PRIVATE BANKING
Ecco come guido Finnat a battere la concorrenza

intervista con Arturo Nattino, amministratore di Banca Finnat

Non solo gestione del patrimonio, ma servizi sulla governance familiare o per l'approdo delle Pmi in Borsa. Sempre con la stessa regola: quella del rapporto personale, diretto e fiduciario. Ecco come la banca privata con più storia alle spalle, sempre guidata dalla stessa famiglia, sfida un settore di business sempre più competitivo

Paola Pilati

Nel wealth management la concorrenza tra banche si sta facendo serrata. Entrano sempre più spesso nel settore le banche commerciali, a caccia di patrimoni da gestire, esordisce su larga scala un peso massimo come Mediobanca, che con il lancio di Mediobanca Premier spende il suo storico brand di banca d’affari per attirare la ricchezza finanziaria della fascia medio-alta del mercato.

Il private banking, finora padrone del campo nel mondo della gestione e della consulenza finanziaria per i grandi patrimoni, siano essi familiari che d’impresa, si trova quindi di fronte a nuove sfide. Come fidelizza i suoi clienti e ne conquista di nuovi? Come difende la sua rete di banker nel nuovo contesto concorrenziale? Arturo Nattino, amministratore delegato di Banca Finnat, spiega in questa intervista come si sta muovendo una delle banche private italiane con più storia alle spalle: 125 anni di attività, cinque generazioni di Nattino alla guida e 17,4 miliardi di massa gestita a fine 2023.

Come si è trasformato il vostro settore nel tempo? L’identikit del cliente “private” è cambiato? Ed è necessario un patrimonio minimo per accedere ai vostri servizi?

«Non c’è un patrimonio minimo, anche se il patrimonio medio dei nostri clienti è superiore a quello medio delle banche commerciali. Quello che è differente è il nostro modello di business: alla gestione finanziaria del patrimonio affianchiamo altri servizi, che non tutte le banche private hanno. Tra pandemia, conflitti bellici in Europa e Medioriente, inflazione, è aumentata l’attenzione dei clienti nella gestione dei propri patrimoni, spingendoli ad affidarsi a figure professionali altamente specializzate. Per questo al Private Banker non viene più solo richiesto di fornire indicazioni per tutelare il patrimonio accumulato, o per farlo crescere nel tempo, ma diventa sempre più rilevante affrontare con il cliente temi extra finanziari, che riguardano altri bisogni della famiglia e dell’impresa».

Faccia qualche esempio di questi temi extra finanziari.

«All’interno del perimetro della banca c’è una società fiduciaria – Finnat Fiduciaria –  che possiede un know-how a tutto campo sui temi più sofisticati della governance familiare. Facciamo insomma consulenza su passaggi generazionali, rapporti tra familiari, patti di famiglia, anche con finalità successorie. Competenze che sono molto richieste dai nostri clienti, perché servono anch’esse per guardare al futuro, al pari di quelle finanziarie. Altro esempio: a Roma abbiamo un team di 15 persone dedicate alla consulenza alle piccole e medie imprese: consulenza che va dall’accompagnarle alla quotazione in Borsa all’emissione di minibond o a operazioni di M&A».

Qual è la leva che banche private come la vostra possono usare per difendere la propria specializzazione?

«Il nostro settore è attualmente impattato da importanti mutamenti strutturali del contesto economico finanziario: la crescita del risparmio delle famiglie che si è manifestata negli ultimi anni in modo disomogeneo; i patrimoni familiari degli italiani particolarmente sbilanciati verso asset non finanziari, quali immobili e società; l’invecchiamento della popolazione e il conseguente aumento del bisogno di soluzioni di previdenza integrativa e di tutela personale; la rilevanza di scelte economiche e finanziarie per favorire il passaggio generazionale. I risparmiatori cercano professionisti non solo competenti, ma disponibili a supportarli nelle decisioni. Noi abbiamo risposto facendo leva sulla vicinanza ai clienti, intensificato la frequenza del dialogo con loro. Questo ci ha permesso di avere un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza».

A marzo darete il via al nuovo piano industriale. Quali sono i vostri obiettivi di crescita? In quale direzione di clientela, in quali settori di investimento?

«Da anni il nostro gruppo persegue con tutte le sue società l’obiettivo primario di crescita delle masse. Continueremo a farlo, anche con l’assunzione di private banker con il proprio portafoglio. Proseguiremo inoltre nel focalizzare il nostro gruppo sulle nostre due principali attività: Private Banking e Asset Management nel Real Estate. Negli ultimi anni abbiamo investito molto sull’adeguamento dei sistemi informatici e nella digitalizzazione dei servizi, che ha migliorato sensibilmente l’esperienza del cliente, ma la centralità del rapporto personale tra cliente e banker, per costruire e consolidare il rapporto di fiducia, è la chiave del successo della nostra organizzazione».

