Gli interventi previsti potrebbero non essere sufficienti. Perché restano irrisolti due temi fondamentali: la disponibilità di nuove risorse liquide immediate per imprese che vedranno una ripresa dei propri incassi solo a crisi terminata, e la necessità di sospendere o rivedere la normativa sulla crisi d’impresa appena entrata in vigore. In cui molte aziende finirebbero per ricadere.
La diffusione del coronavirus nel nostro Paese produrrà importanti effetti economici in ragione del blocco di molte attività e del fatto che le regioni più colpite sono quelle che più contribuiscono alla produzione del PIL nazionale.
È difficile al momento fare previsioni, tuttavia, partendo da quanto avvenuto a suo tempo nell’area cinese del Wuhan, si stima per il 2020 una riduzione del PIL globale di almeno mezzo punto. Per l’Italia, la previsione indica una riduzione del Prodotto Interno Lordo compresa tra il 3 e il 5%.
Elaborazioni degli autori
Per quanto riguarda il sistema produttivo, Cerved fornisce due diversi scenari per l’Italia. Nel primo, si ipotizza la fine dell’emergenza a maggio e si stima una perdita di fatturato di circa 300 Mld di euro tra il 2020 e il 2021; nel secondo, il prolungarsi dell’emergenza fino a dicembre, porta a ipotizzare un valore di circa 500 Mld per il 2020 e di altri 150 Mld per il 2021.
Cerved – Ufficio Studi
Sebbene qualsiasi previsione sconti l’incertezza di una situazione in costante evoluzione, appare evidente come i danni che il COVID-19 potrà produrre sull’economia italiana dipenderanno sia dall’efficacia delle misure di contenimento del virus, sia dalle dimensioni e dalle caratteristiche delle misure predisposte dal Governo e dalle Autorità economiche e monetarie a sostegno dell’economia.
In una situazione così delicata i rischi maggiori li corrono inevitabilmente i soggetti più deboli. Come ci sta insegnando la pandemia, anche a livello economico esiste una fascia debole rappresentata dalle micro e dalle piccole imprese molto più sensibili alla riduzione dei fatturati e più soggette al rischio di contrazione delle risorse finanziarie fornite dal sistema bancario.
Il Decreto “Cura Italia”, correttamente, considera anche questi aspetti con gli articoli 49 e 56.
In particolare, nell’ambito delle misure a sostegno della liquidità delle imprese, l’art.49 (Fondo centrale di garanzia PMI) si preoccupa di fornire garanzie a titolo gratuito, fino a 5 mln per singola impresa, relativamente a nuovi finanziamenti e a finanziamenti erogati a fronte di operazioni di rinegoziazione del debito in essere (purché il nuovo finanziamento preveda l’erogazione, al medesimo beneficiario, di credito aggiuntivo in misura pari ad almeno il 10% per cento dell’importo del debito residuo in essere del finanziamento oggetto di rinegoziazione).
Tale intervento, sebbene corretto nei termini, potrebbe avere un impatto limitato in presenza di aziende chiamate ad affrontare un crollo del fatturato e quindi poco interessate a nuova finanza per investimenti.
Con l’art.56 (Misure di sostegno finanziario a micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19), invece, si introduce una moratoria del debito volta a sostenere le imprese consentendo loro di superare la fase più critica della caduta produttiva connessa con l’epidemia.
La misura è volta a ridurre gli effetti derivanti da un forte calo della domanda e dal blocco della produzione che, sebbene limitato nel tempo, può avere effetti permanenti sull’operatività di un numero elevato di imprese ed essere amplificato dai meccanismi finanziari. In particolare, il comma 2 prevede che alla moratoria possano accedere le micro, le piccole e medie imprese che alla data di entrata in vigore del decreto avevano ottenuto prestiti o linee di credito.
Per questi finanziamenti è previsto che:
i) le linee di credito accordate “sino a revoca” e i finanziamenti accordati, a fronte di anticipi su crediti, non possano essere revocati fino al 30 settembre 2020;
ii) la restituzione dei prestiti (non rateali) con scadenza anteriore al 30 settembre 2020 sia rinviata fino alla stessa data, alle stesse condizioni e senza ulteriori oneri per le imprese; eventuali elementi accessori (es. garanzie) sono prorogati coerentemente;
iii) il pagamento delle rate di prestiti con scadenza anteriore al 30 settembre 2020 sia riscadenzato sulla base degli accordi tra le parti o, in ogni caso, sospeso almeno fino al 30 settembre 2020 secondo modalità che non prevedano nuovi o maggiori oneri per le parti.
