Aumento dello spread
Ecco quanto è costato alle banche
Paola Pilati

Quanto è costato alle banche l’aumento dello spread che ha accompagnato l’avvio del nuovo governo? Molto si è detto del suo riflesso sul debito pubblico, ma poco sull’effetto che ha sul mondo del credito. Facciamo qualche conto.

Nel secondo trimestre di quest’anno il portafoglio dei titoli di Stato detenuti dalle banche italiane è aumentato di circa 32 miliardi (46 miliardi nei primi sei mesi). E questo dopo la forte riduzione che tra la fine del 2015 e il 2017 aveva alleggerito le casse delle banche di oltre 65 miliardi di titoli di Stato, toccando a dicembre dello scorso anno quota 324 miliardi, il minimo da sei anni.

Un processo su cui la Banca d’Italia aveva dimostrato un certo sollievo.

Infatti lo scorso 10 maggio Fabio Panetta, vice direttore generale della Banca d’Italia, in un intervento alla Camera dei Deputati, nel descrivere le condizioni del sistema bancario italiano (si era a pochi giorni dalla pubblicazione dei dati del primo trimestre 2018, considerati particolarmente positivi), segnalava: l’“ammontare dei titoli di Stato detenuti dalle banche si sta rapidamente riducendo, a vantaggio dei prestiti al settore privato. In febbraio esso era inferiore del 25 per cento rispetto al picco del 2015.” Insomma, finalmente le banche stavano sostituendo investimenti in titoli di Stato con maggiori finanziamenti all’economia. E a chi chiedeva norme più severe sul possesso di titoli pubblici, Panetta rilevava, tra l’altro, che il legame tra la condizione della finanza pubblica e quella delle banche dipende molto poco dall’ammontare dei titoli da queste ultime detenuti.

Non si può dire tuttavia che le condizioni dei conti delle banche non siano dipendenti dallo spread, talvolta più correlato alle aspettative che non alle condizioni della finanza pubblica. E infatti lo spread con il suo peso ha portato a picco la redditività complessiva di alcune tra le maggiori banche italiane: ad esempio, cinque su nove delle maggiori banche del paese, quelle quotate e vigilate dalla Bce, nelle semestrali di giugno vedono trasformarsi l’utile in perdita. Le altre ridimensionano molto il risultato positivo. Vediamo come.

Nel secondo trimestre lo spread tra BTP e Bund a 10 anni è aumentato di quasi 110 bp, portandosi alla fine del primo semestre vicino ai 240 bp, valore che non si riscontrava dal lontano 2014. E anche se qualche banchiere ha voluto sostenere che la ripresa degli acquisti rispondesse solo al criterio di investire in attività con cedole e rendimento interessante, spesso migliore dei finanziamenti alla clientela primaria, è difficile credergli.

Perché? Basta guardare all’impatto della gestione dei portafogli titoli sulle semestrali delle banche quotate vigilate dalla BCE che, per la prima volta, riflettono l’introduzione dell’IFRS 9 – il nuovo standard contabile – e possono essere lette sulla base delle nuove scelte di business model effettuate a partire dal 1° gennaio 2018. È opportuno ricordare che l’avvio del nuovo principio contabile ha consentito a tutte le banche di ridefinire i propri portafogli di strumenti finanziari e che occorrerà del tempo per comprendere gli effetti delle nuove strategie perseguite da ciascun intermediario.

Ma in base al nuovo standard, il conto economico deve mettere in evidenza, a giugno e dicembre di ogni anno, nella “redditività complessiva”, una voce che riflette l’andamento del portafoglio finanziario: le “Attività finanziarie valutate al fair value con impatto sulla redditività complessiva”. In pratica, fino a quando i titoli sono detenuti nel bilancio della banca, non vengono rilevati a conto economico, ma esclusivamente a stato patrimoniale, facendo oscillare, talvolta in misura significativa, il patrimonio.

Ebbene, nel primo semestre 2018 il dato è risultato fortemente negativo, facendo emergere più di qualche preoccupazione, principalmente per gli effetti sul patrimonio e sui coefficienti di vigilanza.

Qualche numero può aiutare a comprendere meglio l’effetto sui risultati del primo semestre. Analizzando solo le semestrali delle 9 banche italiane quotate vigilate dalla Bce (le vigilate sono 11, ma Iccrea non è quotata e Mediobanca presenta il bilancio con un’altra tempistica), a fronte di un utile netto prossimo ai 5,8 miliardi di euro, vi sono circa 4 miliardi di componenti negative rilevate nel prospetto della redditività complessiva (per l’appunto si tratta per lo più della riduzione del fair value di attività finanziarie che non vengono rilevate nel tradizionale conto economico fino a quando non sono realizzate).

Quindi il conto economico complessivo, che è un aggregato più ampio del “tradizionale” conto economico (in quanto include anche costi e ricavi che sono rilevati in contropartita di voci patrimoniali), fa rilevare, per quella che viene definita negli schemi di bilancio di Banca d’Italia quale “Redditività complessiva”, un valore di appena 1,6 miliardi per le banche in questione.

Quindi, accettando qualche semplificazione e cercando di cogliere la sostanza degli andamenti, la crescita dello spread sui titoli di Stato e su altre obbligazioni (non vanno infatti dimenticate le obbligazioni corporate di controparti italiane) ha eroso oltre due terzi del risultato economico delle principali banche del paese. Guardando più da vicino, delle 9 banche ben 5 presentano un dato negativo della Redditività complessiva: si tratta di Ubi, Mps, Credem, Popolare Sondrio, Carige; una sola banca, Carige, ha anche una modesta perdita di conto economico. Quanto alle altre (Intesa, Unicredit, Bpm, Biper), il loro utile subisce un drastico downsizing. I 2,2 miliardi di utile di Intesa diventano 1,3 miliardi in termini di redditività complessiva; i 2,2 miliardi di Unicredit scendono a 334 milioni, i 349 milioni di Bpm vanno a 0,3, i 322 milioni di Bper a 159.

Se negli anni più recenti i titoli di Stato hanno contribuito in misura significativa alla redditività del sistema bancario, oggi le cose vanno in senso contrario. Il che dimostra un eccesso di dipendenza della redditività e del valore della banche italiane dall’andamento dei titoli di Stato.

Fatto che, tra l’altro, determina una relazione diretta tra il rendimento sul mercato dei titoli di Stato e la performance di borsa delle banche; l’indice di borsa delle banche italiane del 2018, in crescita fino ad aprile, è sprofondato nei mesi successivi esattamente in correlazione con la crescita dei rendimenti sui titoli di Stato dovuto all’ampliamento dello spread.