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Libri / “Denaro”
Dai Sumeri alla tecnofinanza, Cinquemila anni di innovazioni
Lorenzo Paliotta

“Denaro”, il libro del docente di finanza alla School of Management di Yale William N. Goetzmann, ha come titolo originale Money Changes Everything. Un titolo che richiama quel detto secondo il quale col denaro si può fare tutto, ovvero il denaro può cambiare ogni cosa. Un aforisma antico che Cicerone ha rilanciato dicendo “non c’è niente di tanto sacro che il denaro non possa violare o fortezza tanto forte che il denaro non possa espugnare”.

E però, specialmente dopo la crisi scoppiata nel 2008, la finanza è stata oggetto di numerose critiche. Basta rammentare la proposta provocatoria del carcere per i maghi della finanza quantitativa avanzata dal manager Taleb nel 2008, le questioni poste dal movimento Occupy Wall Street nel 2011 e lo schiaffo subito dai finanzieri inglesi con il voto a favore della Brexit. Insomma, la finanza è stata accusata di essere ingiusta e distruttiva perché può dilapidare patrimoni, diffondere disuguaglianza, disoccupazione e così via. Eppure, è questa la tesi sostenuta dall’autore, l’intera storiografia umana testimonia che l’evoluzione della finanza è stato il principale fattore di sviluppo della civiltà.

Il libro racconta le vicende di imperatori, banchieri, pionieri del commercio, templari, finanzieri e corsari come gli inglesi Lock e Frobisher, esploratori celebri come Colombo e Polo, matematici geniali come il pisano Fibonacci, menti poderose come Seneca, Marx e Keynes, acuti e spregiudicati finanzieri come lo scozzese John Law (che però in Money and Trade ebbe l’intuizione della teoria quantitativa della moneta) ma anche progettisti come il suo contemporaneo Daniel Defoe (passato alla storia come autore del Robinson Crusoe) il quale, al fine di “scacciare miseria e povertà dal regno”, pubblicò nel 1697 un Progetto ricco di acutissime proposte tra le quali l’istituzione di un fondo pensionistico nazionale molto simile alla Social Security statunitense.

Nel contempo, il libro passa in rassegna i punti di svolta dell’umanità dimostrando il ruolo decisivo svolto dal denaro e dall’investimento, a cominciare dall’invenzione della scrittura e dai primi fenomeni di urbanizzazione dell’antica Mesopotamia, la cui civiltà è durata oltre tremila anni. L’antico Medio Oriente con i sumeri e i babilonesi ha dato al mondo il primo linguaggio scritto, i primi contratti di partenariato per il commercio sulle lunghe distanze, la prima forma avanzata di matematica e le prime leggi (il Codice di Hammurabi scritto su una stele di basalto nero si trova al Louvre di Parigi). La scrittura cuneiforme non fu inventata per scrivere poesie ma per gestire la contabilità e gli affari.

Viene ricordato che ai greci si deve l’invenzione del sistema bancario, il conio e l’istituzione dei tribunali commerciali per dirimere le dispute. Una lettura moderna delle orazioni antiche (quella di Demostene reclamava un risarcimento per il periodo in cui era stato privato della sua proprietà) chiarisce come la Grecia avesse una raffinata capacità di comprendere le questioni finanziarie. Atene è conosciuta per essere stata la culla della democrazia. Nei duecento anni che precedono l’epoca di Pericle (V secolo a.C.), il sistema ateniese operò un cambiamento di fondo nel rapporto tra individuo e Stato, ma senza la struttura fiscale e le altre misure prese da Solone l’esperimento democratico non avrebbe avuto successo.

L’architettura finanziaria dell’antica Roma rispondeva alle complessità di un impero ed è considerata la più sofisticata almeno fino alla Rivoluzione industriale. Invece di mettere in piedi una burocrazia governativa, Roma fece ricorso alla esternalizzazione (outsourcing) di alcuni vitali servizi statali (tributi, rifornimenti militari, edilizia pubblica) attraverso appalti da assegnare alle società di pubblicani (societas publicanorum), organizzate dai facoltosi cavalieri dell’ordine equestre.

La peculiarità della società romana era la netta dipendenza del potere politico dalla ricchezza. Roma fu governata da una ristretta oligarchia e per poter aspirare ad un seggio nel senato la condicio sine qua non era di avere un patrimonio di 250 mila denari. I senatori potevano elargire prestiti ma non prendere parte diretta agli affari. L’intermediazione finanziaria fornì però diverse scappatoie, fra cui il peculium (assimilabile alla responsabilità limitata delle odierne società).

