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Da Vicenza ad Etruria i creditori non sono uguali per i giudici

Una serie di pronunce dei giudici di merito e dell'ACF estende la legittimazione passiva nei contenziosi relativi agli illeciti commessi dalle "quattro-banche" anche agli enti-ponte costituiti dalla Banca d'Italia nei relativi procedimenti di risoluzione. A fronte del risarcimento che viene riconosciuto ai creditori delle banche in dissesto, sembra opportuno ricostruire il quadro in cui magistrati e membri dell'ACF sono stati chiamati a pronunciarsi. Gli effetti di questi provvedimenti e l'estensione di responsabilità agli enti-ponte non è senza conseguenze per il Fondo di Risoluzione Nazionale e per il sistema creditizio.

Daniele de Ferra
DeFerra

L’Arbitro per le Controversie Finanziarie della Consob (ACF) ha recentemente pubblicato alcune rilevanti decisioni (n. 165/2018 ss.) nell’ambito dei ricorsi che coinvolgono le quattro banche poste in risoluzione dalla Banca d’Italia. Le decisioni dell’ACF ammettono che per gli illeciti commessi dalle old banks possa essere riconosciuta la legittimazione passiva degli enti-ponte. Si ricorderà che gli istituti coinvolti erano Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti e CariFerrara. Nell’ambito del procedimento di risoluzione, le aziende bancarie sono state cedute con provvedimento della Banca d’Italia agli enti-ponte, appositamente costituiti e con capitale interamente detenuto dal Fondo di Risoluzione Nazionale. Successivamente, dopo la cessione delle sofferenze a un veicolo di nuova costituzione, la partecipazione totalitaria del Fondo di Risoluzione è stata ceduta a Ubi Banca (per le prime tre) e a Bper (per quanto riguarda CariFerrara).

Le pronunce dell’ACF seguono di pochi mesi quelle già rese da alcune corti di primo grado (v. la sent. n. 26124/2016 del Tribunale di Milano e le sent. n. 1036/2017 e n. 2029/2017 del Tribunale di Ferrara). Anche in queste pronunce è stata riconosciuta la legittimazione passiva degli enti-ponte in relazione a illeciti commessi da Banca Marche e CariFerrara prima della relativa cessione.

Questa serie ravvicinata di pronunce riaccende i riflettori sui primi procedimenti di risoluzione avviati dalla Banca d’Italia in applicazione della nuova normativa di recepimento della BRRD (Direttiva 2014/59/UE).

Il tema contestato richiede sostanzialmente di verificare se le passività accertate dai contenziosi che coinvolgono le old banks possano ritenersi cedute agli enti-ponte e se questi, unitamente agli acquirenti finali delle banche in dissesto, possano pertanto considerarsi tenuti al risarcimento. I provvedimenti dell’ACF e dei giudici di merito in relazione alle “quattro banche” seguono, in maniera più o meno esplicita, un consolidato orientamento della Cassazione (v. dapprima la Sent. Cass. n. 2464/2004 e successivamente la n. 22199/2010, confermate anche dalla n. 18528/2014 e dalla n. 2523/2017). Seguendo questo orientamento, si ritiene che la responsabilità del cessionario di un’azienda bancaria non sia limitata alle sole passività dell’azienda risultanti dai libri contabili obbligatori ma che si estenda a tutte le passività aziendali. Come è noto, l’art. 2560 c.c. prevede che nella cessione di aziende commerciali l’acquirente risponda dei debiti anteriori alla vendita che risultano dai libri contabili obbligatori solidalmente con l’alienante. Come anticipato, invece, giurisprudenza e dottrina ritengono che la previsione dell’art. 58, comma 5 del TUB – che esclude la responsabilità solidale tra cedente e cessionario – determini anche una deroga al principio limitativo della responsabilità del cessionario. Per effetto di questa interpretazione il cessionario dell’azienda bancaria viene ritenuto responsabile anche dei debiti che non risultano iscritti nella contabilità.

Una parte minoritaria della giurisprudenza di merito (v. Trib. Novara 21 settembre 2004) e della dottrina ritiene queste conclusioni errate. Secondo l’orientamento minoritario, l’art. 58, comma 5 del TUB si limita a escludere la solidarietà tra cedente e cessionario in relazione ai debiti aziendali. Pertanto, non sarebbe possibile ampliarne la portata in via interpretativa a tal punto da estendere la responsabilità del cessionario anche ai debiti anteriori alla cessione non iscritti in contabilità.

