Il private equity “paziente”, più conosciuto come permanent capital, può essere il più adatto ad accompagnare la trasformazione e la crescita delle aziende di media dimensione. Prevede una logica di investimento con un orizzonte temporale di medio-lungo termine, orientato ad affiancare l’imprenditore ed il management in strategie di sviluppo di ampio respiro. In Italia il bacino potenziale è ampio e offre molti vantaggi. Al sistema paese e anche agli investitori
Il sistema produttivo italiano si caratterizza per una presenza limitata di grandi imprese multinazionali e, allo stesso tempo, per una straordinaria rete di aziende medie e piccole leader in molti settori, perfettamente integrate nelle filiere della manifattura internazionale e con una capacità riconosciuta di innovazione. A questa caratteristica tradizionale del tessuto economico del nostro paese si è affiancato più recentemente lo sviluppo di nuove realtà nei servizi e nel mondo delle tecnologie avanzate, che si sono affermate con modelli vincenti di offerta alla clientela retail o al mondo del B2B.
Molte aziende si fondano su famiglie imprenditoriali di antica o nuova generazione, che hanno saputo nel tempo managerializzare le proprie strutture per affrontare mercati sempre più complessi e competitivi. Spesso rimangono però sotto il potenziale per un’insufficiente patrimonializzazione che può frenare gli investimenti e la ricerca di nuovi mercati.
Gli interventi normativi e le agevolazioni fiscali per incentivare la capitalizzazione delle aziende (ACE) piuttosto che per agevolare i processi di aggregazione aziendale hanno favorito percorsi di crescita dimensionale. Le politiche senza precedenti varate nel corso della pandemia da Covid-19 hanno a loro volta stimolato domanda, investimenti e consumi, indirettamente supportando le operazioni di M&A, che nel corso del 2021 hanno ritrovato una straordinaria effervescenza. In un mondo che ha visto l’M&A toccare il valore record di 5.600 miliardi di dollari, le transazioni che hanno visto protagoniste le aziende italiane hanno raggiunto i 96 miliardi di euro, con 1093 operazioni concluse; 193 acquisizioni italiane all’estero valgono da sole 56 miliardi di euro (fonte Kpmg, il dato è molto influenzato dall’operazione Stellantis e dall’acquisizione di Grand-Vision da parte di Essilor-Luxottica, che per vero hanno entrambe connotazioni sovranazionali).
Il mercato del private equity ha mostrato gli stessi trend, sia in termini di deal flow che di raccolta. L’ammontare investito nell’anno in Italia è stato pari ad 11,3 miliardi di euro per 186 acquisizioni e la raccolta di capitali si è attestata a quasi 3 miliardi di euro nei soli primi sei mesi del 2021 (fonte AIFI-PwC). Importi rilevanti se confrontati con gli scorsi anni, ma piuttosto concentrati sulle principali operazioni e nel complesso limitati se riferiti al potenziale del sistema produttivo e soprattutto al risparmio disponibile.
Da molti anni si discute nel nostro paese su come indirizzare maggiormente verso l’economia reale, in particolare verso il tessuto delle medie imprese nazionali, gli ingenti capitali che gli italiani destinano agli strumenti di liquidità (i depositi bancari da residenti si collocavano tra i 1.700 ed i 1.800 miliardi negli ultimi mesi del 2020), ai titoli del debito pubblico nazionale o agli strumenti del risparmio gestito ed assicurativo. Un tema più volte ripreso anche negli approfondimenti di FCHub che sotto varie prospettive ha suggerito interventi nell’industry del risparmio e nella regolamentazione.
Sul versante della domanda, dopo una lunga gestazione, sono stati approntati strumenti fiscalmente efficaci per stimolare gli investimenti nel comparto delle aziende medio-piccole italiane attraverso i PIR o i trattamenti favorevoli per gli investimenti in start-up. I limiti di accesso al mondo degli asset alternativi, del private debt o del private equity, riducono però fortemente la platea dei soggetti che possono investire direttamente in questi strumenti. Al contempo, il quadro normativo e giurisprudenziale ha indotto molti operatori dell’industria ad assumere un atteggiamento conservativo per non incorrere in criticità di relazione con la clientela a fronte di possibili problematiche di liquidità o performance degli asset investiti; tanto più che le azioni messe in campo dalle banche centrali in materia di tassi e acquisto di bond contribuivano a sostenere la performance delle asset-class tradizionali.
