Il Principe

di Leonardo Morlino

Elezioni presidenziali: cambio di gioco?

Quattro considerazioni  portano a pensare che questa volta la regola non scritta per cui al Quirinale non si eleggeva un leader di partito questa volta potrebbe non valere

Leonardo Morlino
MORLINO

Dopo tutte le decine di articoli che si leggono giornalmente sulle elezioni del capo dello stato, la reazione più ovvia sarebbe la noia, il rifiuto di rimanere intrappolato in questo tema. Però, poi, ci si ferma a considerare sia l’importanza della posta in queste elezioni sia che alla fine è un modo indiretto per approfondire l’analisi del momento che la nostra democrazia sta vivendo. E allora con notevole temerarietà chiediamoci: che cosa sappiamo che ci può aiutare a rispondere, anche se parzialmente, a quella domanda?

Almeno quattro osservazioni, che condizioneranno queste elezioni, le possiamo fare. E queste considerazioni si portano una sola conclusione possibile. Esaminiamole. La prima: il ruolo del presidente è cambiato negli anni. È stata richiamata più volta la famosa espressione dei ‘poteri a fisarmonica’. Ma, in realtà, analizzando gli ultimi anni, sappiamo bene che si sono dilatati, e basta. Ovvero la fisarmonica si è rotta, ovvero non si tornerà indietro a un ruolo formale e marginale.

Sono ormai poteri ampi di direzione, guida e condizionamento della politica italiana, che resteranno tali nel tempo. La frammentazione partitica – sia in termini del numero (ormai almeno otto) sia per le loro divisioni interne sia infine per le distanze di posizioni assunte sulle diverse politiche, spesso create artificialmente per giustificare la loro esistenza – alla fine mette il gioco nelle mani del capo dello stato, e finché quella frammentazione continua il pallino rimarrà nelle sue mani. Dunque, vi sarà stabilmente un ruolo nettamente più forte del presidente.

Secondo, la forza e una qualche capacità di coesione e al tempo stesso le divisioni interne alla democrazia cristiana e i rapporti con i suoi alleati minori hanno definito un aspetto ricorrente nelle elezioni del presidente: un leader politico di primo piano non è stato mai eletto per i veti reciproci che alla fine si attivavano, anche senza che emergessero esplicitamente. In altre parole, Fanfani, Moro, Andreotti, Craxi, non sono mai stati eletti alla presidenza e non lo potevano essere per quei veti. Ma ad altri politici di secondo piano, che in diversi casi hanno dimostrato di essere leader di qualità una volta diventati presidenti, questo è stato possibile con l’obiettivo, da parte di chi li sosteneva e faceva eleggere, di avere sullo scranno più alto personalità che si supponeva fossero influenzabili (non è necessario qui ricordare le dimissioni di un Leone, ingiustamente accusato, nel 1978).

Terzo, come è noto dalla quarta votazione in poi saranno necessari 505 voti ovvero la maggioranza assoluta di un corpo elettorale composta da 1009 votanti con deputati, senatori e rappresentanti eletti delle regioni. Ma tra i parlamentari ci sono oltre 110 deputati e senatori che non appartengono a nessun partito, ovvero il 20% circa della maggioranza necessaria (110 su 505). Questo significa una frammentazione tale da rendere il voto difficilissimo da gestire.

La quarta considerazione: vi sono pochi dubbi che il clima politico di queste settimane è di massima incertezza per le difficoltà di uscire dalla pandemia, per tutte le incognite che porterà l’attuazione del piano di ripresa e resilienza (PNRR), per i problemi internazionali che ci affliggono proprio in questo momento, specie nei confronti della Russia, e soprattutto connessi con l’approvvigionamento di energia, assolutamente indispensabile per la ripresa in uscita dalla pandemia.

Se cerchiamo di trarre una conseguenza da queste osservazioni, è difficile non concludere pensando che anche i grandi elettori – e non solo la gente, i cittadini – sentano la forte esigenza di sostenere un leader, come se non si è mai fatto finora.

Insomma, anche se può sembrare paradossale, ci si può aspettare un ‘cambio di gioco’: dalla regola per cui si eleggeva un non leader (per quanto di qualità) all’elezione di un leader, dettata dalle necessità del momento. Questo è lo spazio oggettivo sia per Berlusconi, sia per leader meno divisivi in grado di attirare voti. Ma chi in particolare? Per saperlo ci vorrebbe la palla di vetro.