Ecco l’Arbitro, paladino del risparmio, pacificatore dei conflitti
Paola Pilati

L’Arbitro per le controversie finanziarie, l’ultimo nato tra gli organismi di risoluzione stragiudiziale della micro conflittualità dei consumatori, ha compiuto un anno di vita e presenta oggi il suo primo bilancio di attività. Un anno che non ha lasciato tempo al rodaggio, ma ha messo da subito sotto stress la struttura nata sotto l’ala della Consob: «Fin dal primo giorno», dice il presidente Gianpaolo Barbuzzi, «siamo stati sommersi dai ricorsi».

Dal 9 gennaio 2017, giorno in cui si sono accesi i computer per ricevere i ricorsi online, si sono infatti riversati sul Collegio Acf (quattro membri oltre a Barbuzzi) i casi dolenti di 600 clienti i cui risparmi sono rimasti bruciati nel fallimento delle banche venete, la Popolare di Vicenza e Veneto Banca. E se il loro numero non ha continuato a crescere come una palla di neve è solo perché il 19 luglio, dopo il decreto legge per la liquidazione coatta delle banche venete, la Bce ha revocato alle stesse l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria. Cancellandole di fatto come interlocutori di una soluzione stragiudiziale. Le vittime dei bond al veleno delle banche fallite (oltre alle due venete anche le quattro – Etruria&C. – messe in risoluzione prima, più Mps), sono però molte di più, e ora a smaltire le loro richieste penserà l’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione, che è già al lavoro per esaminare un fiume di 1.900 casi.

Se questi sono i numeri, si capisce come il varo dell’Acfnon poteva non arrivare. La sua gestazione, passata attraverso una Direttiva Ue (del 2013) e un Decreto legislativo nazionale (nel 2015) solo per citare i riferimenti normativi più recenti, ma scandita da una lunga attesa e false partenze (come quella di una Carta degli investitori tra Consob e Associazioni consumatori che ha dato vita a un “tavolo” assai poco incisivo), è finita proprio quando il clima intorno ai casi di risparmio tradito si era talmente arroventato che diventava assolutamente necessario fornire una speranza, e una strada concreta, per ricevere giustizia.

E in molti casi giustizia c’è stata. «Abbiamo già esaminato la metà dei nostri 600 casi delle banche venete, e per il 90 per cento sono stati accolti», spiega Barbuzzi. In totale l’attività del primo anno dell’Acf ha riguardato 1.850 ricorsi (tanto per fare un paragone, l’Abf, l’arbitro bancario finanziario, ne ha chiusi 150 nello stesso periodo), il 60 per cento dei quali sono stati accolti. Gli intermediari coinvolti sono stati 120, sui 700 che operano sul territorio. Ma è sorprendente soprattutto il valore medio dei risarcimenti riconosciuti a chi ha fatto ricorso: 28 mila euro, che la dice lunga sulla mattanza di risparmio che le banche malgestite e poi fallite si sono lasciate dietro.

Nel complesso, ai 120 intermediari con cui l’Acf ha trovato un accordo stragiudiziale (evitando cioè di andare di fronte al giudice ordinario) è stato chiesto di sborsare 5 milioni e 200 mila euro. Il caso più eclatante? «Quello di un ex azionista di una banca veneta, a cui è stato riconosciuto un danno di 305 mila euro», accenna appena Barbuzzi. Ma per esercitare questo credito, la palla è passata ai liquidatori della banca, e di fatto non si sa come per quel cliente andrà a finire.

Qual è l’identikit di chi fa ricorso all’Arbitro? «Il 64 per cento sono uomini e il 32 sono donne», spiega Barbuzzi, «mentre il resto sono società. Quanto alla fascia di età, la più significativa è quella tra i 65 e i 74 anni. Rispetto alla ripartizione territoriale, il 59 per cento del totale         risiede nel Nord, ma questo non solo perché è l’area più ricca, ma anche perché sulla statistica pesa il caso Veneto, regione da cui proviene il 31 per cento dei ricorsi».

Ma l’aspetto più interessante che si ricava dalla casistica dispiegata di fronte al collegio dell’Arbitro, non è tanto fatto dai numeri, quanto piuttosto della relazione tra banca e cliente. A emergere è come spesso quella relazione sia carente, sia da parte della banca che da quella del cliente. «Spesso il risparmiatore è incoerente, si auto assolve dei suoi errori, ma poi si lamenta; oppure è “overconfident”, troppo sicuro di sé, salvo poi rendersi conto di avere sbagliato e addebitare l’errore all’intermediario che non gli ha impedito di operare», racconta Barbuzzi.

Ma nell’asimmetria di quella relazione l’addebito di responsabilità alle banche è inequivocabile e si riscontra soprattutto su due servizi di investimento: «I servizi di consulenza e l’esecuzione ordini», dice il presidente Acf, citando tra questi ultimi il cosiddetto caso degli “scavalcati”, clienti i cui ordini di vendita – anche qui siamo sulle banche venete – non furono eseguiti a vantaggio di clienti privilegiati. Anche tra i primi, i servizi di consulenza, la casistica esaminata dai componenti dell’Arbitro raccontano di come venissero vendute polizze ventennali o prodotti derivati a clienti ottantenni. O di come l’operatore allo sportello proponesse al cliente ignaro titoli che già le notizie di cronaca sconsigliavano. O come molte Popolari abbiano coinvolto i propri clienti nel collocamento di titoli impossibili da liquidare.

Una galleria degli orrori ai danni dei più deboli che da quest’anno, con l’entrata in vigore della Mifid 2, dovrebbe diventare solo un ricordo, visto che la direttiva fa obbligo agli intermediari di “servire al meglio l’interesse del cliente” e quindi non proporgli prodotti a lui non adatti. «Inoltre la nostra missione non è solo quella di risolvere al meglio la singola controversia o occuparci dei casi di “mala gestio”», precisa Barbuzzi, «ma anche quella di dare indicazioni di carattere generale agli intermediari affinché in base alle sentenze Acf definiscano le best practice di mercato».

Le banche insomma non sono chiamate in causa dall’attività dell’Arbitro semplicemente per i singoli errori che fanno, e per farne ammenda, ma per imparare a plasmare un rapporto migliore a tutto campo con il cliente. A partire proprio dalla capacità di gestire i reclami dei consumatori, che secondo la procedura dell’Acf devono passare in una prima fase all’interno della banca, e solo dopo 60 giorni senza aver ottenuto risposta, chiamare in causa l’Arbitro. Il quale, a detta di Barbuzzi, si pone come uno “strumento di pacificazione”. Un grande pompiere nel mondo incendiato del risparmio.