Il consolidato orientamento giurisprudenziale muove da una finalità di protezione dei creditori della banca. Nel ragionamento della Cassazione, l’assenza di un principio di solidarietà tra cedente e cessionario determina – a partire dai tre mesi dal completamento degli adempimenti pubblicitari di cui all’art. 58, comma 2 del TUB – un vero e proprio trasferimento di tutte le passività dell’azienda bancaria. Per effetto, si ritiene che il mancato riconoscimento della responsabilità del cessionario in relazione ai debiti non iscritti in contabilità lascerebbe i relativi creditori ingiustificatamente pregiudicati. Da qui la deroga alla previsione generale che limita la responsabilità del cessionario alle sole passività risultanti dai libri contabili.

D’altro canto, viene fatto notare che la Banca d’Italia, nei propri provvedimenti del 22 novembre 2015 di cessione in favore degli enti-ponte, ha disposto “la cessione[…] di tutti i diritti, le attività e le passività costituenti l’azienda bancaria”. L’unica esclusione espressa riguarda i titoli subordinati non computabili nei fondi propri. Sono da escludere dalla cessione anche le sofferenze delle old banks, passate a un veicolo appositamente costituito, e i relativi strumenti di capitale. I diritti amministrativi e patrimoniali si sono infatti estinti in conseguenza della riduzione del capitale e delle riserve. Fatto salvo quanto sopra, l’estensione del perimetro della passività cedute all’ente-ponte sarebbe dunque massima.

Le recenti pronunce di merito, pertanto, sembrano essersi limitate ad aderire all’orientamento maggioritario in applicazione dell’art. 58 del TUB e a considerare incluse nella cessione le passività accertate dai contenziosi e ricorsi, stante anche la genericità del provvedimento con cui la Banca d’Italia ha disposto il passaggio delle aziende bancarie dalle old banks agli enti-ponte.

Ci si deve chiedere se questa conclusione sia compatibile con il quadro normativo introdotto dal d.lgs. n. 180/2015 di recepimento della BRRD, nel cui contesto si pongono i procedimenti di risoluzione delle quattro banche.

Le disposizioni relative alle cessioni effettuate nel contesto dei procedimenti di risoluzione ai sensi della BRRD sembrano infatti comportare una disapplicazione pressoché totale dell’art. 58 del TUB. In particolare, l’art. 47 del d.lgs. n. 180/2015 introduce un sistema che appare come autonomo da quello civilistico e da quello del Testo Unico Bancario, prevedendo norme speciali in relazione alla fase costitutiva, alla pubblicità e all’efficacia delle cessioni stesse. In questo senso, il riferimento dei giudici di merito all’art. 58 TUB non sembra esatto.

In relazione alla limitazione della responsabilità di cedente e cessionario, tuttavia, l’art. 47, comma 5 del citato decreto introduce una norma sostanzialmente analoga a quella dell’art. 58, comma 5 del TUB, disponendo che “il cedente è liberato dagli obblighi di adempimento anche in deroga agli articoli 1273, 2112, 2558 e 2560 del codice civile”. Stante la similitudine sostanziale tra le due previsioni, pertanto, il ragionamento dei giudici di merito rimarrebbe comunque valido laddove si voglia ritenere che l’orientamento della Cassazione possa essere esteso anche alle norme di applicazione della BRRD. Del resto, non sembra che il d.lgs. n. 180/2015 abbia aggiunto una norma da cui possa discendere chiaramente una limitazione della responsabilità del cessionario in relazione alle passività delle old banks.

Vi è, tuttavia, un ulteriore elemento di specialità della BRRD di cui tenere conto. L’art. 43, comma 2 del d.lgs. n 180/2015 pone, infatti, il divieto di trasferire all’ente-ponte passività in misura maggiore del valore totale dei diritti e delle attività cedute o provenienti da altre fonti. Come è possibile conciliare questa previsione con la tutela massima che l’applicazione dell’orientamento della Cassazione tenderebbe ad assicurare ai creditori delle old banks e a scapito dell’ente-ponte? Soprattutto, come si concilia con il provvedimento della Banca d’Italia che non ha posto limiti espressi al perimetro delle passività cedute?

La risposta risiede anzitutto nei provvedimenti della Banca d’Italia del 21 novembre 2015, con cui è stato disposto l’avvio della risoluzione delle quattro banche. I provvedimenti, infatti, prevedono espressamente che il deficit di cessione (emerso dalla valutazione delle attività e passività delle banche sottoposte a risoluzione) sia coperto dal Fondo di Risoluzione Nazionale. Per quanto riguarda le passività accertate dai contenziosi instaurati da clienti, creditori e investitori delle quattro banche successivamente alla cessione, invece, gli acquirenti (Ubi Banca e Bper) avrebbero ottenuto dal Fondo di Risoluzione Nazionale specifiche garanzie di indennizzo in loro favore. In particolare, il Fondo si è obbligato a manlevarli anche delle “eventuali passività che potrebbero derivare laddove [gli enti-ponte] fossero chiamati in giudizio perché ritenuti soggetti legittimati a rispondere di eventuali passività originate dalle attività svolte dalle Old Banks prima dell’esecuzione della Risoluzione” (così il Documento di registrazione di Ubi Banca depositato presso la Consob in data 9 giugno 2017).

