CREDITO
Da global la fintech si fa local

intervista a Michelangelo Rosato, area manager di Opyn per la Sicilia e la Sardegna

Le fintech possono rimpiazzare le piccole banche territoriali scomparse? Possono puntare a svolgere quel ruolo che il credito locale rendeva più rapido e personalizzato? La fintech Opyn sostiene di sì. A patto che...

Simona D'Amico

La crisi che negli ultimi anni ha investito le banche locali ha generato un vuoto nel sistema bancario colmato dall’espansione dei grandi gruppi nazionali del credito. Eppure quel ruolo di prossimità al tessuto economico che una volta era svolto dalle banche radicate nel territorio sembra ancora vacante. Tanto da attirare l’interesse delle fintech. Saranno loro gli operatori in grado di sostituire al meglio gli istituti di credito locali? È proprio questo l’obiettivo di Opyn, la piattaforma fintech italiana che offre finanziamenti digitali alle imprese, ma che si sta anche attrezzando con una rete di operatori sul territorio, come spiega in questa intervista Michelangelo Rosato, area manager in Sicilia e Sardegna.

Il Sud finanziario è pressoché desertico e banche territoriali che erano il punto di riferimento per gli imprenditori delle grandi regioni meridionali hanno subìto un progressivo impoverimento. Quali sono i principali fattori che hanno causato questo fenomeno?

«Uno dei principali fattori è la riduzione dei margini da parte delle banche tradizionali: quasi tutte le banche più piccole sono state assorbite da quelle più grandi, diventando quindi dei player nazionali o addirittura internazionali. Questo fenomeno si è verificato in parte anche su richiesta di Banca d’Italia, che ha spinto le banche piccole a stipulare partnership con istituti di credito più grandi, per allinearsi da un lato coi parametri dettati dalla Comunità Europea per quanto riguarda gli studi bancari, ma anche, dall’altro lato, per cercare di salvaguardare i correntisti e i soci. Questa spinta ha trovato un terreno particolarmente fertile in Sicilia, dove gli istituti di credito locali non hanno mai lavorato secondo logiche di business, ma si sono spesso legati alla politica perdendo di vista l’obiettivo principale: marginalizzare».

Le banche locali possono avere ancora un ruolo nello sviluppo economico-sociale di un territorio?

«Hanno un ruolo fondamentale: le banche tradizionali che non sono legate al territorio, quando devono valutare un’azienda per concederle eventualmente credito, si rifanno esclusivamente agli aspetti qualitativi e quantitativi riferiti al momento in cui viene fatta la richiesta, senza fare una valutazione in prospettiva. L’azienda, quindi, non viene analizzata per quello che potrà dare all’interno del territorio sul medio/lungo periodo, ma solo sulla base della sua situazione attuale. Con le banche locali invece è esattamente l’opposto: la piccola Bcc che deve supportare un piccolo progetto di sviluppo lo fa perché conosce l’imprenditore e la sua famiglia, sa se ha delle potenzialità che vanno al di là dell’ultimo bilancio e quindi decide di concedergli fiducia. Un altro aspetto rilevante è quello del tempo: una banca tradizionale impiega mesi prima di dare credito ad un’azienda, che invece ha dei tempi molto più ristretti perché opera in un mercato globalizzato e quindi sempre più competitivo. Un’impresa che non può disporre di liquidità immediata per investire su un nuovo progetto, per acquistare macchinari e attrezzature, si ritrova automaticamente fuori dai giochi. Per queste ragioni banche locali e sviluppo del territorio sono profondamente legati: senza le une non si verifica l’altro».

In Sicilia, se si eccettuano le BCC e alcune grandi banche popolari, non c’è un gruppo bancario che faccia riferimento all’isola. Questo può avere effetti sul sistema produttivo locale?

«Il fatto che non ci sia una banca locale determina un impoverimento non solo del tessuto imprenditoriale, ma impedisce lo sviluppo di tutto il territorio. Quello che oggi preoccupa noi operatori del settore è il fatto che senza strumenti di finanza agevolata (a livello regionale o nazionale), le imprese non possono essere supportate per operazioni di sviluppo, perché difficilmente le banche nazionali riescono a dare voce a tutti gli imprenditori che potrebbero riuscire a investire sul territorio. E questo è vero a maggior ragione oggi, dopo due anni di pandemia, perché le banche tradizionali, che non fanno una valutazione in prospettiva, non potranno mai dare fiducia ad un’impresa il cui bilancio dell’ultimo anno è stato messo a dura prova dai continui lockdown». 

Cosa resta del rapporto imprenditore-banchiere e come possono incidere le fintech su questo rapporto?

«Il rapporto imprenditore-banchiere non esiste più, se per banchiere si intendere il vecchio direttore di banca, perché le banche tradizionali hanno ormai reso totalmente impersonali quasi tutti i loro processi, gestendoli in modo asettico. Il fintech, invece, a differenza di quanto si crede, può davvero essere incisivo su questo aspetto. Noi di Opyn, ad esempio, ci definiamo “human fintech” in quanto per noi il rapporto umano con l’imprenditore è imprescindibile. Da un lato infatti siamo presenti sul territorio in modo capillare con una fitta rete di Area Manager ed agenti, che per noi rappresentano una sorta di “filiale itinerante” in grado di fornire assistenza e supporto. Dall’altro lato per noi è fondamentale dare voce all’imprenditore: quando decidiamo di erogare un prestito viene contattato da un nostro analista che gli chiede di raccontare la sua azienda, per capire quali potrebbero essere gli sviluppi possibili al di là dei numeri relativi al bilancio. Nonostante i nostri processi siano oggi digitali e assolutamente tecnologici, non ci siamo inventati nulla: stiamo solo innovando una pratica che esiste da più di 50 anni. In secondo luogo, l’incidenza delle fintech sta sicuramente nei tempi: noi di Opyn ad esempio siamo in grado di dare l’esito della valutazione in 24 ore e di erogare il prestito in 7 giorni lavorativi. Anche questo è fondamentale per consentire alle imprese di rimanere competitive sul mercato». 

Le fintech sono indipendenti dal contesto territoriale. Come possono contribuire ad assolvere al ruolo delle banche locali anche al Sud, che si caratterizza per la presenza di molte zone bianche dove l’operatività delle fintech rischierebbe di essere limitata?

«Per Opyn questo aspetto è molto diverso dalle altre fintech: la nostra rete di Area Manager e agenti ha proprio lo scopo di costituire un valido punto di riferimento sul territorio che ci aiuti a intercettare le esigenze di una determinata regione e a fornire una risposta adeguata. In Sicilia, ad esempio, ai sei agenti già presenti ne stiamo aggiungendo altri in modo da essere il più possibile presenti sul territorio e capire come supportarlo al meglio. E se si pensa che il digitale possa rappresentare uno scoglio alla diffusione del fintech è sbagliato: al Sud la digitalizzazione è infatti molto più avanzata di quanto si possa credere perché costituisce l’unica via per sopravvivere in un mercato globalizzato come quello odierno».