La parola al dottore commercialista
Disuguaglianze sociali e merito, quale correlazione?

Il merito come risultato di talento naturale e impegno, come diceva il sociologo Young? O piuttosto anche una questione di carattere? Successo e fallimento, e anche le disuguaglianze sociali riviste alla luce delle caratteristiche della personalità. Uno strumento che potrebbe essere utile alla gestione delle risorse umane in azienda

Francesco Andrea Falcone e Paola Piantedosi
Falcone
Piantedosi

Fenomeni economici, sociali e caratteriali sono generalmente considerati in modo avulso e, perciò, trattati separatamente. Osservandoli, invece, in una visione d’insieme e ricongiungendone le esperienze si potrebbe pervenire alla risoluzione di argomenti ancora incompleti nella storia della ricerca. In questo documento si tenta, perciò, di percorrere questa strada, esplicitando le ragioni per le quali gli studi sulle disuguaglianze sociali e sul merito possano essere integrati con quelli delle personalità e dei caratteri umani.

Il dibattito su meritocrazia e merito è stato introdotto nella comunità scientifica mondiale dal sociologo inglese Young in un celebre saggio edito nel 1958 che suscita ancora grande interesse, perché conia, pur se in una visione avveniristica, una funzione idealmente in grado di misurare il merito ed indirettamente di fornire strumenti per analizzare le disuguaglianze sociali:

m = IQ + E

Nella formula il merito è, infatti, la risultante della sommatoria del talento di ogni uomo – nella interpretazione di Young discendente da elementi puramente casuali – e del suo impegno.

Quoziente intellettivo ed applicazione sarebbero, così, alla base dello sviluppo del merito, rendendolo in qualche modo misurabile e riecheggiando un’idea, peraltro ancora parecchio in voga in ambito prevalentemente scolastico, secondo la quale, in assenza di un quoziente intellettuale elevato, sia sempre possibile raggiungere risultati ottimali, compensando la carenza intellettiva con un maggiore impegno.

Lo stesso Young sconfessò, tuttavia, il contenuto del proprio saggio in una successiva pubblicazione del 2001, evidenziando che il rilievo preminente alla meritocrazia, assunta quale modello sociale e di governo e tendente a generare fenomeni tecnocratici nei quali i più “meritevoli”, in funzione di auto preservazione, potessero impedire ai meno meritevoli l’accesso agli strumenti della partecipazione democratica, conduceva a sviluppare un modello oligarchico e di controllo sociale.

In verità, però, per quanto questa critica abbia ragione di esistere ed abbia a sua volta spinto diversi studiosi a ridimensionare l’approccio alla meritocrazia come strumento ispiratore delle decisioni degli uomini, virando ad un nuovo modello di meritorietà, la funzione rappresentata da Young mantiene ancora oggi una sua valenza.

Tale funzione potrebbe, infatti, essere implementata, così da renderla strumento atto a spiegare le disuguaglianze sociali ed economiche degli esseri umani, fruendo degli insegnamenti lasciati dallo psichiatra e terapeuta cileno Claudio Naranjo, interprete straordinario della scuola di Psicoterapia della Gestalt e ricercatore del metodo di classificazione dei caratteri dell’uomo attraverso l’enneagramma.

I suoi studi, all’apparenza estranei al contesto in trattazione, risultano, invece, fondamentali per chiarire i motivi per i quali la formula di Young parrebbe incompleta o parziale, giacché analizza il merito solo in funzione della efficienza del lavoro e delle disuguaglianze sociali, non considerando ulteriori componenti.

Nelle tesi proposte da Naranjo non esisterebbe, difatti, alcuna proprietà transitiva tra merito e progresso, in particolare di natura economica o imprenditoriale, e di conseguenza non esisterebbe una correlazione certa tra meritorietà e riduzione delle disuguaglianze sociali. E questo non perché la società nella quale i meritevoli opererebbero non sia perfettamente meritocratica, ma, piuttosto, perché gli studi di Young ometterebbero di analizzare il profilo delle skill caratteriali, che, invece, nelle analisi di Naranjo sono determinanti per spiegare perché, ad esempio, il migliore tra gli studenti di una classe non raggiunga i successi professionali o sociali attesi. 