Non a caso, mentre l’industria del risparmio ha compreso rapidamente l’importanza di qualificare la propria offerta secondo parametri di ESG compliance, con una crescita esponenziale degli AUM gestiti, più lenta è l’affermazione di nuovi modelli di investimento in asset alternativi.
Uno sviluppo limitato ha avuto il mondo del private equity “paziente”, più conosciuto come permanent capital, che parrebbe invece essere il più adatto ad accompagnare la trasformazione e la crescita delle aziende di media dimensione del nostro paese. Si tratta infatti di una logica di investimento con un orizzonte temporale di medio-lungo termine, più esteso e stabile rispetto al tipico private equity, orientato ad affiancare l’imprenditore ed il management in strategie di sviluppo di ampio respiro. Un profilo di intervento sul capitale spesso con approcci di minoranza qualificata e attiva, affiancato da strumenti vari di protezione/controllo dell’investimento. Una modalità flessibile di azione nei riguardi di aziende ad elevato potenziale nelle quali si possa investire sia in forma tipicamente private, che in pre-IPO o con interventi di supporto ad azienda già quotate che vogliano crescere e che, non di rado, offrono opportunità a multipli moderati.
Il mercato di riferimento è estremamente interessante e con un elevato potenziale. Basta osservare come proxi di questo mercato alcuni, pochi numeri del segmento borsistico che copre le aziende medio-piccole: l’Euronext Growth Milan (già AIM Italia) è già oggi un mercato diversificato e in crescita, con 174 società quotate, una capitalizzazione di oltre 10,5 miliardi di euro e una media di 25 IPO all’anno; nel 2021 le nuove quotazioni sono state ben 44 e per il prossimo anno sono attesi numerosi nuovi ingressi sul mercato.
Se si allarga lo sguardo anche alle small cap quotate sugli altri segmenti di Borsa Italiana si raggiungono circa 300 imprese per una capitalizzazione ben oltre i 30 miliardi di euro. Non solo: la storia di non poche società entrate sui mercati riservati alle PMI evidenzia il conseguimento di multipli straordinari rispetto ai valori di IPO, raggiunti nel tempo da quegli investitori che si sono mostrati “pazienti”, accompagnando nel medio-lungo termine le strategie aziendali. Solo negli ultimi 12 mesi l’indice FTSE Italia Growth ha mostrato una performance di eccellenza vicino al 60%.
Nel nostro paese il bacino potenziale di investimento è peraltro molto più ampio di quello attualmente quotato e può essere aiutato a crescere se si mettono in campo le risorse di cui il paese dispone, con l’approccio più adatto a queste tipologie di aziende. Per accelerare questa evoluzione possono aiutare gli strumenti a controllo pubblico (come, ad esempio, il Fondo Italiano d’Investimento). Ma le grandi economie di scala si raggiungono solo se si crea un circolo virtuoso tra gestori capaci e con track record, investitori istituzionali che siano in grado di destinare quote significative di AuM a queste tipologie di asset incanalando nuovo risparmio privato, imprese sempre più aperte a condividere percorsi di sviluppo con partner che ne accrescano opportunità e trasparenza di mercato. Occorre in generale un po’ più di lungimiranza, comprendendo che specie in questa finestra temporale europea ed italiana (definita dall’arco temporale del PNRR) c’è la possibilità di consolidare storie imprenditoriali con grandi prospettive, che cercano partner stabili per la crescita.
In un contesto nel quale i valori dei mercati azionari sono in molti comparti ai massimi storici, i multipli di transazione per gli asset più contesi tendono a salire su valori talora esasperati che inducono ad approcci speculativi molto esposti allo scenario macro; si possono invece selezionare nel segmento delle medie imprese opportunità grandi con valutazioni più ragionevoli e potenziale ancora inespresso.
Strategie di investimento che dovrebbero attrarre gli investitori istituzionali di lungo termine (ad esempio assicurazioni, fondi previdenziali, fondazioni) che necessitano di nuovi asset investibili con performance attese consistenti ma meno volatili. Un capitale paziente ben allocato può assicurare IRR più distribuiti nel tempo e stabilizzare i rendimenti della quota di patrimonio indirizzata sugli asset alternativi. Si tratta in definitiva di un modo per contribuire al rafforzamento del sistema paese, offrendo al contempo nuove opportunità a tutti i soggetti investitori, aiutando il risparmiatore ad allocare una parte degli investimenti in strumenti che spesso non può raggiungere individualmente e che possono garantire una creazione di valore sostenibile.