MODELLI FINANZIARI /IL CASO AFGHANISTAN
È l'hawala che fa muovere il denaro

Chiusi i rubinetti finanziari occidentali e i canali bancari, gli afghani devono affidarsi al sistema tradizionale di scambio del denaro, chiamato hawala. Che ha iniziato a diffondersi anche da noi

Paola Pilati

“Primo dell’arrivo dei Talebani il corrispettivo di circa 400 milioni di dollari in banconote era conservato nel palazzo presidenziale e negli uffici della Banca Centrale. Sospetto che siano stati inviati all’estero prima dell’arrivo dei Talebani”. Così twettava Ajnal Ahmady, il governatore della DAB, la banca centrale afghana, a metà agosto.

Certamente quel denaro ha preso il volo verso conti personali. È invece diventata un caso internazionale la decisione del Tesoro Usa di congelare gli asset della DAB depositati presso la Fed di New York. Circa 22 tonnellate di lingotti d’oro che riposano nel caveau al numero 33 di Liberty Street addirittura dal 1939 e altre riserve, con l’effetto di rendere inaccessibili 9 miliardi di dollari al nuovo governo talebano.

Alla decisione di Janet Yellen, sottosegretario al Tesoro, ha fatto seguito quella del Fondo monetario, che ha bloccato l’accesso a 450 milioni di dollari di aiuti (una quota dell’emissione di diritti speciali di prelievo per i paesi poveri), che avrebbero assicurato liquidità nel paese.

Le conseguenze si sono subito viste: lunghe code agli sportelli bancari per ritirare denaro, limitato a 200 dollari di prelievo al giorno, stipendi non pagati, rischio di una inflazione esplosiva che renderebbe la vita della gente comune molto difficile. Tanto che Western Union, la banca che assicura l’arrivo delle rimesse degli emigrati al paese (qualcosa come 800 milioni di dollari l’anno), dopo aver sospeso per qualche giorno l’attività, ha rapidamente fatto marcia indietro e riaperto il flusso dei soldi verso Kabul.

Per chi vuole cambiare la valuta locale, l’afghani, in dollari, la situazione si fa quindi sempre più critica e non solo per la svalutazione montante (il cambio chiede 86 afghani per un dollaro ma è in rapida evoluzione), ma anche perché la sussistenza della larga maggioranza del paese dipende dalla disponibilità di due dollari al giorno, e questi dollari stanno scomparendo.

L’alternativa, in un paese che è legato a una economia fisica e non digitalizzata, con poche banche e solo nella capitale, è continuare ad affidarsi al sistema finanziario tradizionale chiamato hawala.

Si tratta di uno scambio di denaro che funziona attraverso un network un network basato sulla fiducia: il denaro non viaggia e non cambia di mano, semplicemente vengono registrati i trasferimenti nei registri e si accreditano le cifre da un luogo e un altro e viceversa. Naturalmente il servizio ha un costo, che si questi tempi sta salendo. Anche perché gli “agenti” del sistema, chiamati hawaladar, si trovano nella necessità di cambiare valuta afghana con valuta pregiata, che scarseggia e costa sempre di più.

Più veloce del sistema bancario e anche più efficiente, l’industria hawala si stima rappresenti oltre il 70 per cento degli scambi finanziari del paese in Afghanistan, ma è diffusa oltre i suoi confini: UAE, gli emirati arabi, hanno di recente aggiornato le regole ufficiali per l’esercizio dell’hawala, che considerano un mezzo di inclusione per le fette della popolazione più arretrata, tengono un registro degli agenti e monitorano il settore per evitare che diventi un canale per il riciclaggio del denaro.

Il sistema di scambio informale e fiduciario è infatti un’autostrada per alimentare l’economia in nero e illegale. Nel caso dell’Afghanistan può servire a finanziare i gruppi terroristici e fare da canale per il network della droga. Ma la sua efficienza ne ha fatto un metodo esportabile anche altrove. Per esempio da noi.

Nel marzo scorso, la Guardia di Finanza di Milano ha sgominato una banda organizzata da due broker hawala di origini egiziane, che trasferivano ingenti risorse di origine illecita, riciclavano danaro ed emettevano fatture false.

I broker trasferivano denaro di provenienza illecita in Italia e all’estero con il metodo hawala, con una commissione tra i 2 e il 5 per cento e in alcuni casi il trasferimento di denaro avveniva attraverso imprenditori italiani compiacenti che così emettevano fatture false. Molto meglio delle criptovalute.