Per accedervi, le imprese devono autocertificare una riduzione parziale o totale dell’attività quale conseguenza della diffusione dell’epidemia (comma 3).
La moratoria non accresce né genera nuovi oneri per le banche e non influenza, poiché considera solo crediti non deteriorati, la qualità del credito degli intermediari, in quanto non determina modifiche nella classificazione delle esposizioni oggetto di moratoria.
Per il periodo in cui il provvedimento sarà in vigore, il computo dei giorni di persistenza dell’eventuale scaduto e/o sconfinamento risulta congelato.
Inoltre, alla fine del periodo di moratoria, per attenuare gli effetti economici di un possibile peggioramento nella qualità del credito, il decreto introduce una garanzia pubblica che copre (parzialmente) le esposizioni interessate.
Il comma 6 del decreto, infatti, stabilisce che, per mitigare il rischio di una stretta creditizia, le operazioni oggetto delle misure di sostegno possano ottenere, senza valutazione, la garanzia di un’apposita sezione del Fondo Centrale di Garanzia.
Elaborazioni degli autori
Complessivamente, l’importo dei prestiti alle piccole e medie imprese che beneficerebbero della moratoria (con durata fino al 20 settembre 2020) è stimabile in circa 220 miliardi di euro. Di questi, circa 97 mld sono rappresentati dal congelamento delle linee di credito in conto corrente, 60 mld deriverebbero da finanziamenti ottenuti come anticipi su titoli di credito, 33 mld dalla sospensione delle rate dei prestiti e dei canoni in scadenza, mentre 29 mld rappresentano l’allungamento delle scadenze di prestiti a breve.
In sintesi, l’intervento previsto dal Decreto “Cura Italia” agisce sulla componente finanziaria in maniera corretta, chiedendo al sistema bancario di contribuire ad ammortizzare gli effetti economici negativi indotti dalla crisi sanitaria. Lo sforzo richiesto avrà effetti positivi anche sui risultati delle aziende di credito. Riducendosi, infatti, il numero dei potenziali fallimenti, le banche avranno minori perdite da portare a bilancio e dunque minori effetti sulle performance.
A tal fine appare ragionevole ritenere che la riduzione dei dividendi distribuiti, a causa della minore redditività e dei maggiori accantonamenti a capitale, siano un sacrificio accettabile da richiedere agli azionisti del sistema creditizio in una situazione di emergenza come quella che stiamo vivendo.
Sebbene meritevoli, gli interventi previsti a livello finanziario nel decreto “Cura Italia” potrebbero non essere sufficienti.
In particolare, restano attualmente irrisolti due temi fondamentali: la disponibilità di nuove risorse liquide immediate per imprese che vedranno una ripresa dei propri incassi solo a crisi terminata e la necessità, altrettanto urgente, di sospendere o rivedere la normativa sulla crisi d’impresa appena entrata in vigore. Senza un provvedimento in merito, infatti, applicando la disciplina in vigore, molte aziende ricadrebbero nelle condizioni di intervento ivi previste e si attenuerebbero le possibilità di dare vigore alle misure impostate dal D.L. n.18 Cura Italia del 17.3.2020.
A livello comunitario, e quindi per tutti i Paesi, infine, sarebbe necessario intervenire in maniera decisa sulla normativa di vigilanza (e non solo) relativa agli intermediari finanziari. In particolare, quanto mai utili risulterebbero provvedimenti volti a:
– modificare, almeno temporaneamente, i principi comunitari per la stesura dei bilanci delle banche;
– sospendere l’applicazione dei coefficienti patrimoniali al di sotto dei quali la Vigilanza è chiamata ad intervenire;
– sospendere i criteri stringenti di ammortamento dei crediti non performanti la cui applicazione annullerebbe le dotazioni patrimoniali.
In tal modo, istituzioni creditizie meno condizionate nell’impianto normativo ed assistite dalle previsioni del Decreto potrebbero più adeguatamente soccorrere il sistema imprenditoriale e professionale, improvvisamente bloccato nei suoi naturali flussi. Una “trasfusione” finanziaria nell’attesa, probabilmente non breve, di una progressiva ripresa economica.