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E' ancora lontana un'Europa delle banche

La vigilanza unica è un passo avanti. Ma l'integrazione del mercato resta al palo. Come dimostra questa sorprendente analisi dei dati Bce sulle operazioni cross border.

Silvano Carletti
Carletti

Il 15 aprile scorso, a pochi giorni dalla chiusura della legislatura, il Parlamento europeo ha ratificato l’accordo sul Single ResolutionMechanism (Srm), il secondo dei pilastri del progetto di Unione Bancaria Europea. La sua traduzione operativa è prevista per l’inizio del 2016.

Il primo pilastro è costituito dal Single Supervisory Mechanism(Ssm) che dal prossimo novembre attribuisce alla Bce la responsabilità della funzione di vigilanza sugli istituti di credito dell’eurozona.

La realizzazione del terzo pilastro – costituzione di un sistema unico di garanzia dei depositi – è avvenuta ma con un significativo ridimensionamento del disegno iniziale. La direttiva emanata in proposito (Deposit Guarantee Schemes Directive) realizza una armonizzazione massima del funzionamento dei sistemi nazionali di garanzia dei depositi, eliminando le distorsioni competitive che possono derivare sia dai diversi livelli di protezione offerti per differenti strumenti di raccolta sia dalle diverse modalità di intervento dei fondi nazionali di garanzia. La creazione di un fondo unico di tutela dei depositi, risultato della mutualizzazione dei fondi di garanzia nazionali, è stata, per ora accantonata.

L’Unione Bancaria è un progetto che ha ricevuto il primo input politico solo a giugno 2012, nel pieno della crisi del debito sovrano. Un accordo la cui definizione ha richiesto ad ogni passo il consenso dei rappresentanti di quasi trenta paesi è inevitabilmente segnato da compromessi e “sacrifici”. Si tratta comunque di un risultato importante da un lato perché interviene su uno dei versanti più delicati del circuito economico, dall’altro lato perché l’Unione Bancaria realizza un effettivo passaggio di sovranità dalle singole realtà nazionali a istituzioni comunitarie. In definitiva, un “molto” anche se certamente non il “tutto”.

Gli obiettivi che all’Unione Bancaria Europea si chiede di conseguire sono molteplici. Quello più spesso ribadito è l’interruzione del circolo vizioso che si può stabilire tra banche e mercati del debito sovrano. L’esperienza del recentissimo passato ha mostrato che questa interazione può operare in entrambe le direzioni: in alcuni paesi le difficoltà di grandi gruppi bancari hanno minato gravemente i conti pubblici, in altre realtà invece la situazione squilibrata della finanza pubblica ha reso fragili le banche nazionali (per esempio, escludendole di fatto dal circuito finanziario internazionale).

Sul più lungo periodo il risultato da conseguire è un percepibile rilancio del processo di integrazione finanziaria europea. La domanda che ci si pone è se questa azione di rilancio di fatto non debba ripartire dall’anno zero, dalla nascita della moneta comune. La risposta è (purtroppo) decisamente positiva.

A questa conclusione si perviene scavando nella base dati della Bce dalla quale è possibile trarre quanto necessario per misurare con precisione e continuità il livello di integrazione finanziaria europea. Avendo come riferimento l’insieme del sistema bancario dell’eurozona, per i principali aggregati di bilancio (depositi, prestiti, portafoglio titoli) la Bce fornisce i dati sull’attività con controparti residenti nell’eurozona, distinguendo tra operatori domestici e operatori residenti in altri paesi dell’eurozona (cross border intraeuro area). L’informazione risulta disponibile con riferimento alle principali tipologie di controparti (istituzioni finanziarie, società non finanziarie, famiglie). La base dati viene aggiornata con cadenza mensile, in modo sostanzialmente tempestivo (un ritardo di solo qualche mese); l’andamento della quota prima descritta può essere analizzato con maggiore dettaglio da inizio 2003 e in modo più aggregato dalla costituzione dell’eurozona. Riassumendo con un esempio: per un qualsiasi mese è possibile sapere sul totale dei prestiti erogati dalle banche dell’eurozona a imprese dell’area euro quale fosse la quota di quelli concessi a imprese residenti in altri paesi dell’area euro.

