotesto: flat tax bocciata.

Alla casa comune europea, àncora essenziale, Visco però non fa sconti. Anche se dobbiamo dire grazie all’euro perché ha abbattuto l’inflazione, quella “tassa occulta sulle famiglie” che costringeva il paese a svalutare periodicamente il suo tasso di cambio, “l’inadeguatezza della governance economica dell’area euro” non ha impedito che la crisi di alcuni paesi si trasformasse in un contagio.

Qui la parola chiave che la Banca d’Italia affida al suo messaggio in bottiglia al resto d’Europa è “condivisione”: “il tentativo di ridurre i rischi nazionali prima di accettarne la condivisione finisce per accrescerli e per alimentare il senso di precarietà che circonda l’euro”; “riduzione e condivisione devono andare di pari passo”; “la condivisione dei rischi ne aumenta la sostenibilità per tutti”.

E invece? La delusione è forte, nelle parole di Visco, sia per L’Unione bancaria incompleta, che per l’unione di bilancio rinviata a chissà quando.

Sul primo fronte, il tema cruciale è come affrontare il destino delle banche medio-piccole in difficoltà. Calare la mannaia della liquidazione è davvero l’unica opzione? O non sarebbe meglio prevedere la possibilità di intervento dei fondi di garanzia sui depositi, finora impediti dalle norme sugli aiuti di Stato? Sul piano pratico, il costo dell’intervento del fondo non costerebbe di meno, in termini di stabilità finanziaria, di un fallimento bancario?

Insomma, la sentenza tardiva su banca Tercas potrebbe aprire spiragli per salvataggi futuri, a cominciare da Carige. Anche perché “la possibilità che rischi macroeconomici tornino a investire un settore finanziario ancora in ritardo nell’adeguare la propria struttura è un elemento di vulnerabilità di cui bisonga essere consapevoli”, avverte Visco.

L’altro ostacolo sul cammino dell’Unione bancaria è quello del trattamento delle esposizioni sovrane, vale a dire dei titoli di Stato detenuti nei bilanci delle banche. In Europa molti pensano che questo legame vada reciso, e le prime banche a pagarne lo scotto sarebbero quelle italiane. Questo mentre si mettono in secondo piano altri rischi: per esempio quelli “degli attivi illiquidi e opachi di alcuni grandi intermediari europei”, si toglie il sassolino il governatore, e non si può non pensare a Deutsche Bank.

Ma attenzione, dice Visco, a valutare quali sono i vantaggi veri della revisione del trattamento prudenziale delle esposizione sovrane. Siamo proprio sicuri che i benefici connessi con la revisione superino i costi, soprattutto quelli legati alla percezione del rischio del debito di uno Stato, che si tradurrebbe in una spirale recessiva, letale per tutti?

E qui il governatore rilancia: non sarebbe meglio, piuttosto, arrivare ad accordi europei per sostenere gli sforzi dei paesi che devono ridurre il loro debito? I governi devono fare del loro meglio per rientrare, certo, ma non possono controllare tutti gli eventi. Per questo la riduzione tra debito e prodotto “andrebbe protetta con forme di assicurazione sovranazionale, ad esempio con la creazione di un fondo europeo per il rimborso del debito, finanziato con risorse vincolate dei paesi che vi partecipano”.

L’unico baluardo contro le crisi, di fatto, è stata finora la politica monetaria esercitata dalla Bce di Mario Draghi. Ma è venuto il momento di darle un’altra arma che meglio interpreti la volontà collettiva di marciare davvero sul sentiero comune, annuncia il governatore. Un titolo di debito pubblico europeo, un safe asset che affianchi l’azione della Bce. Uno strumento per ridurre il rischio nei momenti di tensione dei mercati, e un canale per finanziare gli stabilizzatori automatici comuni. Comiciando, magari, dalle spese per la disoccupazione. Solo così l’Europa confermerebbe davvero di “condividere”.

Più che delle Considerazioni finali, queste di quest’anno sembrano delle istruzioni per il viaggio che inizierà domani, con l’Europa rinnovata nei suoi vertici, dalla Commissione alla Bce, e con un governo in Italia in cui i nuovi equilibri politici promettono di riscrivere priorità e programmi. Si capirà presto se la musica di Visco guiderà i loro passi oppure no.