CLIMA&FINANZA
Dare un prezzo ai danni della CO2

Uno studio affronta il tema del valore della CO2 in un modo nuovo: trattando gli effetti delle emissioni come un asset finanziario

Paola Pilati

Comunemente si pensa alle emissioni di gas serra come a un flusso, quello che le attività umane – le industrie e i comportamenti personali come l’uso dell’auto – dovrebbero ridurre, senza riuscirci e mettendo quindi a rischio gli obiettivi di abbattimento che la comunità internazionale si è data in prospettiva, dal protocollo di Kyoto all’accordo di Parigi.

Poco si riflette però sul fatto che la CO2 prodotta anno dopo anno continua ad accumularsi e che quell’accumulo influisce sul peso che quello stock crescente di emissioni produce in termini di danno, anch’esso crecente, sull’ambiente. La CO2 che resta nell’atmosfera ha un “costo sociale” – non solo il danno alla salute ma il danno economico in termini di perdita di Pil – che aumenta nel tempo.

Si verifica insomma che il danno futuro di una emissione del passato è più grande del suo danno storico, e questo perché continuiamo a produrne di nuova. Calcolare questo danno serve a prenderne coscienza e mettere in atto migliori pratiche di comportamento.

Un lavoro (https://www.nber.org/papers/w31658) dello statunitense National Bureau of economic research ha elaborato un metodo che si basa sull’idea di considerare l’emissione di una unità di CO2 come la creazione di un “asset” che produce un flusso di valore. Nel caso delle emissioni si tratta di un valore ovviamente negativo, che si riversa, danneggiandoli, sugli individui che non hanno la responsabilità di aver creato quell’asset.

Proprio come avviene per la valutazione di un asset finanziario, i danni nel tempo di quell’asset di CO2 possono essere scontati con un tasso che ha la stessa funzione del tasso di interesse per un asset finanziario: come per il valore di un debito non pagato, che aumenta nel tempo finché non verrà onorato, così il danno della CO2 del passato crescerà finché non si interverrà per eliminarla.

La questione può apparire un esercizio da economisti, ma illumina molti aspetti del dibattito sul clima: in primo luogo la discussione su chi è più responsabile dell’inquinamento da emissioni nel pianeta nel tempo, in secondo luogo chi di quell’inquinamento ha subito i maggiori danni.

Infine, inchioda ciascuno di noi alla responsabilità rispetto ai propri comportamenti. Il paper prende come esempio (ma non è l’unico: vedi tabella qui sotto) l’abitudine di fare ogni anno un viaggio a lungo raggio in aereo. Quel viaggio, che fatto nel passato ha generato – secondo i calcoli del paper  – un danno globale di 20 dollari nel periodo che va dal 2010 al 2020, dal 2021 al 2100 produrrà (applicando un tasso di sconto del 2%) un danno molto più grande: 5500 dollari. Stesso discorso per tanti altri comportamenti individuali, come mangiare meno bistecche.

L’impatto nel futuro di comportamenti del passato la dice lunga, insomma, su quanto potremmo incidere sulle emissioni facendo ciascuno un esame di coscienza “climatica”.

Lezione rivolta anche ai ricchi e famosi. L’uso del jet privato al posto del volo di linea da parte di Bill Gates, Jeff Bezos, Floyd Mayweather, Elon Musk, Jay-Z, e Taylor Swift durante un solo anno, il 2022, potrà infliggere al clima di qui al 2100 un danno di 200 mila dollari.

Ancora: le emissioni di CO2 della Saudi Aramco tra il 1988 e il 2015 valgono 240 miliardi di dollari di danni per l’ambiente: di qui al 2100 la cifra del danno per le stesse emissioni lievita a 13 trilioni di dollari.

Nella contabilità dei danni tra i paesi, infine, gli Usa sono al primo posto (seguiti da Cina ed Europa) tra il 1990 e il 2020 come produttori di CO2, con India e Brasile che dal lato dei danneggiati ne hanno pagato di più il prezzo in termini di crescita del Pil.

La formula usata nel paper potrebbe diventare il sistema di calcolo per spingere a trattative per saldare i debiti per il clima tra paesi? Probabilmente no, ma può servire a prendere tutti coscienza dell’impatto planetario del danno inflitto dalle emissioni, e dell’effetto valanga che pende sulle prossime generazioni se non si interviene con decisione a ridurre lo stock di gas nell’atmosfera.