Il Principe

di Leonardo Morlino

Da Craxi a Draghi: una continuità oltre le apparenze

Negli ultimi trent'anni abbiamo vissuto nella ricerca di una soluzione al deficit di governabilità, che alla fine non è stata trovata. E che ha portato a soluzioni diverse, tutte provvisorie, dando un’apparenza di discontinuità

Leonardo Morlino
MORLINO

Ormai la discussione politica si sta attorcigliando sull’elezione del Presidente della Repubblica. E il tema è troppo attraente per distrarsi. Ma forse vale la pena di fermarsi per inquadrare il momento che stiamo vivendo in cui, a meglio vedere, emerge con qualche evidenza una continuità di fondo che né la pandemia né la prospettiva di avere a disposizione le enormi risorse del PNRR sono in grado di cambiare. Vediamo. 

Innanzi tutto, l’impatto catalizzatore della pandemia viene confermato. Ovvero, al di là delle apparenze, la pandemia ha mantenuto e spinto ulteriormente tre processi di fondo che hanno caratterizzato gli ultimi trenta anni – e anche un po’ prima – della democrazia italiana. Il primo è la difficilissima ricerca della governabilità. Il secondo, la spinta a vivere oltre i propri mezzi (economici, soprattutto). Il terzo, il conseguente rafforzamento del ‘vincolo esterno’. Analizziamoli meglio, sia pure brevemente.

In quanto al primo processo, dalla fine degli anni Ottanta in poi, nella democrazia italiana si stanno cercando soluzioni che assicurino la necessaria governabilità per soddisfare i bisogni dei cittadini. Berlusconi con le sue innovazioni nella comunicazione politica, sostenuto dalle speranze e aspettative di molti cittadini, è stata una prima risposta.

I tentativi di riforme istituzionali perseguiti sia da sinistra, specie con D’Alema, poi nel primo decennio di questo secolo ancora da Berlusconi e ancora nel secondo decennio da Renzi sono stati un’altra risposta, anch’essa fallimentare. La trovata di Napolitano con Monti e un governo tecnico nel 2011 è stato un altro tentativo di ricerca di governabilità, ancora in una situazione di emergenza economica: la Grande Recessione era iniziata nel 2008 e si è protratta almeno fino al 2014.

Nel 2018 il credito elettorale dato ai neopopulisti del M5s e della Lega, che da partito di centro attento al rapporto fra periferia e centro, è diventato di destra, sono ancora un’ulteriore risposta all’insoddisfazione dei cittadini di fronte ai problemi di governabilità, specie negli anni dopo la Grande Recessione.

Di fronte alla pandemia e ai fallimenti precedenti è emersa quasi naturalmente ancora un’altra soluzione: ingessare il conflitto partitico per quanto possibile ed affidarsi, questa volta, a un tecnico con capacità politiche, per le sue precedenti esperienze di presidente della Bce. Il paradosso sta nella continua, costante ricerca nel corso degli ultimi trenta anni di una soluzione al deficit di governabilità, che alla fine non è stata trovata, ed ha portato a soluzioni provvisorie diverse, dando un’apparenza di discontinuità. 

Il secondo processo, effetto di una forte competizione partitica – almeno a livello di politica visibile – che spinge a formulare e talora a realizzare politiche che rispondono alle domande di gruppi economici e sociali diversi, tenendo poco conto dei vincoli di bilancio, posti anche dal mercato. Quando si sostiene che oggi vi sia un declino dei partiti neopopulisti, evidenziando le divisioni e le difficoltà della Lega con Salvini leader e le divisioni e il profondo indebolimento del M5S (come indicato da diversi sondaggi che lo collocano poco sopra il 10% rispetto a oltre il 30% di solo qualche anno fa), si dimentica il passato e non si vede il presente.

Negli anni Ottanta la furibonda competizione tra DC e PSI ha posto le basi per quell’enorme debito pubblico che ci ha accompagnato anche negli anni successivi e si basava sulla realizzazione di politiche che andavano oltre i mezzi economici che aveva effettivamente il paese. In questo senso, era già una prima espressione di populismo alla ricerca di un consenso che non è mai arrivato, ed è stato poi spazzato via da Mani Pulite e dalla caduta del muro di Berlino. Il neopopulismo degli anni passati, sia con il governo Renzi che cercava di competere con Grillo stando al potere, sia con il M5S e la Lega al governo, sono in una continuità poco responsabile con la seconda parte degli anni Ottanta. E anche oggi, ad ascoltare le dichiarazioni e le richieste dei leader partitici sull’abbassamento delle tasse e su altri provvedimenti, per i quali non si indicano le fonti da cui reperire le risorse necessarie, il neopopulismo è sconfitto solo nel senso che la lezione è stata appresa e in realtà sono diventati tutti neopopulisti nel richiedere a Draghi decisioni che vanno oltre i nostri mezzi, anche approfittando dei minori controlli economici in questi anni di pandemia.

Inevitabilmente, quei due processi hanno ulteriormente rafforzato il terzo, l’importanza e il ruolo sempre maggiore dell’Unione europea di controllo su tutte le decisioni politiche che prenderemo. Ovvero il rafforzamento del cosiddetto ‘vincolo esterno’. Già dai primi anni Novanta che questo fosse l’unico modo di mantenere la democrazia italiana, ultra-indebitata, in un qualche precario equilibrio era evidente per Amato, Ciampi, Prodi, e anche D’Alema e diversi altri. Così che effettivamente, alla fine, scegliere un Presidente in grado di mantenerci entro quel vincolo sarà molto importante.