La gestione delle crisi finanziarie romane evidenzia quanto fosse stretta la correlazione tra politica e finanza. Viene ricordata quella del 33.d.C. che costrinse Tiberio ad aprire i forzieri dell’erario per evitare un collasso più grande. Il salvataggio (bailout) è stato commisurato al 4% di tutti i fondi statali e fu attuato tramite i banchieri (argentarii) con mutui di tre anni senza interessi.

L’esperienza cinese dimostra quanto diverse possano essere le soluzioni dei problemi relativi al tempo e al valore. Se alcuni strumenti, come i prestiti, furono onnipresenti, altri, come i titoli di Stato, non lo furono. I cinesi hanno inventato la coniazione metallica, la cartamoneta, le cambiali e la cartolarizzazione dei crediti. Alla luce di tutte queste innovazioni, gli studiosi si sono posti la domanda “perché le prime corporation globali hanno avuto origine in Europa e non in Cina?”.

Secondo l’autore, in Cina l’invenzione della cartamoneta fu un’innovazione raggiunta dopo due millenni di sperimentazione con varie tipologie di sistemi di pagamento. Va anche considerato che quando si producevano innovazioni finanziarie quasi sempre esse erano a beneficio del governo e non dell’individuo. Se un imprenditore mette in atto delle innovazioni che poi vengono espropriate da uno Stato “arraffone”, non c’è stimolo ad investire nel necessario capitale umano, il che potrebbe anche contribuire a spiegare come mai la Rivoluzione industriale sia avvenuta in Europa e non in Cina.

Una delle innovazioni finanziarie cruciali (i titoli di Stato) è apparsa in Occidente molto prima che in Cina. Le fragili città-stato europee, sempre ai ferri corti le une con le altre, impararono precocemente come ottenere in prestito il denaro degli investitori con la promessa di una remunerazione futura. I titoli di Stato sono nati in Italia nel XII secolo. Nel 1174 Venezia era in conflitto con Gerusalemme ed aveva esigenza di costruire una flotta. Emise quindi delle obbligazioni a favore dei suoi cittadini. Invece, quando le autorità della dinastia cinese Song si trovarono ad affrontare una crisi militare, non ricorsero all’emissione di obbligazioni ma iniziarono a stampare cartamoneta creando inflazione.

La Cina, pur disponendo della capacità tecnica, fino al XIX secolo non emise titoli di debito. Lo fece solo a seguito dell’aggressione semicoloniale della Gran Bretagna e di altri paesi. Ma siccome la domanda interna per questi titoli non esisteva, i primi titoli di Stato cinesi finirono sui mercati internazionali. Negli anni settanta dell’Ottocento numerose società cinesi erano organizzate su un modello misto, con proprietari privati e partecipazione o patrocinio statale. Nonostante i tumulti sociali e la rivoluzione che nel 1912 portò alla nascita della Repubblica Popolare Cinese, il numero di queste società continuò a crescere. All’apice del fenomeno, negli anni Venti, Shanghai era uno dei più importanti centri bancari del mondo. Di fatto, sono proprio le fondamenta gettate nel XX secolo quelle su cui la Cina sta ricostruendo il proprio futuro finanziario.

L’Europa dopo l’anno Mille divenne un crogiolo di innovazioni di forte creatività stimolate dalla frammentarietà degli Stati. I cavalieri Templari erano un ordine religioso sviluppatosi nel periodo delle Crociate ma nel XV secolo erano divenuti una enorme entità extra-governativa che finanziava alcuni dei più importanti regni del continente. Dopo la sconfitta in Terra Santa e la conseguente caduta dell’Ordine, si creò un vuoto istituzionale che sarebbe stato poi colmato dai banchieri italiani.

Nel XII secolo, la creazione a Venezia di un mercato dei bond diede inizio alla pratica della spesa in deficit da parte dello Stato. I prestiti veneziani divennero anche il centro focale di un dibattito teologico sul tema dell’usura dal quale emersero diversi concetti chiave: il capitale finanziario come asset trasferibile, il premio di rischio e l’uso alternativo del capitale come benchmark per il rendimento economico.

Nel 1202, il Liber Abaci di Fibonacci con l’introduzione dei numeri arabi, delle proporzioni e delle frazioni mise fuori uso le tavole di calcolo e gli abachi meccanici. Anche per il metodo d’indagine esposto, quel libro divenne il testo base per le successive generazioni di studenti nonché l’incipit per gli sviluppi successivi della tecnologia della finanza, il che potrebbe anche spiegare perché l’Occidente abbia poi superato l’Oriente nella sofisticazione finanziaria.