I risultati di questa ricognizione sono presentati nella tabella.

  

La grande vicinanza tra i valori della prima e dell’ultima colonna spiega l’affermazione precedente e cioè che il processo di integrazione finanziaria europea molto vicino al livello rilevato alla nascita dell’eurozona. Solo dal lato delle imprese la moneta unica (seppure lentamente) sembra aver prodotto stabili opportunità favorevoli.

Più in dettaglio, per quanto riguarda i depositi, la quota delle operazioni con controparte residente in paesi dell’eurozona diversi da quello della banca risultava a inizio 2014 pari al 22,5% nel caso delle istituzioni finanziarie e al 5,4% per gli operatori non finanziari (8,9% per le imprese, 1,1% per le famiglie). Sotto il profilo dinamico, la quota cross border nella raccolta di depositi da istituzioni finanziarie sale fino al 31,5% nel 2007 per poi ridiscendere successivamente fino ad un minimo in tempi assai vicini. Nel caso delle imprese non finanziarie, dal 9,8% del dicembre 2003 si scende all’8,9% del gennaio di quest’anno, con un minimo di 7,4% a fine 2008.

Evoluzione simile sul fronte dei prestiti. La quota dei finanziamenti a controparte residente in altro paese dell’eurozona risultava nel gennaio di quest’anno pari al 24,5% nel caso di operatori finanziari, al 5,0% per l’insieme degli operatori non finanziari. Nel caso delle istituzioni finanziarie tra l’avvio dell’euro e fine 2007 la quota in esame aumenta di oltre la metà (da 21,5% a 33,1%); questa crescita successivamente viene quasi completamente annullata, con il dato più recente solo di 3 punti percentuali superiore a quello rilevato dall’avvio dell’eurozona. Per le famiglie ogni commento può essere omesso considerato che la quota dei prestiti concessi a famiglie di altri paesi dell’eurozona si mantiene per tutto il periodo intorno all’1%, un livello quindi anche inferiore a quella già trascurabile segnalato per i depositi. Dal lato delle imprese l’evoluzione si presenta invece favorevole: la quota dei finanziamenti cross border intra euro area, infatti, sale dal 4,5% di fine 2003 al 7,5% di inizio 2014, con un massimo proprio alle date più vicine.

Di particolare interesse l’analisi relativa ai titoli di debito. La quota in portafoglio dei titoli emessi da istituzioni finanziarie localizzate in altri paesi dell’eurozona sul totale dei titoli emessi da istituzioni finanziarie localizzate nell’intera area euro, inferiore al 16% a inizio 1999, sale fino a toccare il 41,5% a fine 2007; negli anni successivi subisce una fortissima contrazione ma a inizio 2014 (28,4%) risulta comunque non lontana dal doppio di quanto rilevato all’avvio della moneta unica.

Per quanto riguarda i titoli emessi da istituzioni non finanziarie dal 22% di fine 1998 si sale fino a quasi il 51% nel 2005-06, per poi ridiscendere fino al 26% nei mesi a cavallo tra il 2013 e il 2014. Nell’ambito degli emittenti non finanziari è possibile distinguere tra titoli pubblici e titoli corporate [per memoria: a inizio 2014, i titoli corporate pesavano nel portafoglio delle banche europee per poco meno del 30%, quelli emessi da istituzioni finanziarie e dai governi erano su valori simili]. La quota di titoli pubblici emessi in altri paesi dell’area euro sul totale dei titoli pubblici di paesi dell’eurozona in portafoglio parte dal 22% a fine 1998, sale fino al 49% circa del 2005, scende in misura contenuta nel quinquennio successivo (44% a fine 2009), si contrae drasticamente nel biennio 2012-13 fino a valori (22-23%) sostanzialmente simili a quelli rilevati  al debutto dell’euro. Per i titoli corporate l’andamento è in larga misura (seppure non completamente) simile: dal 23,3% di fine 1998 si arriva fino a quasi il 57% a fine 2006, per scendere al 29% a inizio 2014. È importante però rilevare che quest’ultimo dato rappresenta un parziale ma visibile recupero rispetto al 25,1% registrato a fine 2011.

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