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Derivati e usura: il nuovo contenzioso del terzo millennio

Il carattere usurario dei contratti derivati potrebbe costituire un fronte di nuovo contenzioso tra enti locali o imprese e banche in quanto ci potrebbero essere problemi di validità dei contratti stipulati in questi anni sui derivati. La dottrina oggi è impegnata a capire se, dietro un derivato costruito e negoziato da una banca, possano celarsi i costi causati dal rischio di credito dato che in virtù degli artt. 115 ss. TUB una “operazione di finanziamento” bancario deve esplicitare “il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi (…) gli eventuali maggiori oneri in caso di mora” e “sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati”. Per rispondere al quesito, è necessario comprendere se e come i contratti derivati possano interferire con i principi dell’usura e con le norme inerenti la determinazione del relativo tasso. La questione, in verità, si inserisce inevitabilmente nel dibattito sulle componenti che costituiscono il TEG trimestralmente rilevato. Componenti che ad oggi sono state oggetto di opinioni diverse.

Alessandra Protani

<<Oggi costi occulti, finalità speculative e opzioni implicite, domani, chissà…l’usura>>[1].

Si pensa che, nel terzo millennio, possa essere questo il nuovo fronte di contenzioso tra enti locali o imprese e banche sul sempre scottante tema dei derivati, tanto che una delle priorità della dottrina è cercare di capire se sia mai possibile che un derivato costruito e negoziato da una banca possa occultare i costi causati dal rischio di credito, dato che in virtù degli artt. 115 ss. TUB una “operazione di finanziamento” bancario deve esplicitare “il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi (…) gli eventuali maggiori oneri in caso di mora” e “sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati”.

La soluzione al quesito de quo non è immediata. Infatti, è necessario comprendere se e come i contratti derivati possano interferire con i principi dell’usura e con le norme inerenti la determinazione del relativo tasso.

La questione, in verità, si inserisce inevitabilmente nel dibattito sulle componenti che costituiscono il TEG trimestralmente rilevato. Componenti che ad oggi sono state oggetto di opinioni diverse. In particolare, ai sensi del § C.5 delle “Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura (agosto 2009)” sono inclusi nel calcolo del TEG «le spese per assicurazioni o garanzie intese ad assicurare il rimborso totale o parziale del credito ovvero a tutelare altrimenti i diritti del creditore (ad es. polizze per furto e incendio sui beni concessi in leasing o in ipoteca), se la conclusione del contratto avente ad oggetto il servizio assicurativo è contestuale alla concessione del finanziamento ovvero obbligatorio per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte, indipendentemente dal fatto che la polizza venga stipulata per il tramite del finanziatore o direttamente dal cliente» (Maffeis, 2013).

Orbene, laddove l’IRS sia contestuale al fido, laddove esso abbia funzione di copertura, si potrebbe ritenere che le spese per l’IRS debbano essere incluse nel calcolo del TEG. Una simile affermazione, tuttavia, non appare sostenibile, giacché deve trattarsi di garanzie che “rafforzano” il diritto del creditore, cioè dirette a contenere il rischio di credito, vale a dire il rischio di solvibilità del debitore. In questa logica è infatti evidente che lo swap in parola non ha questa finalità, bensì quella di sterilizzare il rischio di interesse, che è cosa diversa dal rischio di credito.

Anche perché in questo caso si è in presenza di un rischio corso in egual misura sia dal creditore che dal debitore e, quindi, non è possibile sostenere che si tratti di una copertura a esclusivo vantaggio del primo.

Né di contro, in questo “contesto”, si ritiene che possa operare una corrispondenza biunivoca in virtù della quale: un finanziamento a tasso fisso “equivale”, quando assistito da un IRS, a quello di un finanziamento a tasso variabile (e viceversa), perché questa affermazione ha valenza meramente descrittiva e non incide sul finanziamento come concordato fra le parti. È quanto detto del resto trova conferma nella soluzione che in un caso analogo a quello in esame ha offerto la Banca d’Italia nelle “Risposte ai quesiti pervenuti in materia di rilevazione dei tassi effettivi globali ai sensi della legge sull’usura”, nella versione aggiornata a novembre 2010. Alla domanda (§ C.3): «Nel caso in cui il cliente mutuatario abbia sottoscritto uno strumento finanziario derivato, al fine di coprirsi dalle eventuali oscillazioni che il tasso di interesse contemplato dal contratto di finanziamento potrebbe subire nel corso del rapporto (ad es. interessi rate swap che colleghi un finanziamento a tasso variabile a un tasso fisso predeterminato), è corretto considerare ai fini della segnalazione il tasso di interesse risultante a seguito del contratto derivato e non quello previsto dal contratto di finanziamento, a cui il primo risulta collegato?» La Banca d’Italia ha risposto: «No, va considerato in ogni caso il tasso del mutuo al momento dell’apertura del rapporto di finanziamento».

Ciò proprio perché il finanziamento è quello pattuito, rispetto al quale l’IRS ha una funzione accessoria e non collegata, come accadrebbe se la “garanzia” insistesse sul rischio di credito. La riflessione sul pensiero illustrato dalla Banca d’Italia consente, inoltre, di precisare che l’IRS può essere negoziato in proprio dall’intermediario che ha stipulato il mutuo ovvero cercato sul mercato presso altri intermediari. Sembra che in questo secondo caso vi siano ancora meno possibilità di richiamare le problematiche dell’usura, perché non sembra proprio possa parlarsi di collegamento. Infatti, è ben difficile che gli elementi caratterizzanti lo swap: ammontare, durata, ecc. siano calzanti con il mutuo sottostante. Queste considerazioni inducono a concludere che le fattispecie oggetto di queste riflessioni riguardano quasi sempre le situazioni OTC, cioè quelle in cui è lo stesso intermediario mutuante che si rende controparte del mutuatario per un IRS e che quindi non si versa nell’ipotesi in cui l’intermediario riveste la qualifica di mandatario (incaricato dalla ricerca dell’IRS sul mercato) ed è tenuto alle specifiche attività che connotano quest’ultima posizione.

Proprio quest’ultima considerazione fa tuttavia emergere anche l’ipotesi, teorica, in cui lo swap sia richiesto dall’affidato e stipulato con un intermediario diverso dal mutuante e del quale, in tal caso, quest’ultimo si limiterebbe a prendere atto, proprio perché volto a rafforzare la posizione dell’affidato medesimo: ciò vuol dire che esso non solo non è intrinsecamente necessario alla conclusione del fido, ma ne è giuridicamente separato o al più meramente accessorio, in quanto volto a perseguire un interesse che non è intrinseco al finanziamento e al rischio che ad esso è proprio.

Alla luce delle argomentazioni fin qui illustrate, l’unica conclusione “certa” che si può trarre è che la stipula di un IRS, non accompagnato da comportamenti opportunistici da parte dell’intermediario, non rientra fra le operazioni accessorie rilevanti ai fini del calcolo del TEG. E ciò a prescindere dalle affermazioni dell’Autorità di vigilanza ma proprio a ragione della costruzione dell’operazione e della funzione svolta dallo swap funzionale a neutralizzare il rischio di interesse.


[1] È questo l’incipit dell’articolo di Frisione, Negli swap spunta l’ipotesi dell’usura, in Il Sole 24 ore, 20 febbraio 2010.

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