approfondimenti/regolazione
Dal Giappone l’epitaffio del sistema dualistico

Il 27 giugno 2014 il Giappone ha approvato un’interessante riforma della governance delle public companies, che può essere riassunta in quattro punti fondamentali: rafforzamento del ruolo degli outside directors e introduzione del principio “comply or explain” per la governance delle società quotate; introduzione di un nuovo sistema di governance incentrato sull’Audit Committee; maggiori poteri al collegio sindacale; rafforzamento dei limiti agli aumenti di capitale autorizzati in sede di consiglio di amministrazione.

Marco Giorgi
Giorgi

Il sistema previgente

Il 27 giugno 2014 la Dieta giapponese ha approvato un’interessante riforma in “formato ridotto” del Codice delle Società. Facciamo qualche passo indietro. Differentemente dal sistema italiano, nel quale la materia del diritto societario è regolata, almeno nelle sue componenti fondamentali, dal Libro V del Codice Civile, il legislatore giapponese ha preferito mantenere l’approccio teutonico con una netta separazione, su di un piano codicistico, tra la materia commerciale e quella civile. Sino al 2006, le disposizioni in materia di società, con l’eccezione della legge sulle società a responsabilità limitata (Yugen-Gaisha), erano contenute nel Codice di Commercio emanato nel lontano 1899 (Shō-Hō). Con l’entrata in vigore del Codice delle Società (Kaisha-Hō) si decise di riorganizzare l’intero apparato normativo concernente le società commerciali. Uno degli scopi principali della riforma del 2006 era quello di avvicinare il vetusto sistema giapponese agli standard e alla realtà economica del tempo, mettendo le società e il sistema tutto in condizione di competere con le aggressive e performanti realtà straniere.

Lo scarso successo riscosso dalle Yugen-gaisha (tipo societario assimilabile alle società a responsabilità limitata di diritto tedesco GmbH), condusse poi il legislatore a sostituire tale tipo societario con uno nuovo, più snello e ricalcato sulla falsa riga delle limited liability companies di diritto statunitense (Gōdō-Gaisha). A ciò si aggiunga che, con l’abolizione del capitale sociale minimo, il modello societario preferito anche dalla piccola e media imprenditoria era quello della società per azioni (Kabushiki-Gaisha). Segnatamente, quello delle joint stock companies rappresenta tutt’ora il veicolo legale di riferimento.

Non sorprende pertanto che gran parte dell’attenzione si sia concentrata sul predetto tipo di società. La più interessante modifica, su di un piano comparatistico, è rappresentata dall’introduzione di un nuovo sistema di classificazione delle società per azioni più aderente ai mutati bisogni, basato sui seguenti parametri: capitalizzazione, indebitamento lordo e limiti alla trasferibilità delle azioni. Giova ribadire che tale sistema di classificazione è tutt’ora vigente.

Ai sensi dell’art. 2 (v) del Codice delle Società, si definiscono società ad azionariato diffuso (Kōkai-Gaisha o nella più semplice versione anglosassone, public companies) le società per azioni il cui statuto non prevede limiti al trasferimento delle azioni. Si definiscono poi “grandi” (traduzione letterale di Dai-Gaisha) le società per azioni che soddisfano almeno uno dei seguenti parametri: (i) capitale sociale superiore a 500.000.000 di yen o (ii) indebitamento lordo maggiore o uguale a 20.000.000.000 di yen.

Da tale classificazione emergerebbero pertanto quattro categorie di società per azioni:

1.PMI chiuse;

2.PMI ad azionariato diffuso;

3.Grandi imprese chiuse;

4.Grandi imprese ad azionariato diffuso.

(dove per “impresa” deve intendersi “società per azioni”).

Da questa classificazione deriva poi il modello di governance applicabile alla singola società. I modelli offerti dall’ordinamento sono nove e variano da un sistema con amministratore unico senza organo di controllo per le PMI chiuse sino a strutture di governance più complesse (assimilabili al modello tradizionale di diritto italiano o a quello monistico di stampo anglosassone).

Nel presente articolo prenderemo in considerazione i due modelli previsti per le grandi società ad azionariato diffuso (4), che sono quelli maggiormente interessati dalla recente riforma.

Per tali tipi di società i modelli di governance opzionabili sono unicamente due: (i) il modello classico con consiglio di amministrazione, collegio sindacale e società di revisione esterna (Torishimariyakukai-Secchigaisha); e il (ii) il modello di stampo monitisco dei “tre comitati” auditing, nomine e remunerazioni (Iinkai-Secchigaisha). Il secondo modello impone che i comitati in seno al consiglio siano composti per la maggioranza da amministratori indipendenti.

La riforma del giugno 2014

A distanza di circa otto anni dall’emanazione del nuovo Codice delle Società, nonostante l’ampiezza e la profondità delle riforme introdotte, il sistema economico del paese sembra non averne tratto grande giovamento.

La disastrata situazione delle finanze pubbliche, la stagnante situazione economica e la conseguente necessità di attrarre capitale straniero ha imposto al governo Abe l’adozione di misure politico-economiche non convenzionali. Delle tre frecce che compongono l’arcinota Abenomics, la prima (svalutazione del debito-yen e quantitative easing) è quella che ha attirato maggior attenzione.

Il sistema “corporate” giapponese soffre ancora di alcune patologie croniche, inter alia: (i) scarsa trasparenza delle attività e delle dinamiche societarie (vedi ad es. il caso Olympus); (ii) impermeabilità del mercato del controllo societario e forti barriere all’ingresso per capitali stranieri; (iii) scarsa attenzione ai diritti degli azionisti di minoranza; (iv) ritardo nell’adozione di principi contabili internazionali (IFRS).

