L’adozione dei criteri ESG contribuisce alla resilienza degli investimenti, anche se l’efficacia delle strategie varia in funzione della classe di asset e delle condizioni di mercato. In ogni caso, l’integrazione dei criteri ESG nei fondi comuni rappresenta un elemento strategico per la loro competitività
Negli ultimi vent’anni, la sostenibilità ha assunto un ruolo centrale nelle strategie aziendali e nei processi decisionali che orientano la scelta degli investimenti finanziari.
Il perimetro entro il quale effettuare tali scelte è delimitato da un lato dalle crescenti pressioni normative internazionali, dall’altro dal crescente interesse da parte degli investitori verso le scelte operate dall’azienda. In questo scenario, si inserisce il concetto di sostenibilità, che in ambito economico prende avvio nel 1987 con il rapporto della Commissione Brundtland in cui si evidenzia la necessità di un mandato per il cambiamento, orientato al benessere delle generazioni future e si consolida a partire dal 2004 con la pubblicazione del rapporto “Who Cares Wins”, promosso dall’UN Global Compact in collaborazione con numerose istituzioni internazionali.
Uno dei principali aspetti che caratterizza il lavoro del 2004 è l’esigenza di adottare criteri che possano garantire la misurazione oggettiva delle azioni sostenibili sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo. Il risultato di questa esigenza è l’introduzione dei criteri ESG (Environmental, Social, Governance), con l’obiettivo di identificare e valutare l’impatto della sostenibilità nelle decisioni di investimento, generando benefici sia per le aziende sia per gli stakeholder.
I parametri di misurazione nell’ottica ESG acquisiscono un ruolo centrale nella valutazione delle performance aziendali, diventando un elemento chiave per le imprese, specie nella funzione di approvvigionamento per nuove risorse finanziarie.
La loro importanza come indicatori oggettivi di misurazione della sostenibilità si cristallizza, altresì, nell’impianto normativo europeo attraverso l’introduzione della Direttiva 2014/95/EU – NFRD (Non-Financial Reporting Directive), che impone alle grandi imprese l’obbligo di divulgare informazioni non finanziarie attraverso i criteri ESG. La successiva Direttiva 2022/2464/EU – CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) amplia il perimetro dei soggetti tenuti alla comunicazione di sostenibilità e mantiene le metriche ESG come criteri oggettivi di misurazione integrandole all’interno degli standard di rendicontazione, come il caso dei più recenti European Sustainability Reporting Standards (ESRS) emanati dall’EFRAG.
In questo scenario, anche i fondi comuni di investimento hanno progressivamente integrato tali criteri nelle proprie strategie, determinando nuove dinamiche di mercato e offrendo ulteriori opportunità per gli investitori a livello internazionale.
Una nostra recente ricerca, condotta su un campione di 170 fondi sostenibili appartenenti alle categorie Equity, Bond, International Global e Balanced, estratti dal database “USSIF – Sustainable Investment Mutual Funds and ETFs Chart”, evidenzia alcune peculiarità di queste particolari forme di investimento in relazione al tema della sostenibilità. La maggior parte dei fondi analizzati che compongono il campione è di piccole e medie dimensioni e relativamente giovane, con Asset Under Management (AUM) inferiori ai 5 Mld $ e un’operatività inferiore ai 25 anni.
Le analisi effettuate sulla redditività dei fondi mostrano che la relazione tra dimensione del fondo e rendimento non è lineare, mettendo in discussione l’idea tradizionale secondo cui un maggiore AUM sia necessariamente correlato a performance più elevate
Inoltre, la durata operativa dei fondi gioca un ruolo significativo: la relativa giovinezza dei fondi ESG, rispetto a quelli più longevi, indica che il comparto è ancora in fase di consolidamento.
La nostra ricerca prosegue con l’analisi delle performance a 1, 3, 5 e 10 anni, in tutte le categorie di fondi precedentemente citate. Da questo ulteriore screening emerge che il rendimento medio dei fondi raggiunge il picco nel terzo anno di attività, per poi stabilizzarsi nei periodi successivi. Tra le diverse categorie analizzate, i fondi Equity e International Global registrano le performance più elevate, con rendimenti medi superiori all’8%, mentre la categoria Bond si rivela la meno performante, con alcuni fondi caratterizzati da risultati negativi. Da queste evidenze si potrebbe osservare che, sebbene l’adozione dei criteri ESG contribuisca alla resilienza degli investimenti, l’efficacia delle strategie varia in funzione della classe di asset e delle condizioni di mercato.
In conclusione, dal nostro studio emerge che l’integrazione dei criteri ESG nei fondi comuni rappresenta un elemento strategico per la loro competitività.
Le evidenze empiriche mostrano che i fondi con un forte orientamento alla sostenibilità tendono a offrire rendimenti più elevati e una migliore mitigazione del rischio, soprattutto in contesti di elevata volatilità dei mercati. Il settore bancario, tra i più attivi nell’adozione di strategie ESG, ha registrato un incremento della produttività del 27% nel periodo 2018-2022, attribuibile anche agli investimenti sostenibili.
Questi risultati indicano che l’adozione di strategie ESG può contribuire al raggiungimento di benefici concreti per le imprese nel rispetto delle normative e nell’interesse più ampio degli investitori sempre più orientati verso scelte consapevoli. L’evoluzione del settore finanziario verso modelli più etici e responsabili appare, dunque, una tendenza destinata a consolidarsi, offrendo nuove opportunità di crescita per aziende e investitori orientati alla creazione di valore sostenibile.
*La versione integrale dell’articolo è pubblicata nell’ultimo numero di Rivista bancaria