approfondimenti/politica economica
Dai patti europei una stabilità per pochi

Finora gli accordi di bilancio sono serviti solo a tutelare i paesi forti. Che hanno risentito meno della congiuntura negativa. Ma anche gli altri hanno bisogno di equilibrio, efficienza e competitività. La flessibilità delle regole, però, da sola non basta a garantire il rilancio della crescita.

Giuseppe Maria Pignataro
Pignataro

Prima di analizzare gli effetti della flessibilità sugli accordi europei – oggetto di un sempre più vivace dibattito – è fondamentale dare una definizione “appropriata” al concetto di stabilità.

La stabilità si realizza quando un paese persegue un percorso di crescita sano, ossia non accompagnato da squilibri di natura finanziaria; questi ultimi sono determinati sostanzialmente da dinamiche di crescita abnormi del debito pubblico e/o privato, rispetto ai tassi di sviluppo dell’economia reale.

Ne deriva che ci sono tre condizioni affinché un paese possa essere definito stabile:

  • la prima è rappresentata dalla sussistenza di un tasso di crescita adeguato; la recessione è di per sé un fattore di grave instabilità così come, in minor misura, la stagnazione;
  • la seconda è che il tasso di sviluppo del debito pubblico in valore nominale sia tendenzialmente inferiore o uguale al tasso di crescita del Pil nominale; in caso contrario il superamento della soglia di sostenibilità del debito che conduce il paese verso una condizione di instabilità molto grave pregiudicandone seriamente le prospettive, è solo una questione di tempo;
  • la terza è che il tasso di sviluppo del debito privato, elemento comunque necessario allo sviluppo del Pil, non costituisca il prevalente fattore trainante della crescita complessiva e/o macrosettoriale di un paese; nei casi in cui ciò si verifica il ritorno a livelli di ricchezza preesistenti all’effetto bolla, è infatti una naturale evoluzione incontrovertibile.

Sulla base di questi presupposti un patto tra Stati può definirsi di “stabilità” se non tende solo a porre limiti standard, più o meno vincolanti, all’incremento del deficit e del debito pubblico ma se agisce e sostiene anche lo sviluppo dei fattori indispensabili a determinare una crescita di qualità, attraverso programmi taylor-made e di spessore, tenendo conto delle situazioni peculiari contingenti e mettendo in campo politiche economiche reflattive nelle forme necessarie durante le fasi più critiche del ciclo.

Queste assunzioni, sono ancora più consistenti, per i paesi che sono usciti da congiunture straordinariamente recessive di elevatissima profondità ed ampiezza e che hanno visto peggiorare drasticamente i loro livelli di indebitamento pubblico complessivo, sia in termini assoluti che relativi, per effetto stesso di politiche di risanamento squilibrate e per molti versi inappropriate.

Risulta chiaro quindi che la soluzione ad una crisi straordinaria, senza precedenti, è molto complessa e gira intorno a questi punti chiave basilari:

  • per ritrovare stabilità bisogna tornare a crescere in misura adeguata;
  • per crescere in misura adeguata occorre far funzionare in modo più efficiente e competitivo il paese (riformandolo nei punti nevralgici e fornendo così un quadro solido di certezze agli imprenditori), riattivando comunque nel contempo e simultaneamente i quattro motori principali dell’economia: consumi interni, investimenti privati, investimenti pubblici e credito bancario;
  • per l’Italia l’implicazione ineludibile del punto precedente è costituita dalla liberazione di un volume di risorse sufficiente pari a circa 4-5 punti di Pil, da destinare per via fiscale alla ripartenza dei quattro motori;
  • in un contesto europeo di debolezze economiche e fragilità finanziarie diffuse una politica monetaria ultra-espansiva è un fattore di svolta comunque necessario.

In definitiva sulla base del filo logico seguito le conclusioni sono:

  • nessun paese ritornerà a crescere e a ritrovare un equilibrio strutturale solo facendo un po’ più di deficit e più debito o con strategie fondate su modeste misure convenzionali; ottenere piccoli sollievi per attenuare l’agonia è una politica miope e minimalista;
  • per i paesi troppi indebitati e troppo vulnerabili la soluzione dei problemi non sta nel ritornare a crescere a ritmi di qualche decimale; l’obiettivo prioritario irrinunciabile è quello di invertire la traiettoria ascendente del rapporto debito/Pil con strategie organiche ed efficaci;
  • le riforme di funzionamento da sole non sono sufficienti a sbloccare paesi che hanno visto, in uno spazio di tempo limitato, regredire in misura molto consistente i propri redditi disponibili, la propria ricchezza imprenditoriale e aggravarsi pesantemente il fardello del debito come mai avvenuto in passato;
  • i patti di bilancio europei così come sono concepiti servono, nell’attuale contesto, prevalentemente a limitare i rischi dei paesi creditori di essere chiamati a sostenere i salvataggi dei paesi debitori, quindi servono soprattutto a salvaguardare la stabilità dei più forti.

E per un paese grande e con grandi problemi come l’Italia per uscire da una fase di arretramento economico così ampio e profondo non bastano interventi semplici o semplicistici ma occorrono soluzioni potenti, coraggiose, non convenzionali e ad ampio spettro d’azione.

Per fare questo è indispensabile elaborare un piano organico fondato su tre assi principali da realizzare in stretto parallelismo: liberazione dall’eccesso di debito pubblico, riforme di funzionamento e di competitività profonde ed incisive e una drastica riduzione della pressione fiscale.