Il Principe

di Leonardo Morlino

Elezioni presidenziali. Un’occasione perduta?

Quattro fattori oggettivi e importanti richiedevano che alla presidenza fosse eletto un leader, e non un personaggio secondario come era nelle tradizioni delle elezioni italiane del presidente

Leonardo Morlino
MORLINO

Un realista cinico avrebbe indovinato il risultato senza troppa fatica: stallo decisionale nella partita elettorale per i veti reciproci e rielezione di Mattarella in condizioni di necessità. In breve, pur in una situazione diversa, la sostanziale ripetizione di quello che è successo un anno fa e ha portato alla chiamata di Draghi, primo ministro-salvatore della patria. 

Eppure, esistevano condizioni oggettive che davano una possibilità di riscatto da parte dei leader partitici – in un’elezione del genere lasciamo i partiti sullo sfondo e parliamo solo dei leader. Esistevano, cioè, quattro fattori oggettivi e importanti che richiedevano che alla presidenza fosse eletto un leader, e non un personaggio secondario come era nelle tradizioni delle elezioni italiane del presidente.

Ovvero: l’accresciuto ruolo politico del presidente, ormai non più congiunturale, ma strutturale, la frammentazione del sistema partitico e degli stessi partiti al loro interno, l’impossibilità di evitare i franchi tiratori data la composizione delle due Camere con ampi gruppi misti, la profonda incertezza creata dalla pandemia, dalle politiche indispensabili per uscirne attraverso il PNRR, e anche dalla crisi internazionale che vede in contrapposizione Biden e Putin in grado di danneggiare in modo serio i nostri interessi a un approvvigionamento energetico a basso costo, necessario per la ripresa. Come è andata effettivamente?

Malgrado le apparenze, un qualche cambiamento si è realizzato per la seconda volta e con fattori oggettivi più pressanti. Ovvero a distanza di nove anni (2013), cioè dopo la rielezione di Napolitano, anch’egli diventato un leader forte, alla fine è stato eletto un leader, Mattarella – anch’egli diventato tale nel corso del primo mandato. Non è stato eletto un ‘nuovo’ leader come ci si sarebbe augurati in una democrazia capace di ricambi normali. Perché? 

Esclusi tutti i leader di partito che non avrebbero permesso che qualcuno di loro fosse eletto, non rimanevano che due possibilità. La prima era eleggere Draghi, ovvero l’unico altro leader politico rimasto in campo, diventato tale in questo anno da primo ministro.

Ma questo era fuori dalle realtà in quanto la sua elezione avrebbe inevitabilmente comportato le elezioni anticipate per l’impossibilità – di cui si aveva consapevolezza – da parte dei leader partitici di trovare un accordo su un nuovo primo ministro, malgrado qualche tentativo dello stesso Draghi di riassicurare i parlamentari. Dunque, rimaneva solo un altro leader, malgré soi, che si poteva eleggere: Mattarella. 

A parte lui non vi era più nessuna altra personalità politica che sarebbe potuto diventare presidente. Certamente, vi erano altri potenziali candidati di alto livello personale e intellettuale, ma tutti fuori dalla politica. E soprattutto tutti bloccati da qualche veto, ovvero da quel meccanismo di interdizione reciproca che ha reso assai difficili e spesso inconcludenti i processi decisionali all’interno del parlamento e che proprio in questi due anni di pandemia ha sostanzialmente spostato le responsabilità decisionali verso il governo con le diverse forme di decretazione. 

In breve, vi è stata un’interazione dei diversi fattori sopraindicati in cui l’ultimo, l’incertezza, ha creato una forte necessità di stabilità che ha alla fine travolto tutto. Peraltro, in una democrazia contemporanea, dominata dall’immediatezza e dai media, diventati altri attori decisivi, sarebbe stato impossibile per gli stessi leader partitici tenere ancora dieci e venti votazioni a causa dell’impatto fortemente delegittimante che il protrarsi delle votazioni avrebbe avuto su di loro.

Alla fine, tutta la vicenda sembra avere reso ancora più forte il primo ministro e il governo. Speriamo bene.