Il family office di Banca Finnat
Ecco perché scegliere il trust

Intervista con Luigi Mennini, AD di Finnat Fiduciaria

Paola Pilati

«Il 92 per cento delle piccole e medie imprese italiane sono a carattere famigliare. La metà di loro, quando arriva alla terza generazione, scompare. Non solo: il 53 per cento delle imprese famigliari ha al vertice un imprenditore con più di 60 anni». A tracciare l’identikit del nostro sistema produttivo, così vitale da un lato, ma anche così fragile se lo si guarda nella prospettiva della longevità dei suoi componenti, è un banchiere che si occupa di grandi patrimoni: Luigi Mennini, amministratore delegato di Finnat Fiduciaria, lo strumento con cui Banca Finnat svolge, sotto la vigilanza di Banca d’Italia, il servizio di assistere le famiglie nella pianificazione famigliare.

«Siamo un family office, il primo intelocutore con cui la famiglia si confida e da cui si attende una risposta alle sue esigenze», chiarisce Mennini. Esigenze legate a passaggi generazionali, a divisioni ereditarie, a tutela di soggetti deboli: a programmare il futuro, insomma, affinché il futuro non passi sulle cose care – persone e beni – travolgendole.

Il gruppo bancario della famiglia Nattino ha perciò costituito la sua fiduciaria come un soggetto abilitato per affrontare in proprio tutte le possibili soluzioni, per esempio a svolgere l’attività di trustee, quando necessario, senza dover passare per la costituzione di una trustee company ad hoc. Una caratteristica, questa, che non tutte le banche hanno. Come mai questa scelta, visto che il trust è uno strumento che non appartiene al nostro ordinamento, ma è importato dalla common low?

«Proprio perché è disciplinato da una normativa estera, che per esempio può essere quella di Bahamas o delle isole del Canale, ma poi può essere costituito e registrato in Italia, perché l’abbiamo recepito all’interno del nostro ordinamento con la Convezione dell’Aja – risponde Mennini – la nostra giurisprudenza preferisce che ad amministrare un trust sia un soggetto istituzionale, piuttosto che una persona fisica. Questo per le mille questioni normative da ottemperare, come la disciplina antiriciclaggio. Noi ci proponiamo come questo soggetto».

Ma il trust viene visto spesso come uno strumento per “velare” delle attività. Per esempio, per evadere la tassazione o schermare operazioni non trasparenti. Come vi regolate?

«Questa idea è assolutamente infondata. Il trust tutto è meno che uno strumento per evadere. Ha un codice fiscale, paga le tasse, è uno strumento trasparente. Poi, come ci sono persone fisiche che evadono, anche un trust, se non ben amministrato, può farlo…».

Voi per che cosa lo utilizzate?

«Il trust è lo strumento migliore per il passaggio generazionale nelle aziende. Per garantire la continuità della famiglia in azienda, e l’equilibrio dei rapporti all’interno della famiglia stessa. Il problema, da noi, è che spesso l’imprenditore vede quel passaggio come un “evento che verrà”, senza programmarlo, come viceversa sono abituati a fare all’estero».

Eppure da noi si sta diffondendo lo strumento del “patto di famiglia”. Che ne pensa?

«È uno strumento valido, che consente alla prima generazione di passare i beni alla seconda in esenzione della tassazione di donazione, purché non vengano venduti entro i cinque anni. Il fatto è che il patto di famiglia si scontra con una realtà piuttosto diffusa».

Quale?

«Presuppone che tutti i componenti della famiglia siano d’accordo. Mentre nella realtà l’armonia non è sempre garantita. È qui che il trust può essere lo strumento giusto».

Ma si perde l’esenzione prevista dal patto.

«No: l’azienda può essere trasferita dalla prima generazione utilizzando il patto di famiglia per assicurare neutralità fiscale, ma poi sarà un trustee ad amministrarla, con beneficiari i componenti della seconda generazione, e con la garanzia del vicolo dei cinque anni».

Dunque i clienti che vi chiedono un trust sono soprattutto aziende.

«No, c’è molta richiesta anche per la tutela dei minori o dei soggetti incapaci. Prendiamo una famiglia con un padre anziano, una moglie giovane e figli minori: le disposizioni che si possono dare con un semplice testamento danno la metà del patrimonio alla moglie e metà ai figli minori, ma con la nomina di un tutore. Una configurazione che irrigidisce molto la tutela, la rende arida e burocratica. Invece la costituzione di un trust, con le istruzioni su come amministrare il patrimonio a favore del minore, è uno strumento che può coinvolgere la famiglia e accompagnare meglio la crescita di quel figlio».

Si può quindi aggirare la normativa della successione?

«No: c’è assoluto rispetto della legittima. Semplicemente, si distribuisce il patrimonio in maniera graduale e mirata. Per esempio, invece di assegnare alla moglie giovane tutta la sua quota di patrimonio in un’unica soluzione, si distribuisce sotto la forma di reddito mensile o annuale, e ai figli con delle tranche a scadenze, per esempio al momento della laurea per comprarsi una casa. Quando poi si presentano situazioni famigliari più complicate, con più matrimoni e figli di più letti, il trust permette soluzioni più equilibrate».

Dalla vostra esperienza di family office il trust sta quindi entrando nelle abitudini degli italiani?

«I processi relativi ai passaggi patrimoniali sono complessi, anche psicologicamente. Perciò andrebbero visti come un processo, non come un momento di stacco, all’ora X. In questo il trust aiuta. Per esempio, per conto di molte famiglie abbiamo assunto attraverso un trust la gestione dei loro patrimoni, mobiliari e immobiliari, con la finalità di una pianificazione successoria. Certo, è una soluzione sofisticata che va capita fino in fondo».

Quali sono gli elementi chiave per la decisione?

«Va tenuto presente il fatto che il trust è irrevocabile. E prevede lo spossessamento del bene. Poiché la nostra cultura rinvia il momento dello spossessamento del patrimonio, spesso, di fronte a queste condizioni, molti si tirano indietro. Non si capisce che tutto dipende da come si costruisce il trust, vale a dire da quali istruzioni vengono date al trustee. Il quale non deve esercitare la sua discrezionalità, ma deve solo seguire le indicazioni del mandato. Il lavoro preparatorio, a cui noi collaboriamo, sta proprio nel disegnare meticolosamente questo mandato, che continuerà a rispecchiare la volontà di chi l’ha dettato anche dopo la sua morte».