Le rendite erano note nel mondo greco e romano, anzi costituivano parte integrante dei contratti di matrimonio già nell’Egitto tolemaico. Quelle a vita venivano emesse da diverse città del Nord Europa già nel XIII secolo. Nel 1535, il 60% del bilancio annuo di Amsterdam andava a ripagare i debiti e i saldi delle rendite. Acquistando una rendita su una singola vita, i cittadini potevano trasferire il rischio della longevità o di una morte precoce dalla famiglia allo Stato. Però, quali riserve lo Stato doveva accantonare per onorare in futuro questi contratti di rendita? I mezzi per trovare una soluzione a questa domanda risiedevano nella nuova scienza della statistica e del calcolo delle probabilità, basato sul concetto di casualità. Il caso ovviamente inizia con le scommesse e l’azzardo. La scommessa è sempre stato il gemello cattivo dell’investimento; ancora oggi gli investitori godono di grande considerazione mentre gli speculatori vengono pubblicamente denigrati.

Sul calcolo delle probabilità, l’autore illustra i contributi del poliedrico pavese Gerolamo Cardano,dello svizzero Bernoulli per la “legge dei grandi numeri”, del marchese di Condorcet, del broker Regnault, del contabile di banca Lefèvre e del matematico Bachelier.Presi nel loro insieme, da questi contributi sono derivati tutti gli strumenti della moderna ingegneria finanziaria. In particolare, hanno portato allo sviluppo dei derivati finanziari che sono ampiamente riconosciuti come strumenti fondamentali di assicurazione e di mitigazione del rischio, ma che l’investitore Warren Buffet ha definito “armi di distruzione di massa”.

La crisi finanziaria del 2008 è stata attribuita ai banchieri d’investimento e agli ingegneri finanziari che hanno forse creduto troppo ciecamente nei loro modelli. In effetti, la non-normalità dell’andamento dei prezzi dei titoli era ben nota ormai da decenni, prima della crisi del 2008 e anche del crollo nel 1987 del mercato azionario statunitense, così come il potenziale verificarsi di eventi estremi. Certo, i modelli che gli attuali “maghi” in attività hanno applicato ai mercati possono sbagliare. Essi non sono che meri tentativi di schematizzare una realtà complessa e in perenne evoluzione. Forse sono proprio i crolli dei mercati finanziari a rappresentare una sfida per le menti più acute e brillanti.

Shiller, economista di Yale e premio Nobel nel 2013, è un moderno progettista nello spirito indicato secoli addietro da Defoe. Ma le sue proposte di utilizzare i mercati finanziari per aiutare le persone a fronteggiare i grossi rischi cui vanno incontro nella loro vita economica non hanno avuto molto seguito. È invece diventato famoso per il suo studio sulle bolle dei mercati azionari e la sua previsione dell’esplosione dell’euforia legata a Internet (Euforia irrazionale). Egli sostiene che le bolle di mercato sono fenomeni psicologici derivanti dalla convergenza di diversi fattori: una base plausibile (nuova idea o invenzione) accanto a voci o prove che altri investitori hanno tratto grandi profitti da quella stessa speculazione con l’aggiunta di notizie rimbalzate sui mass-media. Queste condizioni possono portare anche il più sofisticato degli investitori a ignorare le più razionali stime probabilistiche e il più banale senso comune.

L’architettura finanziaria dei tempi moderni gira intorno a una peculiare unità economica: la corporation. Il capitalismo come soluzione economica si è presentato a più riprese nel corso della storia. In effetti, era già emerso nella Roma repubblicana, per cadere vittima del sistema clientelare di età imperiale. Questo processo di comparsa e scomparsa lascia pensare che il capitalismo azionario sia in effetti un organismo fragile, fortemente dipendente dal giusto ambiente e dalle condizioni politiche. Così come è iniziato può fermarsi, perché è solo uno tra i molti equilibri possibili.

La forma societaria ha dato prova di essere un solido paradigma, un insieme di regole del gioco, capace di tutelare gli interessi degli investitori e pertanto la continuità del capitale per anni, per generazioni, per secoli. In Olanda e Gran Bretagna le corporation crebbero al punto di diventare importanti quasi quanto lo Stato. La Compagnia olandese delle Indie orientali (VOC) venne fondata nel 1602, nazionalizzata nel 1796 e rimase attiva poco meno di tre secoli, durante i quali fece la parte del leone nelle operazioni commerciali con l’Indonesia, mentre i britannici dominavano gli scambi con India e Cina.

Sin dal 1623, quando l’Inghilterra adottò lo Statuto dei monopoli, il nuovo mercato finanziario coniugò il capitale con la creatività e i diritti di proprietà intellettuale. Il sistema delle società per azioni passò da una serie di compagnie a proprietà chiusa controllate dai mercanti a un sistema scarsamente regolato di capitali provenienti da speculatori estranei i quali speravano che un’idea o un brevetto li potesse rendere molto ricchi. Il primo crollo in Gran Bretagna arrivò nel 1697 e smascherò le attività degli operatori di borsa, portò alla luce i rischi della speculazione e innescò una raffinata diatriba cui prese parte Defoe.