Volendo trarre alcune conclusioni, potrebbe dirsi che l’interpretazione adottata dai giudici di merito e dall’ACF, stante l’apparente ampiezza del perimetro delle passività cedute e gli obblighi di indennizzo posti a carico del Fondo di Risoluzione, potrebbe portare a conseguenze particolarmente favorevoli per i creditori delle quattro banche. Il ristoro delle loro pretese sarebbe chiaramente a carico dell’intero sistema bancario italiano, posto che le risorse finanziarie necessarie al funzionamento del Fondo di Risoluzione sono fornite dalle banche e dalle SIM italiane, oltre che dalle succursali in Italia di banche e SIM extra-UE.

Questa soluzione, impossibile dirsi se preventivata dalla Banca d’Italia, non sembra porsi in senso contrario all’impianto normativo introdotto dalla BRRD. Tuttavia, finisce certamente per determinare un notevole aggravio a carico del sistema bancario italiano, in nome della tutela dei clienti e creditori delle banche poste in risoluzione. Tutela che va ben oltre quella minima richiesta dal c.d. no creditor worse off fissato dalla Direttiva, secondo cui “nessun creditore deve subire perdite superiori a quelle che avrebbe subito se l’ente fosse stato liquidato con procedura ordinaria di insolvenza”.

Parzialmente diverse le pronunce relative alle banche venete, il cui salvataggio è avvenuto in un contesto normativo diverso. Per Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza ha trovato applicazione un procedimento diliquidazione coatta amministrativa e, come noto, sono state successivamente cedute a Intesa Sanpaolo. È proprio di questi ultimi giorni l’ordinanza del GUP del Tribunale di Vicenza (8 febbraio 2018) che ha escluso la citazione di Intesa Sanpaolo quale responsabile civile in un procedimento avverso la Banca Popolare di Vicenza. Il provvedimento, peraltro, è di senso inverso rispetto all’ordinanza del GUP del Tribunale di Roma del 26 gennaio 2018 che, solo qualche settimana prima, aveva invece ammesso la citazione di Intesa Sanpaolo quale responsabile civile dei reati contestati agli ex-amministratori di Veneto Banca.

L’intervento del legislatore in relazione alla liquidazione alle banche venete ha specificato con maggiore certezza i confini delle passività cedute. L’art. 3 del d.l. 99/2017, infatti, ha previsto espressamente che la cessione dei relativi rami d’azienda non è soggetta all’art. 58 del TUB (fatto salvo il comma 3) e che – tra gli altri – sono esclusi dalla cessione “i debiti delle Banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle Banche o dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate, ivi compresi i debiti in detti ambiti verso i soggetti destinatari di offerte di transazione presentate dalle banche stesse”. A tal proposito, in relazione ai contenziosi relativi agli illeciti commessi dalle banche venete, non sembrano potersi condividere le pronunce che hanno ammesso la legittimazione passiva di Intesa Sanpaolo. Deve tenersi conto, infatti, che dalla cessione sono anche escluse “le controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa, e le relative passività”.

Volendo compiere un parallelismo con i procedimenti di risoluzione analizzati, la mancata indicazione analitica da parte della Banca d’Italia di eventuali passività escluse dalla cessione delle quattro banche ha sicuramente dato luogo a un’incertezza interpretativa. Si ritiene, tuttavia, che sia proprio la Banca d’Italia a dover determinare cosa includere e cosa escludere dalla cessione e che essa – in qualità di autorità nazionale di risoluzione – sia dotata di sufficienti poteri per effettuare limitazioni analoghe a quelle attuate per le banche venete. Come specificato dall’art. 43, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 180/2015, gli enti-ponte possono rendersi cessionari anche di una parte soltanto dei diritti, delle attività o delle passività degli enti sottoposti a risoluzione. Questa norma, peraltro, sembra superare la Sent. Cass. n. 2464/2004, capostipite del consolidato orientamento della Cassazione in relazione alla legge bancaria del 1936 e del successivo art. 58 del TUB. In nome di un “interesse generale del ceto creditorio” la Cassazione riteneva nulla la pattuizione con cui si limitava la responsabilità del cessionario, stante la successiva liquidazione dell’azienda cedente e lo svuotamento della sua consistenza patrimoniale. Fatta salva la verifica del rispetto della par condicio dei creditori e del no creditor worse off principle, la specificità del nuovo quadro normativo sembra consentire all’autorità di risoluzione di limitare attraverso i propri provvedimenti il perimetro delle passività cedute, contemperando gli interessi dei creditori con quelli della stabilità dell’intero sistema creditizio.