Conti in banca, fondi di investimento, gestioni personalizzate. Nei dati pubblicati sul sito della Bce la fotografia di come investono i propri denari i grandi banchieri centrali, Christine Lagarde in testa
Ci sono un italiano, uno sloveno, due irlandesi, uno spagnolo, un portoghese, un austriaco e un lussemburghese, le cui finanze stanno a zero. Non è l’inizio di una barzelletta, ma l’elenco dei più frugali tra i banchieri centrali nella fotografia scattata dalla Bce sugli “interest” dei componenti del proprio consiglio direttivo, nel rispetto delle regole del Codice di condotta.
La lista delle dichiarazioni, firmata di pugno da ciascuno, è stata appena pubblicata sul sito della Bce (https://www.ecb.europa.eu/ecb/access_to_documents/document/declarations/shared/pdf/ecb.dr.dec200402_declarations_of_interest_withIndex.en.pdf?20ee7eb761c11b6eda64f354672eb46e), e dà conto delle attività private mantenute durante il periodo dell’incarico a Francoforte e di quanto vengono pagate, degli investimenti in portafoglio, e aggiunge un’occhiatina anche sul conto in banca. Ma in questo caso chiede solo se il deposito supera i 100 mila euro ed è in una delle 115 banche significative vigilate dal Single supervisory mechanism. Sotto quella cifra non interessa, e in una banca fuori da quel club, neppure.
Pur non essendo quindi particolarmente intrusiva, l’operazione trasparenza può imboccare una direzione che va oltre la sua missione. Non serve per fare i conti in tasca a nessuno, visto che cifre non se ne fanno se non i pochi spiccioli di qualche incarico più decorativo che altro. Ma può per esempio rivelare inclinazioni o addirittura passioni attraverso le scelte di investimento; far immaginare robusti patrimoni nel caso si segnali di ricorrere a un “discretionary asset management”, cioè una gestione con un manager di portafoglio; supporre la tetragona intenzione di non prendere alcun rischio sui mercati in coloro che di “interest” non ne hanno affatto. Come gli otto di cui si diceva all’inizio: l’italiano Fabio Panetta, entrato nel comitato esecutivo della Bce all’inizio dell’anno, Bostjan Vasle, governatore della Banca di Slovenia, l’irlandese Gabriel Makhlouf, governatore della Banca centrale d’Irlanda come pure il suo predecessore Philip Lane, Pablo Hernandez de Cos, il governatore del Banco di Spagna, quello della banca centrale portoghese Carlos da Silva Costa, l’austriaco Robert Holzmann e l’ex governatore lussemburghese Yves Mersch. Tutti senza investimenti da segnalare, né incarichi né conti in banca che rientrano della categoria richiesta.
Non certamente poveri diavoli, per carità, ma vuoi mettere con la Lagarde, che firmando a metà del marzo appena trascorso la sua dichiarazione (tutti gli altri lo avevano già fatto da tempo) elenca il possesso di un fondo della BnParibas e una partecipazione in una società immobiliare francese, la Real Estate Trasparent Corporation, oltre a un conto in banca sopra i 100 mila euro in banca significativa? Oppure con Francois Villeroy de Galhau, governatore della Banca di Francia, che ha i suoi investimenti “under management” (oltre a una partecipazione nella fabbrica di ceramiche di famiglia Villeroy et Boch) e anche lui un conto oltre i centomila, pari pari all’attuale governatore del Lussemburgo Gaston Reinesch?
Pescando dal gruppo dei nullatenenti solo i rappresentanti dell’Europa del Sud, e aggiungendo il nostro Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, e Yannis Stournaras, Banca di Grecia, entrambi che si limitano a segnalare di possedere solo il deposito in banca, si potrebbe sostenere che in quel pezzo di Europa, spesso vituperato quanto a finanze, vige viceversa la morigeratezza finanziaria. Si stacca dal gruppo geografico solo il maltese Mario Vella, che segnala investimenti in fondi, quelli di Ubs in Lussemburgo, e nella patriottica Calamatta Cuschieri.
D’altra parte i fondi sono l’investimento preferito della maggioranza dei membri del board, e spesso anche l’unico. Come per lo spagnolo Luis de Guindos, vicepresidente della Bce (MM Mutuactivos Fund), l’olandese Klaas Knot (Profields Fund), e il cipriota Costantinos Herodotu, che oltre a dichiarare un deposito oltre i 100 mila euro ha investimenti in fondi ad ampio raggio (dal Brasile al Pacifico, dalle piccole aziende alla Cina). Condivide con la Lagarde la passione per il mattone Peter Kazimir, Banca Centrale di Slovacchia, per la sua partecipazione in patria nella Prodomo (e dichiara anche il conto). Si limita a delegare la sua gestione di portafoglio il lituano Vitas Vasiliauskas.
Poi ci sono gli esuberanti, quelli che alla Borsa ci credono davvero e si muovono scegliendo fior da fiore. Lo fa il lettone Martins Kazaks (investe in una società biometrica svedese, una società per l’energia off-shore, una società danese di gioielleria). Lo fa l’estone Madis Muller (investe nei fondi pensione ma anche nella Tallina Kaubamaja, shopping online, e in un fondo specializzato in aziende russe, in una azienda americana di biotecnologia, sull’immobiliare e sul legno) e il belga Pierre Wunsch: oltre al conto in banca, punta con piglio dinamico su fondi di tutte le migliori boutique finanziarie (Templeton, Amundi, Carmignac, JpMorgan, Fidelity, Schroeders), e su tutti i mercati (Europa, Asia, Giappone), oltre alla partecipazione in due start-up di Bruxelles (energia pulita e smart certificates).
Lo shopping in Borsa lo fa su larga scala la new entry femminile del board, la tedesca Isabel Schnabel, i cui investimenti vanno su un bouquet di titoli in cui non mancano molte blue chip tedesche (Bayer, Daimler, Siemens, Basf), ma anche Baidu (il motore di ricerca cinese), Alibaba, Facebook, Alphabet, Amazon, Teamviewer, Spotify, cioè i dominatori della tecnologia ICT globale, senza dimenticare Hasbro (giocattoli) e Walt Disney.
Tutto il contrario dell’altro tedesco nel consiglio esecutivo, il capo della Bundesbank Jens Weidmann, la cui laconica dichiarazione riporta solo la proprietà di quote in due ETF. Batte tutti per basso profilo il finlandese Olli Rehn: possiede una società di comunicazioni e ricerche con capitale 8.500 euro, ma non è attiva, e devolve i 15 mila euro netti che gli arrivano dalla vicepresidenza della Fifa al non-profit.