Di norma si ritiene che la Rivoluzione industriale abbia avuto inizio in Inghilterra alla fine del XVIII secolo e abbia raggiunto il culmine a metà dell’Ottocento, con l’affermazione dei processi di produzione meccanizzata e della specializzazione industriale.

L’enigma verte sul perché l’esplosione di queste nuove società non abbia avuto luogo nei Paesi Bassi che avevano dato prova di come un mercato per certificati di investimento potesse essere stimolato dall’offerta di capitali. E ci si potrebbe anche chiedere perché la bolla dell’high-tech dei tardi anni novanta del Novecento si sia verificata negli Usa e non in Europa o in Giappone. Evidentemente la vera febbre ha avuto inizio negli Usa con discorsi sul potenziale trasformativo di Internet, sui nuovi modelli dimarketing, sui mezzi di comunicazione innovativi, sulla morte delle vecchie tecnologie.

Proprio mentre viene messo in discussione il comportamento di istituzioni tradizionali come le banche, nel mondo finanziario è in corso un’altra rivoluzione. Sta emergendo un nuovo fenomeno finanziario, la tecnofinanza (FinTech-Financial Technology), la quale sta mutando il modo in cui si contraggono i prestiti, si risparmia, si raccolgono fondi per le società.

Gli imprenditori della tecnofinanza hanno capitalizzato i progressi più recenti delle scienze informatiche, della matematica, dei social media per mettere in discussione gran parte dell’attuale sistema finanziario. Alcune innovazioni sono già familiari: PayPal, Bitcoin, Financial Engines, Kickstarter, Prosper.com e Venmo. Si tratta di applicazioni, di sistemi di pagamento, di veicoli per il crowd-funding, di siti per accedere a prestiti peer-to-peer.

Le società finanziarie hanno iniziato a premere sull’acceleratore per guadagnare un vantaggio sulla concorrenza. Le innovazioni legate alla tecnofinanza eliminano l’intermediazione tra clienti e fornitori di servizi finanziari e la sostituiscono con modalità di prestito peer-to-peer, con trasferimenti istantanei di denaro, con prestiti senza un funzionario addetto e investimenti senza banche di investimento. Si tratta di innovazioni ad alto impatto trasformativo, capaci di accrescere le possibilità del singolo individuo. La tecnofinanza porta sulla scena nuovi personaggi, i quali stanno definendo nuove comunità di investitori, nuove fonti di conoscenza e, sfortunatamente, anche nuove forme di raggiro e nuovi rischi. Tra le società che oggi si trovano al vertice nel settore della tecnofinanza si registrano del resto numerosi nomi nuovi come Credit Karma, Market Axcess, Stripe e SoFi.

Fin dai suoi esordi, Internet era destinata a modificare le modalità operative della finanza. Ha soppiantato i servizi di informazione tradizionali, ha creato reti informatiche e nuove comunità per condividere idee. Ha dato vita a un nuovo senso di equità in termini di accesso alle informazioni. Ha inciso sul modo in cui determinati servizi vengono offerti sul mercato. È grazie alla tecnofinanza che ciascuno può gestire il proprio piano pensionistico, pagare le bollette, affrontare i rischi economici, trovare un investimento temporaneo e nuove opportunità di lavoro, acquistare delle proprietà immobiliari, contrarre un mutuo. Basta uno smartphone.

Con questa coinvolgente e documentatissima storia della finanza mondiale, Goetzmann ha avvalorato quella teoria economico-sociale che sa trovare nel passato le risposte ai grandi dilemmi del futuro. Quanto dire che, con gli opportuni adattamenti, le immense potenzialità della finanza potranno essere impiegate per combattere “miseria e povertà” (secondo gli auspici di Defoe) e prendersi cura di una popolazione sempre più numerosa e invecchiata.

A ben vedere, l’ultima arrivata (tecnofinanza) non è qualcosa di così nuovo come siamo tentati di credere. Da sempre la civiltà umana inventa nuove infrastrutture per tenere il passo con la crescente complessità del vivere quotidiano riveniente dal cosiddetto progresso. Come l’autore ribadisce più volte in questo volumeil mondo cambia e la finanza si adatta al cambiamento, cercando possibilmente di utilizzare quanto imparato dai successi e dai fallimenti del passato.

In definitiva, l’esperienza di cinque millenni di innovazione finanziaria avvalora l’idea che finanza e civilizzazione umana saranno sempre fortemente connesse tra loro.

W.N.Goetzmann, Denaro: come la finanza ha reso possibile la civiltà, Milano, Il Saggiatore, 2017, pp.700, euro 27.