La semplice somma di impegno e capacità intellettive, dunque, semplifica eccessivamente l’iter di sviluppo delle capacità dell’uomo, che dipende pure da altri fattori ed in particolare dal carattere e dalla nevrosi correlata.

Introdotto da Oscar Ichazo allo studio dell’enneagramma delle personalità, Naranjo strutturò a lungo la ricerca sui caratteri dell’uomo – anche attraverso la fondazione della scuola SAT, oggi diffusa in tutto il mondo – identificando una sintesi di almeno 9 aree comportamentali e caratteriali tipiche (nove enneatipi caratteriali), al di sotto dei quali si svilupperebbero altri tre sottotipi con altrettante nevrosi. 

Carattere e nevrosi correlata dovrebbero, perciò, essere annoverati fra gli elementi imprescindibili della funzione del merito, rendendo, così, indispensabile l’integrazione degli studi richiamati, portando elementi di psicanalisi nel differente piano di valutazione dei processi di carattere economico e sociale. 

In questa accezione, anche l’idea rappresentata da Young secondo la quale lo sviluppo intellettivo, la componente IQ, appartenga alla sfera della lotteria naturale risulterebbe incompleta. 

La conformazione del carattere non avviene, invero, in modo completamente fortunoso, ma dipende dalle modalità con le quali il bambino, in genere fino ai sei anni di età, sviluppa il proprio rapporto con la vita e reagisce agli eventi naturali. In quel preciso momento, il modo con il quale decidiamo di sopravvivere determina il carattere e lo sviluppo della funzione intellettuale. 

Un’analisi di questo tipo è stata, in verità, già offerta da Heckman, premio Nobel per l’Economia nel 2000, in un percorso alternativo, ma decisamente funzionale alla misurazione dell’efficienza del lavoro. 

Ed allora, riprendendo la funzione di Young ed arricchendola delle risultanze degli studi di Naranjo, si potrebbe pervenire ad una nuova formulazione, olistica, del merito. 

La funzione del merito si potrebbe, infatti, esprimere singolarmente ed in un sistema di equazioni, in cui m è dato dalla sommatoria di IQ + E + CX (n). 

Così, nella relazione:

m = IQ + E + CX (n)

in aggiunta ai valori del quoziente intellettivo (IQ) ed all’impegno profuso (E), il Carattere C, insieme di 9 enneatipi, che costituiscono la base di calcolo, elevato al grado n di nevrosi associata, misurerebbe l’incidenza di questa componente ed evidenzierebbe quanto questa influenzi impegno e capacità intellettive. 

Difatti, maggiore è il fattore della nevrosi associata o correlata, maggiore sarebbe la distorsione caratteriale che impedisce a ciascun individuo di esprimere completamente sia l’impegno profuso che il proprio quoziente di sviluppo intellettivo. 

Qualsiasi misurazione del merito scissa dalla componente caratteriale non permetterebbe, dunque, una osservazione puntuale del fenomeno e non potrebbe contribuire ad una valida stima delle disuguaglianze sociali in un macrosistema. 

Non includendo e non comprendendo tutte le variabili, infatti, non si potrebbero spiegare le ragioni complete delle differenze tra esseri umani, le motivazioni del successo o del fallimento e, vieppiù, non si potrebbe pervenire ad identificare gli strumenti di ausilio per un, sempre possibile, miglioramento.

Miglioramento che potrebbe assumere particolare rilievo in ambito aziendale. 

La gestione delle risorse umane è divenuta, infatti, sempre più strategica, oltre che complessa, ma quanto mai indispensabile per il successo delle imprese. 

La sua ottimizzazione richiede, però, la compenetrazione di più fattori.

Da un lato, invero, l’equità richiede un impegno preciso delle aziende al fine di superare gli unconscious bias, ovvero i pregiudizi sulle diversità (di genere, età, etnia, orientamento sessuale, ecc.), per sviluppare, così,  una vera inclusione. Dall’altro, la “Talent development strategy” assume un ruolo centrale nella crescita e nell’affermazione delle imprese in un ambiente sempre più competitivo, nel quale la qualità delle risorse umane può “fare la differenza”. 

Per gestire il merito e sviluppare i talenti in azienda è, allora, quanto mai opportuno affiancare, alla competenza ed all’impegno riscontrati, la valutazione  della personalità e della capacità di reagire allo stress.