La presentazione del libro del Gruppo dei 20 "Europa alla svolta" è stata l'occasione per una riflessione a più voci sulla fine del sistema di Bretton Woods e sulla necessità di una nuova governance europea
L’Europa ha perso competitività. La sua crescita economica langue. Ha smarrito la strada delle sue grandi promesse: quella di una maggiore uguaglianza, di un benessere collettivo diffuso. I suoi paesi guida, Francia e Germania, sono impantanati in crisi economico-politiche paralizzanti. Il consenso su grandi progetti per il futuro, come la transizione energetica, vacilla. L’età del risentimento, come l’ha definita l’economista premio Nobel Paul Krugman, sta trasformando l’idea della grande costruzione Europa in un cantiere abbandonato agli individualismi nazionali?
Eppure, mai come in questo momento al capezzale dell’Europa si accorre, per dare consigli e dispensare ricette. Lo hanno fatto i Rapporti Letta e Draghi, lo fa in un libro dal titolo “L’Europa a una svolta” (Eurilink University Press), il Gruppo dei 20: venti è più economisti coordinati da Luigi Paganetto, economista con una lunga carriera accademica e incarichi pubblici, i quali trasferiscono in diversi contributi, nel libro, un lavoro che si dipana durante l’anno in un dibattito vivo e continuo.
I temi centrali, come ha chiarito Paganetto durante la presentazione del libro al Cnel, sono tre: la difficoltà dell’Europa sul piano della competizione con gli Usa soprattutto nell’hightech (nel settore investiamo 7 miliardi contro i 70 degli Usa, e i nostri investimenti in R&S sono per la metà in medie tecnologie, mentre oltreoceano si dirigono verso le nuove frontiere dell’intelligenza artificiale); come affrontare le difficoltà che sta incontrando sul suo cammino il Green Deal, cioè la transizione verde; come affrontare la sfida demografica che vede in Europa la diminuzione della popolazione in età da lavoro.
Non mancano le proposte. Un rilancio dell’innovazione, ha affermato Paganetto, non può che venire dagli “animal spirits”, cioè dall’impegno dei privati nel finanziarla, affidando alle istituzioni finanziarie europee di assumersi una parte del rischio.
Sul clima, se oggi tende a prevalere l’argomento dei costi crescenti rispetto ai benefici rinviati nel futuro, il consiglio contenuto del libro è di non abbandonare il cammino dello sviluppo sostenibile, inteso come tutela del clima non disgiunta però dall’obiettivo di un aumento del benessere per tutti.
Infine, l’invecchiamento della popolazione europea si intreccia con l’argomento urticante dell’immigrazione. L’esperienza degli Usa testimonia che è dagli immigrati che arriva la maggiore capacità di fare innovazione: un esempio che dovrebbe indurci a riflettere su politiche di accoglienza che si coniughino anche con interventi di formazione.
Tutto bene, dunque? L’agenda europea è già bella ricca, le idee non mancano e la convergenza sul piano del “che fare” pure. Ma c’è un elefante nella stanza: chi deve fare, a chi tocca mettere in moto le riforme che il consenso dei tecnici e il buon senso rendono inevitabili?
Nel dibattito sul libro è stato proprio questo il focus degli interventi. «Occorre un bilancio federale europeo», ha detto Mario Baldassarri, presidente dell’Istao – l’Istituto Adriano Olivetti di studi per la gestione dell’economia e delle aziende – , «occorre una gestione federale a livello europeo dei beni pubblici che oggi restano sotto la sovranità dei singoli stati membri, come la politica estera, l’energia, la tecnologia o la difesa: perché anche se arrivassimo a spendere il 2% del Pil per la difesa europea, non avremmo fatto niente se non si fa anche un’industria europea della difesa. Quel 2% servirebbe soltanto a confermare l’egemonia dell’industria bellica made in Usa».
Giancarlo Padoan, ex ministro dell’Economia e oggi presidente di Unicredit, ha avvertito che il problema di dare forma a una nuova governance europea che gestisca i beni pubblici in maniera collettiva è solo un pezzo del problema: stiamo assistendo alla frammentazione del sistema globale, quello definito dagli accordi di Bretton Woods 80 anni fa, che garantivano la protezione degli Usa sul mondo occidentale. Questa garanzia di sicurezza non esiste più. Servono nuove alleanze e la ricerca di un nuovo equilibrio che tenga insieme non solo la politica, ma anche le forze che guidano da sempre le aggregazioni: la finanza, il commercio, la tecnologia e la sicurezza. L’Europa, in questo grande gioco, ha un handicap in più, quello di dover passare per un doppio regime decisionale, quello espresso dai singoli paesi e quello collettivo dei 27. Se questo assetto dovesse bloccare il cammino che la stessa Europa si è data con Il Next Generation EU, indissolubilmente legato al nuovo Patto di stabilità, servirebbe «che chi è in grado di esprimere una leadership, vada avanti sulla costruzione di beni pubblici europei: se non sarà a 27, si faccia a nove», ha concluso Padoan.
«No c’è bisogno di riforme del Trattato, basta un assetto per cui chi ci sta, va avanti, come è stato per la creazione dell’euro», ha concordato Salvatore Rossi, ex direttore generale della Banca d’Italia, oggi presidente di Telecom Italia, dal quale sono arrivate anche delle critiche alla Ue e al suo “ecosistema”, che ha definito «culturalmente poco incline alla crescita». Dimostrazione? Eccesso di regole, una giustizia ostile al cambiamento, un’antitrust ossessionata solo dalla difesa del consumatore che ha fatto, per esempio nel settore bancario, “cose assurde”.
Ma c’è una carta da giocare che l’Europa ha ancora a disposizione e che è in grado di innescare cambiamenti radicali. Si chiama intelligenza artificiale. «Rivoluzionerà le nostre vite, porrà enormi problemi redistributivi che la politica dovrà affrontare», ha raffermato Rossi, tuttavia, come ha spiegato Gloria Bartoli, economista dell’Osservatorio produttività e benessere, «permetterà una crescita malgrado la popolazione che si va riducendo, e potrebbe perciò essere anche un’alternativa all’immigrazione». Perché questo potenziale dell’AI, anche quella generativa, si dispieghi, serve capitale umano, nessun ostacolo all’uscita dal mercato e un’antitrust favorevole all’economia digitale.
Se una morale è uscita dal dibattito sul libro del Gruppo dei 20, è che anche se non siamo in epoca di ricette facili, le soluzioni ci sono e sono a portata di mano. Anche quelle per rendere la governance europea più attiva. Come viatico per il futuro, visto che la merce dell’ottimismo è così rara, basti citare la fiduciosa frase di Gloria Bartoli che ci riguarda: «Non credo che il miracolo italiano degli anni ’60 sia irripetibile», ha detto. E se è vero per l’Italia, non può che esserlo anche per l’Europa.