A queste esigenze di riforma doveva (la forma passata è d’obbligo) dare risposta la terza freccia. Poco o nulla è stato fatto in tal senso, almeno fino alla recente modifica del Codice delle Società dello scorso giugno. Le modifiche introdotte dalla novella (Legge n.90 del 27 giugno 2014) insistono principalmente sulla governance delle società e possono essere riassunte in quattro punti fondamentali:

(i) Rafforzamento del ruolo degli outside directors (i.e. amministratori indipendenti, Shagai-Torishimariyaku) e introduzione del principio “comply or explain” per la governance delle società quotate;
(ii) Introduzione di un nuovo sistema di governance incentrato sull’Audit Committee (i.e. Comitato per i Controlli Interni, Kansa-Iinkai);
(iii) Maggiori poteri al collegio sindacale;
(iv) Rafforzamento dei limiti agli aumenti di capitale autorizzati in sede di consiglio di amministrazione.

Per quanto concerne il primo punto, al fine di tutelare e pertanto agevolare l’ingresso di nuovi soci (principalmente stranieri) nelle società che fanno ricorso al capitale di rischio si è deciso di rafforzare il ruolo degli amministratori indipendenti. Vi è di più, ai sensi della novella, il requisito dell’indipendenza risulta decisamente più stringente: la principale modifica consiste nell’aver esteso il regime di incompatibilità anche ad amministratori, sindaci e dipendenti di società controllanti e controllate, che abbiano assunto tale ruolo nei dieci anni precedenti la nomina. Tale regime si estende al coniuge e ai parenti entro il secondo grado.

Si rileva tuttavia che la presenza di tali amministratori in seno al consiglio non rappresenta un requisito strutturale. Si è optato infatti per un più morbido approccio di stampo britannico: quello del comply or explain. Cosicché le società quotate che decideranno di non nominare outside directors dovranno motivare tale scelta sia in sede di assemblea generale sia nel report annuale sulla gestione. In caso di mancata o non sufficiente motivazione da parte del consiglio di amministrazione all’assemblea generale, la decisione assembleare di nomina di tale consiglio viene considerata nulla con tutte le conseguenze che ne derivano.

Con riferimento al secondo punto (a parere di chi scrive forse il più rilevante), si ricorda come i modelli di governance offerti dall’ordinamento giapponese prima della riforma, fossero sostanzialmente due: (i) il modello classico e il (ii) il modello di stampo monitisco dei “tre comitati”.

Con riferimento alle società quotate sul listino di Tokyo, il primo modello risulta essere di gran lunga il più diffuso, il secondo occupa una posizione marginale se non quasi irrilevante: è stato adottato unicamente dal 2% circa delle società. Siffatto approccio alla governance ha limitato la diffusione della figura dell’amministratore indipendente nelle società quotate, rendendole poco attraenti per investitori, anche istituzionali, che intendessero acquisire partecipazioni di minoranza.

Il nuovo modello proposto dalla riforma prevede invece un solo comitato (Audit Committee) al posto del collegio sindacale. Il nuovo Comitato per l’Audit dovrà essere composto da un minimo di tre membri a salire, la maggioranza dei quali outside directors. Molto sommariamente, il Comitato per l’Audit andrà a svolgere le funzioni di controllo e supervisione dell’operato del consiglio di amministrazione. Essendo composto unicamente da amministratori, indipendenti e non, dovrebbe operare in maniera più efficace del classico collegio sindacale. In più, tale nuova struttura di governo societario agevolerebbe l’introduzione di un numero sempre maggiore di amministratori indipendenti all’interno della governance di società quotate, a tutto vantaggio degli azionisti di minoranza.

Con riferimento al terzo punto di cui sopra, si segnala che la proposta di nomina/revoca dei revisori o della società di revisione esterni da presentare all’assemblea degli azionisti passa dal consiglio di amministrazione al collegio sindacale, in tal modo assicurando maggiore indipendenza tra i revisori e l’organo gestorio.

A oggi non è ancora stata decisa la data di entrata in vigore delle modifiche in parola e pertanto non possono escludersi ulteriori cambiamenti.

L’epitaffio del sistema dualistico

Qualsivoglia approccio tassonomico si voglia tenere, tra sistemi market based e sistemi bank based, tra sistemi insider e sistemi outsider, tra sistemi di common law e sistemi di civil law, si è portati a ritenere che il Giappone e la Germania appartengano al medesimo gruppo e che, semplificando, i due paesi debbano presentare più analogie che differenze nei rispettivi ordinamenti.

A tale ragionamento possono indurre inoltre le risalenti similitudini tra i Keiretsu (i raggruppamenti di imprese legati da partecipazioni incrociate) e le relazioni tra il mondo delle grandi imprese e quello delle banche/assicurazioni tedesche, l’attenzione alle politiche sociali e la chimera del life-long employment.

Eppure dall’abolizione delle Yugen Gaisha e ancora prima dal lento processo di erosione del main bank system, l’ordinamento societario giapponese sempre aver intrapreso un percorso ben distinto e ben lontano da quello teutonico.

Non ha sorpreso quindi la scelta del legislatore giapponese di non prendere minimamente in considerazione l’introduzione del sistema tedesco del two-tier board, a ciò si aggiunga che le politiche di austerity proposte dalla Merkel non hanno certamente aiutato in tal senso.

L’esempio del Giappone è emblematico e l’avvertimento suona chiaro: il sistema duale non piace ai mercati (e a dire il vero anche le società non sembrano apprezzarlo più di tanto).