Il Principe

di Leonardo Morlino

Democrazia post-pandemica/4: quale sistema elettorale?

Sia con soluzioni elettorali maggioritarie che ragionevolmente proporzionali, nella democrazia in cui ci troveremo occorrerà giungere a compromessi, accordi tra i diversi interessi, tutti mobilitati dato che la posta in gioco per molti è la sopravvivenza economica.

Leonardo Morlino
MORLINO

La pandemia ha inciso sulle nostre democrazie introducendo un maggiore controllo pubblico sui cittadini, un cambiamento del ruolo dello stato in economia – a costo di un più alto debito e probabile inflazione – un aumento dell’attenzione verso settori specifici del welfare, quali sanità e assistenza sociale, necessari e difficili da tenere nel tempo per i condizionamenti e la bassa crescita propri di un’economia post-occidentale. Ha anche richiesto una maggiore capacità decisionale delle autorità elette.

Di fronte all’inefficacia decisionale di queste settimane, sembra emergere una nuova voglia di maggioritarismo, il sogno di molti intellettuali italiani dei decenni passati. Oltretutto, a fine 2020 il parlamento ha approvato i nuovi collegi elettorali per adeguarsi ai risultati del referendum di settembre che ha tagliato i seggi in entrambe le Camere e rinforzato di fatto l’effetto maggioritario dell’attuale legge elettorale.

Ma sarebbe ora possibile realizzare un’effettiva riforma in senso maggioritario e, poi, sarebbe effettivamente utile, se non necessaria, nella democrazia post-pandemica? In breve, sarebbero possibili e utili cambiamenti in senso maggioritario del sistema elettorale, che se ben congegnati porterebbero a un parlamento meno frammentato, governi più stabili, maggiore capacità decisionale, e anche a elettori che con il loro voto potrebbero designare chi governa per tutta la durata della legislatura?. 

Rispondendo alla prima domanda sulle possibilità concrete di riforma elettorale, nell’attuale parlamento non sembrano esserci maggioranze possibili per riforme del genere, che pur non toccando la Costituzione richiedono un’inesistente coesione tra i partiti che sostengono il governo e che hanno a loro volta interessi diversi in questo ambito, oltre ad essere anche divisi al loro interno. La crisi aperta da Renzi è più che eloquente in questo senso, senza dire delle divisioni sia nel M5S che nel PD. A questo si aggiunga un’esplicita apertura di Conte per una legge ancora più proporzionale dell’attuale.

In secondo luogo, una riforma del genere avrebbe senso nella democrazia post-pandemica? A meno di non considerare il fatto stesso di “poter decidere” come un bene in sé, a qualunque costo e con qualunque esito, almeno due osservazioni vanno fatte.

Innanzi tutto, una maggiore efficacia decisionale non garantirebbe necessariamente politiche a favore di diritti sociali e civili per compensare disuguaglianze o condizionamenti alle libertà indotti dalla pandemia. Potrebbero emergere governi espressioni di preferenze diverse, per esempio a favore della detassazione, giustificata dal miraggio di una maggiore crescita economica. Inoltre quegli stessi governi, anche ipoteticamente con un solo partito e quindi sulla carta più coesi, potrebbero essere bloccati al loro interno dalle pressioni di lobby diverse, espressione della frammentazione e della stessa polarizzazione sociale. 

In realtà, nella democrazia in cui probabilmente ci troveremo sia con soluzioni elettorali maggioritarie che ragionevolmente proporzionali, escludendo quindi proporzionalismi estremi, occorrerà giungere a compromessi, accordi tra i diversi interessi, tutti mobilitati dato che la posta in gioco per molti è la sopravvivenza economica.

In questo senso quale sia il sistema elettorale è irrilevante. Conterà di più la capacità di pressione e mobilitazione degli interessi. Vi sarebbe anche l’occasione per una rivitalizzazione di sindacati, associazioni imprenditoriali e altre, sostanzialmente scomparse nei mesi del covid. 

Alla fine, saranno gli interessi più deboli e minoritari che saranno ovviamente messi da parte. In ciò confermando uno dei risultati più ricorrenti e comuni della ricerca empirica sulle democrazie, come ci ricordano Sen, in un senso, e Sartori, in un altro: nel migliore dei casi la democrazia pluralistica e competitiva può eliminare la povertà estrema e la carestia (Sen); proteggere il cittadino da soprusi e violenze dando sicurezza personale (Sartori), ma non può garantire molto altro. 

Oggi dalla democrazia ci si aspetta molto di più. Quindi, la democrazia post-pandemica potrebbe portare altro scontento e insoddisfazione dopo mesi di sospensione della politica. E l’unica soluzione, assai difficile in un contesto di polarizzazione, ma non impossibile, è realizzare una democrazia mite basata su compromessi ed accordi, che lasci da parte utopie e schemi astratti.