Questo comporta una classe di banker addestrati, e soprattutto da difendere dalla concorrenza sempre più agguerrita, in un settore che combatte anche con una certa “crisi delle vocazioni” in questa professione. Come vi comportate?

«Abbiamo una cinquantina di private banker e ogni anno inseriamo uno o due giovani, scelti nelle università di economia, da affiancare loro affinché imparino il mestiere e siano allineati allo stile Banca Finnat».

Il settore del risparmio registra un trend crescente della consulenza a pagamento. Il che aumenta lo stress della ricerca di risultati positivi da portare al cliente. Quali asset class avete privilegiato? Con quali nuove asset class avete ampliato la vostra offerta? E oggi che i tassi sono più alti come vi muovete?

«La nostra offerta si basa sulle due forme essenziali di servizio tipiche del private banking: la gestione in delega e la consulenza. Per entrambe, la selezione degli strumenti investibili avviene tramite un’analisi attenta al rischio e alla diversificazione, utilizzando tutte le asset class disponibili, quelle tradizionali e quelle innovative. Abbiamo una società di gestione di fondi immobiliari, InvestiRE, con un portafoglio di immobili da 7 miliardi in tutta Italia. Per i clienti che evidenziano la competenza necessaria e l’interesse, affianchiamo a quelle tradizionali anche le asset class alternative che, per loro natura, a fronte di un certo livello di illiquidità, possono essere utili nell’attuale contesto di mercato per gli evidenti vantaggi in termini di diversificazione. In questa direzione si inserisce la partnership siglata con Hedge Invest, che ci ha permesso di ampliare la competenza nella selezione di alcune asset class, che comunque continuiamo a scegliere sempre nella logica della piattaforma aperta».

Quanto sono diffusi gli investimenti “private”, le asset class “alternative” con il difetto della scarsa liquidabilità, nei vostri portafogli?

«Le asset class illiquide, che negli Usa rappresentano il 30-35% dei portafogli, nel nostro settore pesano non più del 2-3%. Sono cresciute nella fase dei tassi a zero, che rendevano appetibili questo tipo di investimenti, ma ora, con il Btp che rende il 4-5%, utilizzarle è diventato più difficile. Noi li inseriamo solo nei portafogli oltre una certa dimensione. Detto questo, la crescita degli investimenti illiquidi è un processo ineluttabile».

L’industria del private banking si propone di conquistare i millennial e la generazione X: voi come affrontate la sfida?

«Molti giovani li abbiamo già: sono i nipoti dei clienti di mio nonno. Banca Finnat può vantare una fidelizzazione storica della sua clientela, anche grazie il costante coinvolgimento di tutte le generazioni nella relazione che abbiamo con le famiglie dei clienti. Detto questo, il ricambio generazionale della clientela è un tema importante. Per questo, con la nostra Finnat Academy, facciamo una promozione mirata ai figli dei nostri clienti – tra i 18 e i 20 anni – e ai loro amici, a cui offriamo corsi di formazione basica. Tra i 25 e i 35 anni facciamo invece una formazione più specifica, per esempio sul venture capital, sul passaggio generazionale, sulle start up».

Tema degli investimenti ESG: i giganti dell’investimento made in Usa stanno ammainando la bandiera del rispetto dei criteri ESG. Voi che posizione avete in merito?

«Banca Finnat è sensibile a temi legati alla sostenibilità e si è impegnata sin dal 2020 a mettere a disposizione della propria clientela, che manifesta questo interesse, delle soluzioni d’investimento rispondenti a quelle che sono le direttive europee in materia. Attualmente, la maggior parte dei prodotti da noi gestiti rientra tra quelli indicati nell’art.8 del Regolamento 2019/2088 (SFDR). Riteniamo che una policy d’investimento che tenda ad individuare e rispettare anche criteri volti al miglioramento della “qualità ESG” dei portafogli contribuisca a mitigarne la rischiosità, con conseguenti benefici nel medio termine anche sotto il profilo di rischio/rendimento complessivo. Le aziende che integrano pratiche ESG nella propria strategia e attività tendono infatti ad essere meno vulnerabili e più gradite a molti investitori. Non è un caso che i “fondi sostenibili” a livello globale, anche se specialmente in Europa, siano aumentati di circa 25 volte rispetto alla fine del secolo scorso».